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La notte del primo settembre 1970 tre corpi senza vita furono rinvenuti in un casolare della campagna pugliese; i volti erano orrendamente sfigurati e la loro identità non fu mai chiarita. In seguito ai primi sopralluoghi degli inquirenti, fu accertato che all’interno del casolare era stata allestita una elegante dimora fornita di dispositivi tecnologici per ogni tipo di esigenza: tra questi, un complesso dispositivo consentiva di gestire una piattaforma sopraelevata sulla quale giacevano trenta motociclette: il meccanismo era in grado di prelevare e posizionare una moto a scelta per ognuno dei cinque garage dell’edificio, aprendo quest’ultimi contemporaneamente. Le motociclette ritrovate all’interno della rimessa erano dei prototipi privi di marca e contrassegni di legge e non fu possibile collegarle alla produzione di alcuna casa motociclistica conosciuta; si pensò fossero esemplari unici assemblati artigianalmente da un ricco appassionato. Il casolare risultò intestato ad una società di comodo con sede in un paradiso fiscale e vani furono i tentativi di risalire ad una persona fisica che potesse essere ritenuto l’occupante del fabbricato.
Il medico legale stabilì il momento dell’uccisione dei tre uomini nella sera del primo settembre indicando presumibilmente l’arma del delitto in un pesante oggetto con cui l’autore del massacro aveva inferto un colpo mortale al capo di ciascuno dei tre sfortunati, i cui corpi furono ritrovati grazie ad una telefonata anonima di una donna ad un quotidiano svizzero. Il maresciallo di Polizia Calogero Parisi, un siciliano trapiantato nel tacco d’Italia da una ventina d’anni, si occupò dei primi rilievi: il casolare, dai numerosi interrogatori dei vicini, risultò del tutto abbandonato: nessuno era stato mai visto uscire o entrare, meno che mai il giorno del triplice delitto. Invece no. Il magistrato incaricato di fare luce sui fatti era il dottor Antonio Vernullo: aveva ottenuto l’assegnazione dell’inchiesta sui tre sfigurati chiedendola con insistenza al dottor Aricò, l’anziano procuratore capo. Vernullo annaspava tra laconiche dichiarazioni ottimistiche alla stampa e interiore scoramento. Era un uomo di trentasei anni che viveva da solo in un appartamento modesto e ordinato; sette anni addietro aveva festeggiato l’ingresso in magistratura con l’agognato acquisto della sua prima motocicletta. Non era il tipo da velocità folli e usciva in moto ogni sera, da solo: nella mente il delitto del quale nessuno immaginava né il movente né l’identità degli uccisi.
Passarono sei mesi e i delitti della cascina erano ancora irrisolti. Spentosi il clamore mediatico, Vernullo inoltrò la richiesta di archiviazione al procuratore capo il quale, a sua volta, non riuscì firmarla poiché fu rinvenuto la mattina successiva nel proprio ufficio, seduto alla scrivania con la penna in mano, la richiesta di archiviazione davanti e il cranio fracassato da un pistone di 104 mm di alesaggio ritrovato, venato di sangue, accanto al corpo. L’uccisione del procuratore generale riaccese l’attenzione dei giornali e delle televisioni sul caso e i riflettori dell’opinione pubblica furono di nuovo puntati su Vernullo, che si barricò in procura sotto il tiro incrociato dei media e dei colleghi che esigevano una spiegazione. Chiese una scorta, negata, limitò le uscite al minimo indispensabile e smise di fumare, ma non di andare in motocicletta la sera.
Cinque giorni dopo l’omicidio del procuratore capo, bussò alla porta del suo ufficio il maresciallo Parisi.
- Buongiorno dottore, posso?
- Ah, buongiorno maresciallo, che c’è?
- Novità, per lei.- e si avvicinò alla scrivania dove Vernullo era chino.
- Mi scriva un rapporto…
- Riguardano i tre morti nel casolare.
- Sono occupato, Parisi. Scriva e poi vediamo.
- Dottore, mi dia retta: è importante.
Vernullo alzò gli occhi e scrutò Parisi: - si accomodi.
- Grazie. Posso accendere una sigaretta?
- Faccia pure, non è ancora reato fumare nei luoghi pubblici.
- Lei va in moto, vero dottore?
- Come fa a saperlo?
- Ho visto la macchia sulla scarpa destra…
- …stia tranquillo: tra non molto le vedrà solo sulle scarpe sinistre, stanno arrivando i giapponesi con le loro moto potenti, affidabili, veloci… e tutte col cambio a sinistra: dicono che ci colonizzeranno.
- Le ho viste pure io le moto giapponesi. Belle, senza dubbio. Nel mio piccolo pure io vado in moto, sa? Ho un Moroni “4 di mazze”. Guardi, ho anche la macchia sulla scarpa destra, mannaggia… mia moglie mi fa sempre la predica che rovino le scarpe, con quello che costano…
- Non pensavo. Ma lei è venuto qua per parlare di motociclette e di scarpe?
- No, volevo parlarle dell’omicidio del dottor Aricò.
- …se ne sta occupando Di Benedetto. Parli con lui.
- Credo che invece sia meglio che ne parli con lei.
Vernullo si tolse gli occhiali e si sfregò la faccia con le mani, mettendole ai lati della testa.
- Non voleva parlarmi dei tre sfigurati nella casa in campagna?
- Ci arriviamo tra poco, dottore; intanto, mi dica: che bisogno c’era di ammazzare il procuratore capo?
Le parole di Parisi riempirono la stanza come la miscela prima della combustione dentro il cilindro: era imminente la fine della fase di compressione. Valvole chiuse. Lo stantuffo sale rapidamente verso il punto morto superiore incrementando la sua velocità lineare. La scarica elettrica parte dall’accensione.
Fa caldo, la temperatura aumenta con la pressione. C’è un istante in cui il moto del pistone si ferma. Non se ne accorge mai nessuno, ma il pistone si ferma per un brevissimo attimo prima di invertire il moto e scendere giù in picchiata sprigionando la forza propulsiva. E’ in quell’istante che si decidono le sorti di una combustione ben fatta perché, anche se il pistone è fermo, la temperatura aumenta lo stesso e la colonna di gas esplosivi continua a comprimersi, non ha vie di fuga: le valvole si apriranno solo dopo la combustione.
Scintilla.
Scoppio.
- Aricò mi aveva detto che avrebbe certamente archiviato l’inchiesta. Ho dovuto fermarlo.
- Ammazzandolo con un pistone di più di dieci centimetri di diametro che non si sa nemmeno a che moto appartenga?? Di Benedetto sta cercando la provenienza di quel pistone scomodando l’FBI, l’Interpol e forse pure la NASA; dottore, ma chi gliel’ha fatto fare? Perché?!
- Con la chiusura delle indagini non avremmo mai scoperto i colpevoli del triplice omicidio del casolare… maresciallo, non è anche suo desiderio che i responsabili vengano arrestati?
Parisi rigira tra le mani il pacchetto di sigarette; sospira e lasciando che la cenere diventi lunga un centimetro si rivolge di nuovo al giudice:
- Dottor Vernullo, lei è sposato? No, vero?
- Non è una grande scoperta, la sua.
- Io invece sì. Non è un bel matrimonio, il mio. La motocicletta è la mia principale via d’uscita da una vita quotidiana avara di soddisfazioni. Con mia moglie non ci capiamo, non ho figli e non spero più di averne. Ho già quarantasette anni e la mia consorte ne ha uno in più.
- E perché mi dice questo, come pensa che possa interessarmi?
- Perché abbiamo qualcosa in comune. Nemmeno la sua vita mi sembra sia granché… gli uscieri della procura la vedono abbandonare l’ufficio la sera e salire sulla moto, ma i suoi vicini di casa mi hanno riferito che torna a casa da solo e molto tardi.
- Non è ancora reato andare in moto la notte, mi sembra.
- No, questo no.
- Parisi, smetta di insinuare e mi dica cosa vuole da me!
- Guardi, io sono qui per aiutarla… lei ha anche ottime amicizie in ambito industriale e conosce tutti i più grandi imprenditori italiani della motocicletta, è un fatto noto.
- E’ vero, non mi dica come lo sa: i particolari non mi interessano.
- Interessano a me, dottore. Lei li conosce tutti perché è un morboso e viscerale appassionato di motociclette e grazie alla sua posizione sociale ha cercato, in ognuno degli anni passati dietro questa scrivania, di ingraziarsi il gotha della motocicletta italiana. Lei è un privilegiato.
- Mi guardi bene, maresciallo, le sembro un privilegiato?! Ma, a parte questo, il resto è vero; lei è un ottimo investigatore, Parisi. Continuo a non trovare profili penali, però. Anche se ho ucciso il procuratore capo, e negherò sempre di averglielo confessato, non vedo come questi fatti possano mettermi in difficoltà.
- Non voglio metterla in difficoltà, ma in guardia dal fare altri errori; mi ascolti bene: lei sapeva benissimo che quel casolare in campagna è la sede della segretissima associazione delle case motociclistiche italiane che hanno da tempo compreso che, morti gli inglesi, i prossimi siamo noi. I giapponesi dopo aver umiliato le industrie britanniche invaderanno anche il mercato italiano con le loro motociclette perfette e di cilindrate sempre più abbondanti… mi hanno riferito del loro progetto di far considerare le moto di 750 c.c “medie” entro trent’anni: più grandi le cilindrate, più alti i profitti…
- E che i diametri dei pistoni saliranno fino a 104… lo so pure io.
- Allora, mi corregga se dico corbellerie, le case italiane hanno capito di doversi coalizzare contro il nemico comune per non fare la fine dei britannici. Hanno trovato referenti politici coi quali stanno, o stavano, su questo sono convinto che lei ne sappia molto più di me, trattando l’approvazione di una serie di norme protezionistiche dietro il pagamento di tangenti, quindi hanno fatto fronte comune erigendo questa struttura qui in Puglia dove realizzano congiuntamente i prototipi, li testano e li comparano tra loro; li affinano e li mettono in produzione spartendosi il mercato a svantaggio della concorrenza gialla. Il tutto condito da spionaggio industriale a livelli da guerra fredda verso le industrie giapponesi. Dico bene, dottore?
- Bravo… le aggiungo un particolare: io ne ero al corrente solo perché fui il tramite attraverso il quale si mise a tacere l’eco di un incidente accaduto circa un anno fa durante il test di un prototipo dotato di compressore: la girante, costruita in Italia, esplose ferendo mortalmente il pilota. Credo che per un po’ di anni non sentiremo più parlare di sovralimentazione. Fui incaricato di pilotare l’inchiesta verso l’archiviazione e la ricompensa fu il permesso di accesso alla sede dell’associazione segreta; la stessa dove sono stati ritrovati i tre cadaveri.
- Finché un giorno, una spia industriale non ha trafugato e portato nel casolare il prototipo segretissimo di una moto giapponese, vero?
- Come fa a saperlo?? Eravamo solo in quattro!
- No: c’ero anche io, la tenevo d’occhio. Pure io sono un appassionato motociclista… forse molto più di lei, dottore. Circa un anno fa, durante un’indagine, un mio informatore mi dice che nei pressi del casolare sorgerà uno strano circuito rotondo dove le moto potranno andare a trecento… tante voci, magari false, che mi hanno spinto a fare giri in moto alla ricerca di movimenti insoliti o di strani prototipi… ogni tanto ne incrociavo uno ma non riuscivo a raggiungerlo, troppo veloce per me. Poi un giorno ho incontrato lei nella stessa zona, pensavo che avesse la mia stessa curiosità e l’ho seguita con discrezione fino alla cascina. Da quel giorno ho continuato a pedinarla ogni sera… fino al giorno in cui la spia industriale porta nel casolare il prototipo giapponese trafugato non si sa come e trasportato in Italia, per sua stessa ammissione, con un volo privato pagato dal governo.
Vuole che continui?
- Parisi, lei conosce molte cose ma non è esattamente come crede!! Appena vidi quel prototipo giapponese, enorme, col cambio a sinistra, alta come una statua e pesante come un bue, capii che se l’invasione gialla spazzerà via dal mercato le moto italiane, minute, col cambio a destra, io non avrei mai più potuto guidare una motocicletta! Capisce!?? Mai più!! Finito!! La paura di sentirmi sempre più insignificante con la mia moto che sarebbe diventata sempre più superata e piccola al confronto con le stupefacenti novità giapponesi mi condusse alla follia! La sera del primo di settembre in quel casolare trovai il presidente dell’associazione segreta delle case italiane, che per sviare ogni sospetto lavora con una casa tedesca ed è crucco pure lui, la spia industriale svizzera e un giapponese prezzolato: un alto dirigente di una casa di Hamamatsu che faceva il doppiogioco. Questo qui rideva, pontificava sulla magnificenza del prototipo e diceva che per sabotare la loro produzione voleva altro denaro, tantissimo denaro! Aveva pure portato con sé un pistone di 104 millimetri di diametro come prova dell’esistenza dei futuri progetti che minacciano la produzione italiana: è il pistone col quale ho ucciso Aricò.
- Lo so, ma…
- …mi lasci finire! Il presidente nicchiava e prendeva tempo, quel denaro per fermare l’avanzata dell’industria giapponese gli sembrava troppo, tenuto pure conto delle enormi somme che le case italiane già versavano ai politici. La rabbia per la noncuranza dei tre stranieri verso la mia condizione montava fino al parossismo: sganciai la mia gamba di legno e reggendomi a malapena su quella sana, la destra, vibrai un colpo fortissimo in testa al giapponese che crepò all’istante. Il presidente e la spia inorridirono e cercarono di prestagli aiuto, ma non ci fu nulla da fare: fuggii poco dopo, portando con me il pistone da 104. Ero sconvolto, vagai senza meta nella campagna per un po’, poi tornai a casa esanime; non dormii; la notte mi servì per arrendermi all’evidenza di avere commesso un inutile omicidio e l’indomani andai in procura con l’intenzione di costituirmi, sempre che la polizia sapesse già del mio gesto e non mi avesse arrestato prima. Arrivato in procura tutti parlavano del massacro dei tre uomini e io rimasi basito e incredulo nel momento in cui realizzai che qualcuno aveva ammazzato anche gli altri due, asportando loro il volto e la pelle delle mani per rendere difficile l’identificazione; mi finsi sereno ma indignato e andai pure io da Aricò a cercare di capire cosa fosse accaduto. Mi convinsi della necessità assoluta, a quel punto, che l’indagine mi fosse assegnata: solo così avrei potuto scoprire cosa fosse veramente accaduto e proteggermi le spalle da chi, magari, avrebbe cercato di uccidere pure me nella stessa brutale maniera… spero solo di non fare la stessa fine... Dio mio…
- …continuo io e lasci stare il creatore che già a noi due l’ha combinata grossa… sono alto meno di un metro e trenta; la mia modesta statura è sotto gli occhi di tutti: nonostante i miei patetici tentativi di dissimularla con scarpe coi tacchi, mi trovo a fare i conti ogni giorno col mio nanismo. Se sono in Polizia lo devo principalmente ad un rigurgito antifascista che, oramai molti anni fa, ha aperto le porte delle forze armate anche alle persone fisicamente… poco dotate. Grazie alla mia menomazione ho potuto nascondermi facilmente all’interno del casolare dopo averla seguita per l’ennesima volta. Pure io ho visto la moto. Gigantesca. E quelle che arriveranno saranno sempre più alte, grandi, pesanti. Io non ho futuro, motociclisticamente parlando: arrivo ad afferrare a malapena il manubrio della mia motocicletta, su quelle giapponesi dovrei lasciare perdere.
Proprio come lei, dottore, ho paura. Non arriverò nemmeno alle pedane delle moto che arriveranno sul mercato da qui a pochi anni. L’ho vista sfilarsi la gamba e scagliare sul giapponese un colpo che avrebbe ucciso un toro. Ha fatto bene, non la biasimo: è stata legittima difesa. A noi che non siamo abili come la maggior parte delle persone, non ci pensa mai nessuno; l’indifferenza della gente comune ci rende la vita difficile e quando non è indifferenza, è pietà. E io non la voglio la pietà. Con quel colpo alla testa del tracotante giapponese lei ha rivendicato i nostri diritti ad essere trattati allo stesso modo di chi non ha menomazioni e soprattutto a non essere considerati bestie da serraglio. Purtroppo, dopo la sua fuga il presidente e la spia svizzera hanno iniziato a dire che era il caso di chiamare la polizia. O perlomeno così mi è sembrato, non capisco bene il tedesco. Sentendo “polizai” sono uscito fuori da dietro i mobili, qualificandomi: loro erano increduli e scioccati... Li ho rassicurati, poi ho afferrato una scultura in alabastro e mentre erano chini sul cadavere in un estremo tentativo di rianimarlo, li ho colpiti entrambi alla testa. Un colpo per uno, stecchiti.
- …è stato lei…
- Sì. Sono stato io. Non è tutto… ho realizzato che non si sarebbe mai dovuto risalire alle identità degli uccisi per non far saltare fuori la vicenda; sfortunatamente, come vede, non ho doti fisiche sufficienti a spostare un cadavere e occultarlo… ho dovuto rendere irriconoscibili i corpi, asportandone i volti e la pelle delle dita. Ha funzionato anche da monito: nessuno ha reclamato la scomparsa dei tre, l’inchiesta ha avuto esito vano e tutti e due siamo ancora in sella, dottore. Ed è quello che conta, per noi motociclisti. Sfortunatamente la spia svizzera aveva portato con sé, di nascosto dalla moglie, l’amichetta: lo svizzero aveva davvero dei gusti orribili in fatto di donne e probabilmente solo lui sapeva che la signorina era nel casolare: io stesso me ne accorsi solo alla fine, sentendone i passi sulle scale che portavano alla rimessa; a quel punto, nascosto dietro una porta, ho visto la signorina, o forse farei meglio a chiamarla peripatetica, chinarsi, prelevare i portafogli dalle tasche dei cadaveri e allontanarsi come se nulla fosse accaduto. Credo sia stata lei a chiamare il giornale svizzero per dare la notizia. Sono convinto che continuerà a tacere, a meno che non ami vedersi tagliare via il volto e le impronte...
- Ci mancava solo la puttana… comunque, se anche parlasse non le crederebbe nessuno. Ora è tutto chiaro. Grazie, Parisi. Grazie.
Pressione e temperatura in calo. È la fase di scarico: il pistone continua la sua corsa forsennata ed espelle dal cilindro i gas combusti salendo di nuovo verso il punto morto superiore. Ma è una quiete temporanea: tra pochi istanti le valvole di aspirazione si riapriranno e altra miscela esplosiva farà il proprio ingresso nella camera di combustione, pronta allo scoppio.
- Solo una cosa non mi spiego ancora, Vernullo.
- Dica.
- Perché ha ucciso Aricò? Era tutto a posto, mancava solo l’archiviazione…
- Subii pressioni pazzesche dal mondo politico per insabbiare l’inchiesta. Gli onorevoli avevano ricevuto enormi tangenti per guidare e favorire la nascita dell’associazione segreta delle case motociclistiche e sicuramente erano tutti sulla graticola perché non capivano cosa fosse accaduto; solo un’archiviazione rapida li avrebbe messi al sicuro da terribili sorprese, dato che non riuscivo a risolvere il caso. Capii che era pericoloso mettermi contro i politici e i potenti in un gioco più grande di me e avanzai la richiesta di archiviazione al procuratore capo. Immediatamente dopo, la paura che sfuggendomi l’inchiesta potessi in futuro essere identificato come l’autore di almeno uno dei tre omicidi, mi costrinse a ucciderlo. Credevo che la morte di Aricò avrebbe tenuto in vita l’indagine sui tre cadaveri, così avrei avuto almeno un’arma contro chi avesse potuto ricattarmi, ma non avrei mai potuto pensare che l’unico che potrebbe farlo è seduto di fronte a me adesso… lei, Parisi.
- Può stare tranquillo, dottore. Siamo sulla stessa barca...
- Com’è strana la vita, il giudice e il maresciallo sono gli autori dei delitti sui quali sono chiamati a fare luce… Sa, nei giorni seguenti al mio folle gesto ho riflettuto molto. La paura di essere scoperto saliva, ma cresceva pure la curiosità di sapere chi avesse ucciso gli altri due e sfigurato i volti ed ero determinato a svelare ogni lato della vicenda, per poi magari depistare le indagini. Parisi, lei è un abile investigatore. Ma è un nano. Io sono uno zoppo con una gamba di legno, ma sono un magistrato. Entrambi siamo due irragionevoli motociclisti e vorremmo che il mondo non cambiasse, non si evolvesse, che tutto rimanesse sempre come piace a noi. Ma noi non siamo Dio.
Con ogni probabilità i giapponesi invaderanno le strade con le loro motociclette enormi e veloci mentre a noi non rimarrà che giocare con la briscola, il tressette e il settebello: arrendiamoci. I politici hanno sciolto l’associazione segreta e comprato il mio silenzio con la promessa di proporre e approvare un disegno di legge per una patente speciale per chi si trova nelle nostre condizioni; le difficoltà non mancheranno per l’ottenimento di questa patente, eppure sono fiducioso. Inoltre, sapevo dell’esistenza di un progetto per una moto sportiva italiana che potrebbe competere con quelle giapponesi per prestazioni, peso e dimensioni e, forse, col cambio a sinistra ma fortunatamente l’autunno caldo denso di scontri sindacali ha bloccato completamente l’idea. Meno male, non tutto è perduto.
- Lei crede veramente che le motociclette italiane scompariranno?
- E che ne so, Parisi! Credo che in futuro le moto piccole saranno solo utilitarie e scadenti, sia giapponesi che europee. Ma dopo nostri delitti è uno scenario meno probabile di prima … scusi, il telefono…
Vernullo passa due minuti ad ascoltare la cornetta, in silenzio. Poi aggancia, senza salutare.
- Ci sono altre novità per lei, dottore? Mi sembra più sconvolto di prima.
- Due zelanti ingegneri durante l’autunno caldo hanno trafugato i progetti della maxi moto italiana di cui le parlavo prima, l’hanno sviluppata nel garage di casa e adesso che gli scontri sindacali si sono calmati sono decisi a mandarla in produzione… questo può cambiare tutto.
- È la fine.
- Per lei, Parisi. Per me no: ha ancora la leva del cambio a destra.
Parisi si alzò, anzi, scese dalla sedia e volse le spalle al magistrato. Fece per andarsene e aprendo la porta, sibilò: - la sposteranno a sinistra. La saluto dottore; che lei lo voglia o no, stiamo dalla stessa parte e so di poter contare sulla sua collaborazione: se ci sarà ancora bisogno, faremo quello che dobbiamo.
- Non possiamo spingerci ancora più in là, maresciallo! Io non sono un criminale!
- No? Un motociclista va sempre al di là del limite.
- Se ne vada!! Correndo dietro le farfalle da bambino ci ho rimesso la gamba su un residuato bellico, non perderò la mia libertà solo per inseguire una passione irrazionale! Fuori!!
Il giudice si alzò, chiuse la porta e ci si appoggiò con le spalle.
La sera dopo, Antonio Vernullo fu visto allontanarsi dalla procura a bordo di un’automobile che lo attendeva; il mattino seguente ne fu rinvenuto il corpo in un fosso ai lati di una statale. Gli investigatori chiamati ad occuparsi del decesso si dissero certi che il magistrato avesse perso il controllo della moto ritrovata nelle vicinanze del suo cadavere: un prototipo 1200 c.c. a due cilindri, cambio a sinistra.
Parisi chiese immediatamente il trasferimento in Sicilia. Pochi mesi dopo, la peripatetica divenne sottosegretario al ministero dell’Industria. Molto avanti coi tempi.
Antonio Privitera