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Siamo vicini l’uno all’altra in un angolo dell’officina e attendiamo che ci vengano restituite le rispettive motociclette con gli pneumatici nuovi, appena montati. Io questa signora non la conosco, lei forse sì perché mi fissa a nemmeno quaranta centimetri da me. Faccio finta di nulla e mi trastullo con lo smartphone, ma sono a disagio. Mi mettono sempre a disagio le persone che mi fissano. Lei prende fiato, poi con una voce delicata come un’arpa ma profonda come una chitarra baritona, inizia:
- È una notte di luglio dei primi anni ’90 e Nadia ha diciotto anni, con suo fratello di otto anni più grande di lei percorre in motocicletta una rapida strada lungo le colline fresche, mentre una macchina con a bordo due giovani uomini li travolge con un frontale mentre percorrono una curva veloce. Giulio rimane ucciso, la sua naked 900 distrutta, mentre lei non si riprende e smette di camminare a causa delle gravi fratture alle gambe.
Pausa. Io mi guardo intorno, siamo soli. Poco più in là gli alacri gommisti. La osservo e mi chiedo cosa prende alla gente con la stagione calda… quindi con molta gentilezza mi permetto di osservare:
- Senta signora, io sto aspettando che cambino le gomme alla moto, non mi interessano queste storie. E poi, mi scusi tanto, ma lei parla come un telegiornale.
La donna mi guarda, sorride e infierisce:
- Segue un processo per omicidio dal quale Aleksandr e Thomas, i due uomini sull’automobile, escono puliti perché dichiarano che alla guida dell’auto era Aleksandr, il figlio di un importante funzionario dell’ambasciata russa in Italia; il padre di Aleksandr trama e minaccia il caso diplomatico, scomoda amici potenti, fa inserire la vicenda del figlio sul piatto della bilancia di alcuni importanti accordi commerciali tra Italia e Russia e alla fine il figlio viene totalmente prosciolto dall’accusa di omicidio anche perché il suo tasso alcolemico nel sangue al momento dell’incidente non era oltre il limite consentito dalla legge; al contrario, lo stesso test su Thomas rivela che aveva bevuto troppo, ma non era lui alla guida. Thomas e Aleksandr sono colleghi, lavorano entrambi per un famoso marchio italiano della motocicletta. Grazie alle pressioni del papà di Aleksandr e al fatto che Thomas sostiene davanti ai giudici che la moto di Giulio aveva oltrepassato la striscia continua al momento dell’impatto fatale, circostanza tra l’altro confermata da Nadia, tutto viene rubricato come un semplice incidente stradale. A causa dell’urto Aleksandr riporta alcuni lievi traumi alla testa e non ricorda nulla di tutto quello che è accaduto, mentre Thomas pochi giorni dopo sta già benissimo; la macchina, di proprietà della Casa motociclistica, viene sequestrata dalla magistratura per tutta la durata del processo e poi demolita con la speranza di demolire assieme a lei pure i brutti ricordi.
Questa donna parla come se versasse un bicchiere d’acqua. Scorre fluida, non si arresta, è calma, rilassa. Io faccio fatica ad ritenerla inopportuna perché se anche declamasse l’elenco delle fermate della metro di Milano resterei ad ascoltarla incantato dalla sua voce e dal tono colloquiale. Ma rispolvero la mia dignità di ascoltatore che non desidera essere oggetto di confidenze non richieste:
- Mi perdoni signora, innanzitutto i complimenti: bella trama; ora mi dica, è il film che ha visto ieri sera con suo marito? È una sua invenzione, oppure gliel’hanno raccontata ed è come una catena di S. Antonio e lei deve passarla ad altre cinque persone? In tutti questi casi, mi faccia il sacrosanto piacere di lasciarmi in pace.
Replico così, come punto da uno sciame di api. Lei non fa un plissè:
- In seguito al trauma della perdita del fratello, Nadia abbandona gli studi di medicina appena iniziati e su suggerimento di Thomas la Casa motociclistica le propone un lavoro come segretaria di direzione; ne nasce così una storia toccante che le testate giornalistiche anche extra settore si affrettano a raccontare, la Casa motociclistica ottiene un ritorno di immagine straordinario sulla carta stampata. Lei accetta e per cinque anni non cambia mansione, nemmeno quando Aleksandr stesso viene nominato direttore generale. Thomas, invece, continua ad occuparsi del marketing. I rapporti tra i tre sono gentili, forse un po’ troppo attenti alle formalità, forse pure un po’ falsi, con Thomas che assume il ruolo di paciere tra Aleksandr e Nadia quando le intemperanze del direttore generale, ma forse dovremmo chiamarlo “zar”, la feriscono fino ad umiliarla.
La blocco con la mandibola che mi cade verso il pavimento. Questa parte della storia mi sembra di averla già sentita molti anni fa, dovrei verificare su Internet. Lei non mi degna di un minimo di pietà o di comprensione e avanza tetragona e indifferente come un Dyna Glide sulla Ruote 66; si vede che sta godendo, proprio come una Harley nei lunghi rettilinei delle statali americane.
- Col passare del tempo, il nervosismo di Aleksandr si fa sempre più isterico: toni sempre alti e pronto ad arrabbiarsi con tutti, Nadia suo malgrado ne è il parafulmine dato che lavora sempre a stretto contatto con lui ma non riesce più a sopportare la situazione e se ne lamenta con Thomas, il quale cade dalle nuvole. Un giorno di giugno durante un pausa caffè Nadia incontra Lucrezia, la fidanzata di Aleksandr spesso di passaggio negli uffici della direzione generale. Lucrezia ha molta tenerezza verso Nadia e quando quest’ultima le confida del nervosismo di Aleksandr, delle sue reazioni al limite della violenza, della sua apparente bipolarità data da momenti di incredibile irascibilità seguiti da lunghi minuti di triste mutismo, Lucrezia riferisce che anche con lei Aleksandr è diventato strano e quasi paranoico. L’unica cosa che Aleksandr le ha detto per giustificarsi, nelle notti degli ultimi mesi, è che inizia ad avere qualche ricordo dell’incidente e si sente angosciato e confuso, forse è una sindrome da stress post traumatico, oppure la memoria comincia a tornargli e sta rimettendo tutto in discussione.
La donna fa una pausa. Prende fiato, o forse coraggio. Cerco di non dire nulla per non turbare un equilibrio che spero mi porti fino alla fine di questa storia, fino alla convinzione che sia totalmente inventata e sentire la donna, che mi sembra di circa una quarantina d’anni, farsi una gran risata gratificata dall’avermi preso per il naso. Comunque non c’è scampo da una storia che ha anche solo una parvenza di verità:
- Tre giorni sono sufficienti a Nadia per capire che l’aria che tira sta per diventare oltremodo pesante. La goccia che fa traboccare il vaso è l’ascolto di una conversazione tra Thomas e Aleksandr che intercetta lasciando aperto l’interfono nell’ufficio di Aleksandr, nella quale Thomas diventa insistente sui ricordi dell’incidente che Aleksandr ripete di non avere nitidi ma di fare sogni strani e angoscianti, nei quali rivive la scena dell’incidente vedendo alla guida Thomas e non se stesso.
«Zitto! Se per caso ti venisse mai in mente di raccontare a qualcuno ‘ste cose, saremmo finiti tutti e due! E’ andata come ho raccontato io al processo e basta! Tu guidavi e quel coglione ci è venuto addosso invadendo la nostra corsia! Basta! Capisci basta?!! E che cazzo, non ti ricordi niente per cinque anni e ora vieni assalito dai dubbi? Dai rimorsi? Ascolta, russo del cazzo, è già pesante far restare Nadia qui con quel suo sguardo da pesce morto e l’allegria di un cadavere, vediamo di seppellire questa storia come abbiamo seppellito la macchina demolita e tiriamo avanti. Del resto l’unico testimone dell’incidente sono io: uno è morto, tu hai perso la memoria, Nadia non ha capito quasi nulla. La moto ci è venuta addosso abbagliandoci, è stato un attimo. Fatti bene i conti e vedi chi ci rimetterebbe a cambiare la versione dei fatti. Senti, Aleksandr: io ti voglio bene e ti dico che la tua figura qui in azienda sta perdendo autorevolezza; vedi di calmarti e dedicati al lavoro, "intelligenti pauca!"».
Thomas esce dall’ufficio di Aleksandr con il muso ingrugnito.
Pausa pranzo delle tredici, uffici e piazzali deserti: l’ora di mettersi all’opera.
Nadia annuncia al proprio capo che sta per arrivare, lascia la propria scrivania portando con sé uno zainetto e pochi secondi dopo quasi sfonda la porta dell’ufficio del direttore generale con le nocche.
«Che violenza! Entra, Nadia. Allora, di cosa volevi parlarmi?». Aleksandr Tukmanovic continua a leggere in piedi, di fronte la propria scrivania, fogli sfusi sull’andamento del mercato; non guarda la sua segretaria personale che ha appena bussato.
«Allora, mi hai sentito? Che volevi dirmi? Mi hai portato il pranzo?» continua a testa china sui fogli.
Nessuna risposta, solo un fruscio di vestiti.
«Nadia, sei pure sorda oltre che storpia?»
Il proiettile lo raggiunge freddandolo; Nadia abbassa la pistola silenziata, esce dall’ufficio e scende di un piano, invade le sale destinate alle riunioni alla ricerca di Thomas Valeri, lo trova, isolato da tutti, intento in una conversazione telefonica piuttosto agitata. Thomas la vede avvicinarsi con lo sguardo assassino e la sottovaluta forse non ritenendo pericolosa una ragazza di ventitré anni.
«Fai buon viaggio, Thomas» gli sussurra alle spalle poco prima di premere il grilletto, spegnendolo come un cerino in un bicchiere d’acqua. Lo vede andare a fondo, avere uno scatto, calmarsi.
Ora deve andare, è tutto pronto. Scende ancora più giù, al piano cantinato nel deposito veicoli dove giace da molti anni la naked 900 pazientemente restaurata a spese della Casa motociclistica proprio dai suoi tecnici, gli stessi che l’hanno costruita molti anni fa. Nadia l’ha sempre voluta pronta a partire, batteria carica, pieno, gomme ok, diceva che era nel caso il fratello fosse tornato e avesse avuto voglia di fare un giro e nessuno ha mai avuto voglia di scontentare una povera ragazza sulla sedia a rotelle.
Nadia si guarda intorno, la moto è lì, rossa e sferragliante appena il motore viene avviato. Tra i pochi addetti rimasti nell’enorme deposito veicoli il rumore non insospettisce nessuno. Si alza dalla sedia a rotelle e sale sulla motocicletta, dallo zaino estrae un casco, guanti, un giubbotto leggero con i colori dell’Azienda; ci mette un po’ a riprendere confidenza con il manubrio e le pedane ma le basta un minuto, del resto non ha molto tempo per scappare, ma ha un vantaggio: tutti cercheranno una ragazza sulla sedia a rotelle, nessuno una virago su un 900 a carburatori. Nadia non ha mai smesso di camminare: solo, dopo l’incidente le serviva un piano b che le garantisse una via d’uscita. Ha ingannato tutti, pure i medici, le fratture alle gambe erano gravi ma in qualche modo sono guarite permettendole di stare in piedi, non di correre ma almeno di camminare.
- Perché? Perché ha trascorso tutti quegli anni su una sedia a rotelle? – chiedo alla donna.
- Non ho finito. Stia zitto e ascolti. Nadia esce dalla fabbrica e si dirige verso sud, più in fretta che può, riesce a fare perdere le sue tracce e scompare per sempre.
- E poi?
- Passato un anno, scrive una lettera dove racconta la sua versione dei fatti; la manda a tutti i giornali di motociclette, ma nessuno le dà credito e la lettera non viene mai pubblicata ritenendola opera di un mitomane.
- Sì, ma poi? Insomma perchè Nadia ha ammazzato quei due? Ok, lo capisco pure io che forse alla guida dell’auto al momento dell’incidente c’era Thomas e che quando Aleksandr ha iniziato a recuperare la memoria Thomas temeva che il collega perdesse di lucidità, rimettesse tutto in discussione mettendo Thomas nella probabilità di essere accusato di omicidio colposo, oggi diremmo “omicidio stradale”, ma perché Nadia li ha fatti fuori? Che interesse poteva avere? Vendetta? Poteva farlo prima, allora! Insomma, se lo faccia dire da me che ogni due settimane me ne invento una, questa storia era partita bene ma adesso non regge! Se la pubblicassi avrei tutti addosso a farmi le pulci!
- Lei è supponente – smette di fissarmi e guarda in basso – e anche precipitoso. La lettera che Nadia ha mandato ai giornali gliela sto recitando passo per passo. Credo di averle dato troppa fiducia, l’ultima parte preferisco tenerla per me.
- Faccia come vuole - …e vada da uno bravo, mi viene da aggiungere, ma desisto. La donna rimane appoggiata al muro, io mi allontano risentito e anche decisamente deluso dal non avere potuto conoscere l’epilogo della vicenda di Nadia.
Nel frattempo la mia moto è pronta, la portano spingendola. Che bello avere la moto con le gomme nuove! Almeno altri 8000 km di strade e di passione, non sto più nella pelle! Sbrigo le formalità con un assegno, salgo sulla moto ed esco dall’officina, mi sono preso la mattina libera per rodare ben benino gli pneumatici, un bel giretto non me lo leva nessuno. Dieci minuti dopo sono già in collina con le orecchie per terra; ma il mio ego viene ridimensionato istantaneamente da un 1200 rosso che mi fa un esterno da manuale: un gran manico, non c’è dubbio, che dopo poco vedo fermo a bordo strada e farmi un cenno. Riesco a fermarmi qualche metro più in là, il pilota del 1200 scende dalla sella e avanza verso di me zoppicando e ancheggiando in modo innaturale. Sfila il casco, è la donna di prima. Il mio primo istinto è di chiamare il 112, questa deve essere un po’ tocca.
- Sa una cosa?- esordisce – lei non vale niente come scribacchino ma come motociclista è ancora peggio.
- Ho i miei limiti in tutto - rispondo piccatissimo
- Speravo che almeno lei mi ascoltasse.
- Signora, io non credo in niente. Valuto solo se una storia ha un minimo di verosimiglianza. La sua, abbia pazienza, è una cavolata. Perdoni il francesismo, ma è il minimo quando mi sento seguito e braccato da una sconosciuta.
- Lei ha poca fantasia.
- E lei è una maleducata!
- No, sono solo disperatamente sola e ho bisogno di fissare i mei ricordi, di essere creduta e di sentirmi viva, è troppo tempo che vivo in clandestinità. Io sono sempre stata cosciente, anche nel momento dell’incidente. Ricordo molto bene Thomas che scende sanguinante dal lato guida, Aleksandr che rimane dentro la vettura svenuto, Giulio immobile col casco crepato. Io ero cosciente e ho visto tutto, pure la faccia da beota di Thomas mentre invado la loro corsia, illuminata dagli abbaglianti della 900 di mio fratello. Ho visto tutto e non ho potuto dire nulla, perché la moto la guidavo io. Senza patente, senza esperienza. Ho preferito non rischiare e aspettare. Io ero viva, e questo bastava. Se Aleksandr avesse ricordato sarei finita in carcere. Forse anche Thomas, o forse lui se la sarebbe cavata come se l’è cavata Aleksandr.
- Nadia…?
- La racconti lei, questa storia. Forse a lei crederanno.
E congedandosi con due dita a “V” come non ne vedevo da tempo, mi abbandona sulla strada. Questo, credetemi, è tutto quello che ricordo.