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“Quanti anni ha, signor...?”
“Alba. Mi chiamo Alba. Ho trentun anni, diciannove alla velocità della luce.”
Pausa di una mezza giornata. Lentezza.
“Per chi scrive quest'articolo?”
“Dove vivo io non c'è nessuno che sia nato sulla Terra e che ne abbia un ricordo: c'è molta curiosità su quanto è accaduto negli ultimi quarant'anni.”
Il sole tramonta, riesco a vedere il raggio verde e ammirare la meraviglia dell'Appennino. A notte fonda mi arriva la replica:
“Capisco. E perché crede che sia io a poterle raccontare cos'è successo? Cosa pensa che io possa dirle che non si sappia già?”
“Si dice che lei abbia fatto grandi cose e ne abbia memoria.”
La popolazione odierna della Terra è di appena sedici milioni di persone.
La discarica di Mozitone sorge in un punto bruttissimo, sotto un ponte di un'autostrada abbandonata i cui piloni alti duecento metri sperano di essere abbattuti e trovare termine alla loro agonia.
La decrepita cicatrice d'asfalto che tagliava in due l'Italia con la scusa di congiungerla ora è invasa da alberi e vegetazione, ogni tanto qualche raro e avventuroso nostalgico infrange il divieto di accesso, rischiando di incontrare qualche animale selvatico come quelli che hanno ripopolato la penisola da un po', o forse come quelli trasportati nei primi esperimenti sulla velocità della luce e mai riportati indietro dall'India o dal Borneo: pochi esemplari ma avidi di territorio e di conquista che hanno reso meno sicuro oggi percorrere a piedi la vecchia autostrada di quanto non lo fosse nell'epoca in cui era solcata dai Tir e dalle volanti dedite alla repressione di antichi misfatti stradali.
Ma percorrere a piedi l'intero chilometro e mezzo del ponte per fermarsi a rendere omaggio ai vecchi feticci tecnologici affioranti dai rifiuti come automobili, motociclette, telefoni, elettrodomestici, guardare giù cercando di intuire le forme di quelli che una volta erano i beni più desiderati e che adesso rappresentano solo un paragrafo della storia dell'evoluzione, è a ben vedere una fatica quasi inutile: il calore prodotto dalla decomposizione della capsula biodegradabile usata per imballare e trasportare fino a Mozitone i rifiuti sale verso l'alto e investe fastidiosamente chi sta sopra il ponte, rendendo l'attività di avvistamento possibile soltanto per pochi secondi; tra l'altro l'odore è veramente fastidioso e l'occasionale visitatore dopo la passeggiata sul ponte sparisce mestamente senza averci capito un granché.
Cento metri più in basso, seduto su una sedia sbilenca, al riparo dalla puzza calda che ascende al cielo come sublimazione dei metalli e delle scorie, un signore barbuto e magro veglia sulla discarica riparato dai piloni accumulando pazienza non si sa bene da quanto tempo.
Il signore barbuto, magro come legno, ha una fama interplanetaria: viene chiamato Memory Man; non si sa quanti anni abbia, perché stia lì o come si chiami realmente, si pensa che sia presumibilmente un italiano di circa sessant'anni nativo delle cinque terre, che sia un pazzo oppure che no, che si tratti di un grande scienziato stanco della furiosa rincorsa al prossimo vertice dell'ingegno umano, voci incontrollate ne parlano come di un uomo del futuro, altre di una sentinella del passato a guardia di una discarica affinché nulla trapeli di quanto c'era di sbagliato nel mondo solo quarant'anni fa e custodisca segreti inenarrabili; qualcuno facendo finta di scherzare dice che sia un extraterrestre come quelli vanamente cercati nello spazio e che invece non sono mai stati trovati nonostante l'impegno e l'illusione di possedere con la velocità della luce anche l'universo.
Alle prime luci del nuovo giorno, Memory Man riprende a parlare:
“E' stato così: da un giorno all'altro la velocità massima possibile per un corpo; non eravamo preparati. E' stato come avere un Ciao da cinquanta cavalli, solo che nessuno ha avuto il coraggio di ammettere che era troppo potente.
Il mattino dopo tutti andavano alla velocità della luce, eccitati, felici, non c'era più paura della velocità perché alla velocità della luce sembra di essere immobili e in molto meno di un battito di ciglio sei già a migliaia di chilometri di distanza. Difficile restare fermi in un punto: difficile restare uniti. Le famiglie si disgregano, le persone si atomizzano, i nuclei di amici si perdono e si rimane in contatto solo per via telematica, alla stessa velocità della luce per non rallentare.
Le leggi della fisica addomesticate dall'uomo hanno desertificato la Terra. Moltissimi hanno scelto di andare a vivere in un altro pianeta per cercare fortuna o per avere il piacere di dire che non sarebbero più tornati sapendo che se tornano, non saranno invecchiati; tuttavia la maggior parte di coloro che sono ancora in viaggio per mondi lontani se n'è andata per paura dei terremoti.”
“Da quanto tempo è qui, sotto i piloni dell'autostrada abbandonata? Non ha paura degli animali selvatici?”
Le labbra di Memory Man si muovono quando il sole è a picco:
“Contare le ore e i minuti è ormai un esercizio insensato da quando è stata resa utilizzabile a tutti la velocità della luce. Einstein lo aveva intuito, la relatività priva di significato le distanze terrestri e il tempo alla velocità della luce si dilata e rallenta. Più vai forte, più resti giovane; si può urlare al vento e arrivare a destinazione prima della propria voce. Il tempo non è più un limite se ci si muove alla velocità di 300.000 chilometri al secondo.”
Nella discarica di Mozitone i rifiuti arrivano dentro delle capsule biodegradabili grandi come un palazzo di tre piani, trasportati da vettori alimentati a radiazioni elettromagnetiche e vengono lasciati lì a decomporsi grazie all'azione di enzimi e catalizzatori chimici: dopo alcuni anni solo la parte più resistente, in genere i metalli, emerge dalla massa gelatinosa che si produce dell'agglomerato dei rifiuti largo e alto come una collina.
“Cosa la spinge a rimanere qui?” chiedo.
So di dovere aspettare con calma che Memory Man elabori e si decida a parlare; passano quattro ore, poi:
“Era bello quando la velocità era poca. Quando era faticoso possederla. La lunga stagione in cui era anche pericoloso e proibito.
Era bello quando la gente si fermava per aiutare qualcuno, un gesto che la velocità della luce ha reso impossibile: alla velocità della luce è più facile girare la testa, si resta ignoranti perché si può sapere tutto e non comprendere niente, non capire in quale tempo stai, che età hanno i tuoi amici, che valore hanno le distanze e quindi lasci perdere, ti viene voglia di andartene come ai milioni di persone che hanno lasciato la Terra perché sono arrivati i terremoti e la paura corre forte; prima in Italia, poi in Myanmar, poi il Giappone, uno dopo l'altro gli angoli del pianeta si stavano sbriciolando e la tecnologia è stata capace di fornire una sola risposta, la velocità della luce.
La soluzione quando non hai alternative è fuggire e la tecnologia messa all'angolo dai terremoti, incapace di capire perché la terra tremasse ogni 31 ore precise in un luogo diverso e con intensità causali, ha risposta dando a tutti la possibilità di girare la testa e andarsene alla velocità della luce.
In un microsecondo, tutti quelli che a mani nude scavavano, che donavano il sangue, che lasciavano le proprie case per andare ad aiutare chi la casa non l'aveva più, erano stati messi in minoranza: c'erano buchi nella macchina degli aiuti, la gente si scoraggiava e non restava a lottare contro i terremoti ma andava via alla velocità della luce verso altri mondi lasciando tutto, del resto da poco era stata scoperta un'altra Terra a 4,2 anni luce e alla velocità della luce il tempo non conta, sarebbero arrivati a destinazione ancora giovani.
Fu deciso che bisognava comunque lasciare la Terra in ordine per poterla un giorno ricolonizzare, e chi aveva scelto di restare avrebbe avuto il compito di rimuovere le macerie dei disastri, comprimerle dentro capsule biodegradabili e depositarle in luoghi come la discarica di Mozitone, la cui eventuale subsidenza non avrebbe impensierito.
Più che un esodo, fu una diaspora.”
La storia la conosco ma sentirla raccontare da lui aggiunge sfumature inconsuete.
Memory Man è un motociclista e ha fatto il volontario nella Croce Rossa. E' l'ultimo di una generazione di combattenti, di quelli che non mollano mai: è l'unico uomo rimasto sulla Terra ad avere partecipato alle operazioni di soccorso durante i terremoti, quando con la sua motocicletta, armato di Gps e zaino, raggiungeva posti isolati e impervi devastati dai sismi.
Oggi nessun terremoto causa più alcuna vittima, le città sono disabitate e si vive in luoghi antisismici, i compattatori sono sempre in azione e intere località liofilizzate dalle scosse telluriche vengono compresse nelle capsule e spedite con i vettori verso i luoghi dell'oblio.
“Sono sempre arrivato in ritardo, a disastro avvenuto; avrei potuto andarmene, come la mia famiglia stanca di tremare ogni 31 ore ma un minuto prima della partenza ho preferito risalire sulla mia enduro a due tempi e andare verso il punto di raccolta della Croce Rossa a mettermi a disposizione. Otto anni dopo non c'era più nessuno da salvare e la popolazione mondiale era già di soli centoventi milioni di persone.
Allora ho rubato una sedia alle macerie e mi sono seduto sotto un pilone, ha parcheggiato la moto con le ruote sollevate da terra e ho onestamente ringraziato il destino per l'immensa fortuna di avere capito per tempo chi sono veramente: un endurista che già ad ottanta all'ora ha il mal di testa, figurarsi alla velocità della luce.
Ho un bel ricordo di vita: quando una bambina di undici anni fu tirata fuori da una palazzina crollata e io ero lì ad aiutare; chissà in quale pianeta sarà ormai quella bambina. Ma non importa, anche se ho capito che non c'è più bisogno di me, io resto qui. Più veloce di ottanta all'ora, io non so proprio andarci.”
“A ottanta all'ora sarebbe potuto andare in un sacco di posti, perché proprio a Mozitone?”
Passa un intero giorno, viene una notte fredda.
Ruggiti in lontananza, buio assoluto solcato da scie di vettori in viaggio.
Ero venuto qui per un'intervista, sono rimasto per una settimana. Tra ogni domanda e la sua risposta incalcolabili quantità di tempo. Sono l'unico giornalista ad avere avuto la pazienza di aspettare; forse un tempo era normale attendere così tanto, quando non si viveva alla velocità della luce. Memory Man si alza dalla sedia e finalmente mi rivolge la parola.
Punta il dito verso la motocicletta, coperta di brina. Sorride, scaccia un piccolo ragno dalla sella.
“La verità è che avevo finito la benzina.”
“Non le credo.”
So che dovrò aspettare almeno fino all'aurora per una replica, invece:
“Scriva così. Non mi va di passare per eroe o per pazzo.”
“I bravi giornalisti scrivono cose vere. Lei vive in una discarica, perché?”
“Mi usi una cortesia: inventi, scriva lei un finale a questa storia.”
Resto fermo un attimo, rifletto.
“Posso scrivere che lei è rimasto ad aiutare?”
“Molto bravo. Sì, mi sembra adeguato. Non so fare altro, signor Alba. Qualcuno doveva restare a custodire le case sbriciolate e le urla intrappolate in quelle capsule. Io resto qui ad aiutare, sono sicuro che chi è andato via ha sollievo nel sapere che c'è un guardiano che custodisce le sue cose e suoi luoghi; non sono semplici rifiuti.”
“Riaccenderà la motocicletta?”
“Gliel'ho detto: non ho più carburante.”