I racconti di Moto.it: "Rozzo Motostile"

I racconti di Moto.it: "Rozzo Motostile"
La testa mi scoppiava e correvo alla toilette ogni dieci minuti, era il conto da pagare per avere ecceduto con la birra. Belle ma troppo alcoliche, le riunioni notturne tra centauri...
20 luglio 2012

La testa mi scoppiava e correvo alla toilette ogni dieci minuti, era il conto da pagare per avere ecceduto con la birra. Belle ma troppo alcoliche, le riunioni notturne tra centauri: quella sera d’estate non fece eccezione, eravamo in trenta a quel tavolo di pub lungo una quaresima, tutti alticci, allegri e vanamente loquaci. Il pub si chiamava Distortion, lo ricordo bene. Si agitava sul palco una tribute band dei Cult, il chitarrista imbracciava una White Flacon vintage e aveva tra i piedi un preamplificatore V-Twin. Quando si dice il caso.
Molti parlavano ad alta voce, alcuni addosso a se stessi, altri solo per annuire, altri solo per mentire. nD’improvviso il tavolo traballò impennandosi come un Ciao truccato: all’estremità opposta un gigantesco commensale si mise in piedi aiutandosi con le mani, sorrise a tutti e alzò il boccale da un litro, versandone il contenuto in gola imponendo il silenzio. Dopo aver trangugiato una quantità di birra da stendere un cinghiale, aprì gli occhi e parlò con il tono di chi comunica il proprio più delicato pensiero: “Eppure io vi dico che un giorno le motociclette non saranno più tutte uguali, ognuno avrà una moto in base ai propri bisogni e ai propri meriti”.


Con questa frase pronunciata a fronte alta, Jack ci abbandonò salendo su una motocicletta grigia-nera e noi tutti, attoniti, prendemmo a domandarci chi fosse questo ragazzo grande quanto un 1300 sei cilindri e coperto di tatuaggi dalla schiena fino alle dita grosse come cannoli alla ricotta. Rauni, nome finlandese per un ragazzo siciliano, ci disse: “è Jack”. “e che fa, Jack?”, chiese uno alla mia destra. Rauni rispose “è mio amico, creiamo motociclette”. “ah”, dissi io con la bocca impastata e la testa in un vortice.  I più eleganti di noi si alzarono dal tavolo del pub ridicolizzati dalla semplicità delle parole appena udite, ripresero le loro brillanti cavalcature e si dileguarono, accusando Jack di fare il Saint Just della trinacria. Ma lui non poteva sentirli, aveva già avviato i due cilindri della sua cafè racer che sporgevano come bimbi da dietro le spalle del papà.


Quelli più fradici di birra, come me, si alzarono dal tavolo per ultimi, lasciarono una cifra a loro parere sufficiente sul piatto del conto e inforcarono ognuno la propria motocicletta col proposito di tallonare Jack che stava allontanandosi nel buio, come il vento. Nella notte il gruppo si sgranò e rimanemmo in tre a inseguire il fioco e lontano luccichio di una luce di coda; seguivamo una moto per statali non illuminate, guidati dall’inconfondibile suono di un Guzzi immatricolato almeno due decenni fa. Poi rimasi da solo, persi tutti gli altri per strada, e dopo un’ora percorsa a velocità fuorilegge su strade mai viste prima, il rumore mi condusse fino a Jack e a quella che, in seguito capii, era la sua officina, garage, casa, ritrovo, nido d’amore per se e per la sua fidanzata Roberta, luogo di riflessione, camera ardente per rottami e sala parto per le nuove creature a due ruote inventate dalle mani sue e di Rauni, tuner associati.


Jack si accorse di me quando il suo cane, non so se per dovere o per convinzione, abbaiò; aprì il cancello e nonostante l’ora indecente mi accolse come un prete nel proprio santuario: a braccia larghe e sorriso aperto.  Il garage di Jack, tutt’altro che ordinato, rigoroso e sicuro meno di niente, tutto meno che convenzionale, mi apparve come il paese dei balocchi. Rauni era già lì con una bottiglia di birra a penzolare dalla mano per il collo, una serena allegria in corpo lo illuminava e un sorriso gli bucava la barba. Vecchie moto da restaurare sonnecchiavano accanto a parti di motociclette antiche, vecchie o nuove avute a prezzo di favore da amici oppure ancora comprate a costo di sacrifici ai mercatini, da meccanici ignoranti, da privati che non ne conoscevano il valore o che, conoscendolo, non seppero resistere alla tentazione di lucrarci sopra; parti acquistate da Jack e Rauni solo per non lasciarle in mani sbagliate.


Non esiste tutto ciò che Jack immagina. Lui inventa le parti delle sue motociclette dal niente, partendo dai materiali e dagli oggetti più impensabili, con la genialità di chi ha dovuto spesso fare di necessità virtù. Rauni sorseggia un’altra birra accanto alle loro creazioni che non avranno un compratore: perché non tutto è in vendita, non tutto ha un prezzo. Rauni non venderebbe mai la sua Guzzi 643: era di suo padre, quando era una custom. Poi divenne un bobber, poi una cafè racer, ora è una scrambler che usa ogni giorno. Stessa storia per Jack: la sua 750 non è in vendita.  Jack e Rauni non sono commercianti, sono tuner con uno stile e amano prendere in cura la moto di un amico e adattarla ai suoi desideri, senza renderla uguale a nessun’altra, senza preconcetti. Ce ne sono diverse in giro per la Sicilia, mi dissero mostrandomi appassionati le foto delle loro realizzazioni: sembravano moto da matti, invece a guardarle bene mi convinsi che sono motociclette pazzesche.


Mi venne da ridere e da abbracciarli; amo la semplicità creativa e la schiettezza nella gente come nelle due ruote e nelle moto di fronte a me tutto era semplice da capire: nulla di complicato e nessun bisogno di qualcuno che ti spiegasse cos’era o come funzionasse, tutto era modificabile, di certo vi era solo il relativo. Toccando le moto di Jack e Rauni mi sentii come di fronte al crollo di ogni bislacca e acrobatica fantasia sessuale indotto dalla conquista della purezza di una donna così vera e passionale da indurmi il più grande appagamento nella semplicità di un amplesso che altri definirebbero banale. O Forse era l’alcol, ma non importa: alla luce del neon alcune splendide Guzzi, vera passione dei due tuner siciliani, brillavano e attendevano di essere completate. Ero ancora alticcio, lo stato confusionale mi rendeva euforico e curioso, Jack e Rauni chiedevano pareri, opinioni, mi mettevano di fronte la loro sterminata esperienza nell’inventarsi una soluzione di tuning estetico e tecnico. Mi mostrarono come un serbatoio di un vecchio Honda Four calza perfettamente il doppia culla di una cafè racer Guzzi teste tonde, mi diedero da reggere un faro all’acetilene e fatto capire che, come disse Rauni, “se ha due ruote si può fare”.


E’ proprio così: se ha due ruote si può fare. Si può fare amicizia, lavoro, mestiere, arte, ricerca; se ha due ruote puoi fare tutto, divertendoti.
Jack è un diluvio di passione e di risate.
Jack è una persona che se la incontri non te la scordi.
Jack suona il basso. E ti pareva.
Jack tempo fa ha avuto un incidente, era sera e in autostrada ci fu un tamponamento a catena tra motociclisti. Roberta gli cadde addosso e rimasero a terra in mezzo all’autostrada, ma tutti salvi. Aprimmo un’altra birra e parlammo dei pensieri nati in quei momenti di grandissima paura. Io, la volta che ho creduto veramente fosse la fine, continuavo a dirmi “che modo balordo di morire”, lui mi confessò di avere solo pensato “che cazzo succede!?”


Con Rauni si sono incontrati ad un raduno e da allora si sporcano insieme le mani nel garage; Jack’s Garage si è fuso col Bifolco Garage e hanno dato vita al Rozzo Motostile. Dove “Rozzo” rimarca l’asciutta essenzialità, il minimalismo ostentato come tratto distintivo dove ogni parte ha un preciso valore funzionale e il rigetto della raffinatezza fine a se stessa attraverso il ricorso a componenti ottenute dal lavoro artigianale. E’ il loro valore aggiunto, lo chiamano Rozzo Motostile e va bene così: il mondo è pieno di gente dispari che non puoi necessariamente incasellare. Gente unica, come le loro motociclette. Le tre di notte, e i vapori di benzina aggravavano quelli dell’alcol.  Jack’s Garage era un bel posto ma io dovevo tornare a casa. Dopo avermi salutato con un abbraccio, Jack rimase a guardare affettuosamente i pistoni della sua MV 350 e Rauni mi accompagnò alla mia moto, fuori dal cancello: quando mi spiegò la strada per tornare verso la città, io annuii sperando soltanto in un colpo di culo perché ero veramente brillo, la stanchezza mi serrava le palpebre e non capivo un accidente di quello che il siciliano di Finlandia mi diceva. Colsi solo l’invito a rivederci presto unito alla richiesta di un recapito per ritrovarci ogni tanto: apuntopriviterachiocciolinaemailpuntoit e schizzai via col contagiri a 7000.


La strada appena fuori dal paese saliva e piegava a destra, io tirai dritto: mi sembrò per un attimo di sentire “cabin crew prepare for take off”, frase che mio figlio Gaber di sette anni una volta storpiò in “cabin crew: tutti al bar” mettendo di buonumore un intero Airbus. La moto prese il volo saltando il guard rail e mi sentii leggero quando vidi sotto i miei piedi le luci di Catania; quando fui nel punto più alto della parabola fui felice di pensare che quella sarebbe stata una buona scusa per rifare la moto in perfetto Rozzo Motostile. Che bello.
Immediatamente dopo mormorai “che modo balordo di morire”. Atterai con la faccia sul tavolo del Distortion mentre una ragazzina ne puliva la superficie con la pezza umida e la cover band dei Cult smontava gli strumenti nel locale ormai deserto.  Ero deluso, ridicolo, senza dubbio me stesso. Con la coda tra le gambe mi alzai maledicendo chi mi aveva lasciato appisolare al tavolo senza svegliarmi, poi andai al parcheggio dove trovai il mio Morini solitario, irto come un totem; la dormita almeno mi aveva già reso abbastanza lucido e guidai fino a casa senza correre rischi.
Peccato.


E Jack? E Rauni?
Cari Lettori, da oggi sospetto che fosse tutto vero; ho ricevuto una mail dove Jack e Rauni mi invitano a prendere una birra (un’altra?? Basta!) domani sera. Io non mi fido più di nulla e ho chiesto loro di portare i loro amici e le loro moto in una cava, così li fotografo e ho le prove. Se accettano, le trovate nella gallery.
Se invece volete contattare i due tuner Rozzo Motostile, li trovate su [email protected]; ma se vi offrono una birra, rifiutatela.
 

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