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Se si fa presto a dire moto e motori dove i bimbi crescono a tortellini e pistoni, quando invece abiti nella piana di Gioia Tauro è complicato fare capire al resto del mondo la tua viscerale voglia di moto ed è ancora più difficile farne una scelta di vita: questa è una storia breve ma vera, una storia che metto in memoria coi tag “forza di volontà”, “famiglia” e “Z”.
Biagio è nato a Melicucco, provincia di Reggio Calabria, ed è uno di quelli che i Police cantavano in “Born in the ‘50”: ragazzi cresciuti nel boom economico del dopoguerra che si godevano il fiorire in tutto il mondo delle nuove prospettive di vita, dei nuovi traguardi raggiunti dalla tecnica e da un’economia che, perlomeno alle nostre latitudini, aveva preso la rincorsa: in questo contesto Furfaro padre apre un fortunato negozio di abbigliamento a Melicucco. Il figlio Biagio, non appena in grado di intendere e volere motociclisticamente parlando, manifesta il proprio gradimento per le potenti e ingestibili Kawasaki due tempi degli anni ’70, passione assolutamente non condivisa dal padre; e ti pareva. Questo è un bel problema che in molti abbiamo affrontato con lamentele, preghiere, incazzature e attese spasmodiche per un’emancipazione economica che ci avrebbe permesso di tenere in debito conto le prescrizioni paterne ma di fare bellamente a modo nostro, ovvero veleggiare a testa bassa verso l’acquisto della prima motocicletta guidati principalmente da una passione irragionevole e pervasiva come l’ebbrezza per un innamoramento che non sente ragioni.
Biagio, per soprammercato, decide che aspettare l’età giusta e la patente è una insopportabile scocciatura e acquista a diciassette anni la sua prima motocicletta (una Kawasaki 500 due tempi tre cilindri: una H1B) all’insaputa di tutti e nonostante l’assenza dei requisiti fondamentali di cui sopra. La sua passione è troppo forte, più gagliarda pure di una fastidiosissima artrite reumatoide che col tempo lo porterà a non riuscire più ruotare i polsi ma non a rinunciare alla motocicletta (tranquilli, un certo Kevin#34 con un polso bloccato guida ancora ad alti livelli…). Ma la dimensione di un paese è tale da non fare restare segrete a lungo le cose: nonostante Biagio indossi il casco per non farsi riconoscere - ben prima che la legge ne imponga obbligatorietà- , la notizia della sua avversione per le velocità codice e il sereno diporto arriva presto alle orecchie del papà e di lì in poi è uno scontro che si risolverà presto in rassegnazione sia da parte del genitore e sia da parte dei vigili urbani di Melicucco che evitano di calcare la mano con quel giovane un po’ esuberante ma che si fa voler bene.
Gli anni passano, nel garage le motociclette si accumulano, soprattutto Kawasaki Z 900 e 1000, e Biagio affianca il padre nel negozio di abbigliamento ma nel frattempo presenzia a moltissimi mercatini e mostre-scambio, dove inizia a farsi un nome come specialista delle sopraffine Kawasaki a quattro cilindri; non può e non vuole rinunciare all’attività paterna che in seguito rileva e conduce da solo, ma riesce a dare attuazione concreta a quella passione per la moto che lui desidererebbe costituisse il 100% della sua attività lavorativa. Eppure, il mondo cambia: alla fine degli anni ottanta il negozio inizia a non garantire più il reddito sufficiente a dare a Biagio e alla sua famiglia sicurezze economiche e, scomparso il padre, Biagio decide che è il momento di puntare tutto sulla sua passione per le motociclette. Visti i risultati, l’idea è stata coraggiosa ma provvidenziale. Purtroppo non tutto va come ci si aspetta: dalla vendita del negozio non si ricava che un credito inesigibile e messo di fronte ad una situazione difficile, Biagio reagisce scalando non una ma due marce e dando pieno gas: con una determinazione e una visione da fare invidia al mondo “Mister Z” coglie l’occasione per trasferirsi a Parma e ricominciare da lì, anzi da “Z”, nel capoluogo emiliano dove già il figlio Enzo si è insediato in un bilocale per frequentare l’università. La mossa è azzardata come una piega al limite con un Kawasaki HB1, ma il resto della famiglia (la signora Pasqualina, le figlie Cristiana e Polsina) non ha dubbi e tutti e cinque si stipano nel bilocale, certi che in Emilia-Romagna sia molto più semplice gestire l’attività di acquisto e vendita di ricambi e moto d’epoca.
A Parma Biagio affitta nel 1989 una stalla nella quale trasferisce in poco tempo le sue “Z” e tutto ciò che aveva nel garage a Melicucco, ma ben presto gli affari decollano e si dota di un capannone di 500 metri quadrati che poi, col raggiungimento di un notevolissimo volume di moto e ricambi movimentati, abbandona per spostare la sua attività in un capannone grande più del doppio. Biagio è felice, ha finalmente coronato il sogno di mantenere sé e i propri cari lavorando nel mondo delle moto, tra l’altro guadagnando una riconosciuta autorevolezza nel campo del restauro delle motociclette giapponesi, ed il suo emozionante mestiere di rivenditore/restauratore è diventato il mezzo di sostentamento di tutti i Furfaro che non mancano di ringraziare le moto e il capofamiglia per il coraggio e i sacrifici affrontati; del resto, se non ci fossero state le motociclette tutta la famiglia avrebbe passato periodi molto difficili dopo l’infruttuosa vendita del negozio di abbigliamento.
Sembrava tutto bello. Sembrava tutto non facile ma possibile. Sarebbe potuto essere per sempre: i figli si laureano con successo a Parma, Biagio e Pasqualina continuano a trattare vecchie glorie a due ruote nel loro capannone; la vita sarebbe potuta passare così, con la soddisfazione di essere ritenuto uno dei massimi esperti di “Z” in Italia e richieste di restauro per un “testa nera” che arrivano anche da oltreoceano. La storia potrebbe finire qui.
Ma tre telefonate al giorno per undici anni sono un campanello d’allarme. Sono la spia che la nostalgia e il richiamo della terra, dei propri amici e della propria famiglia sono inevitabili. Da quando si è trasferito a Parma, Biagio chiama almeno tre volte al giorno la madre o gli amici a Melicucco e alla fine, dopo più di undici anni di vita Emiliana, così come aveva avuto un coraggio leonino per sradicarsi e cercare maggiore fortuna al nord, Biagio con una serena risata decide che è venuto il momento di tornare in Calabria, perché i figli si sono laureati e lui ha già un altro progetto: se non è mai potuto diventare un concessionario, almeno avrà il suo show-room. Cominciano le grandi manovre alle quali partecipa tutta la famiglia per trasportare con tre viaggi Emilia-Calabria di un enorme bilico tutto il contenuto del capannone; Biagio saluta meglio che si può una terra che l’ha accolto ma che forse non l’ha mai conquistato, perlomeno nel cuore. E’ stato bellissimo ma ora è finito; si torna a casa e si ricomincia, ancora una volta.
Incontro Biagio Furfaro nella sua officina a Melicucco, dove restaura e tratta ogni moto come se dovesse tenerla per sempre. Per me che l’ho visto lavorare è stato facile capire il rapporto quasi simbiotico che lega “Mister Z” alle motociclette che cura augurandosi sempre di non doversene mai separare, quasi a sperare di non ricevere mai la telefonata di un acquirente. Scaffali enormi zeppi di ricambi, serbatoi, cerchi, forcelloni, parti motore, c’è da perdere la testa per le meraviglie che trovo in un luogo che certo non sospettavo così pregno di chicche uniche; nell’officina giacciono interi Z 900 smontati e ricondizionati fino alla più piccola vite in attesa di essere assemblati e rimessi a marciare come le altre splendide Z (una 400, una 650 e una 1000 lucide e perfette come appena uscite dalla catena di montaggio) che fanno capolino da sotto un telo, nell’assoluto ordine e pulizia.
Biagio è un torrente saggio di storie di motociclette e viene spesso interrotto dal telefono dal quale dispensa generosamente consigli e pareri per un restauro a tutti gli appassionati che lo chiamano e comunica una voglia di fare bene che è contagiosa, che mette di buonumore e fa capire che con la buona volontà e il coraggio tutte le difficoltà sono superabili, nella vita, nel restauro delle motociclette giapponesi, nel recuperato rapporto con la propria terra. Mi emoziona capire con quale cognizione di causa mostra le sottili differenze tra parti che sembrerebbero identiche e che invece hanno una precisa collocazione a seconda dell’anno di produzione della Z 900, del resto è evidente un sapere quasi enciclopedico sulle moto degli ultimi 50 anni che Biagio non ostenta ma elargisce con gentilezza.
Dei suoi polsi bloccati vi ho già detto. Onore al merito.
Del fatto che il suo show-room a Melicucco –nei locali dell’ex-negozio di abbigliamento- sarà pronto tra poco, mi ero quasi dimenticato.
Purtroppo, infine, non ho modo di provare come dal suo covo io sia uscito ubriaco di positività e benzina rossa tanto da mandare in tilt l’etilometro della passione motociclistica. Per una volta, fidatevi.
Antonio Privitera