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Anche oggi pochi clienti, ed è già ora di chiudere l’officina. Arriva il corriere, sto per buttarlo fuori ma lui mi dà un pacco e una penna: io leggo e metto uno scarabocchio.
Prima di firmare qualsiasi cosa leggo attentamente tutto, scruto gli occhi della mia controparte, chiudo i miei e rifletto. Eppure quella volta ci cascai con tutte le scarpe e dissi “sì, lo voglio”, firmando. Poche cose da leggere, una benedizione dal parroco, un lungo applauso dalla folla riunita che – maledetta - ha taciuto per sempre e una montagna di debiti per costruirsi un focolare. Debiti che io cerco di estinguere, mentre mia moglie ha i costi di gestione di una MotoGp: beve e mangia raffinato, si veste con abiti orribili ma griffati, gestisce le spese attingendo dal conto comune come se fosse inesauribile; per inciso, lei ha due lauree ma non trova niente di meglio che fare la casalinga.
Il pacco è leggero, forse sono i filtri in spugna che ho ordinato qualche giorno fa.
Scusate lo sfogo, ma come potete capire la mia non si è rivelata una scelta né felice, né barzotta come il “morning glory” e l’ironia è l’unica arma rimasta per aiutarmi trangugiare l’amaro calice di una convivenza conflittuale come quella tra cilindro e pistone con un bullone a far da terzo incomodo dentro la camera di scoppio. Ad ogni giro di albero motore, un disastro. Nel mio caso, ad ogni rientro a casa, un putiferio.
La metafora non è fuori luogo. Io sono un meccanico di motociclette e di richieste perverse per far convivere armonicamente componenti tra loro concettualmente incompatibili ne ho avute parecchie. Cominciamo dai cerchi di diametro e sezione presi a caso e schiaffati sulla moto in regime di faidate da clienti che poi si lamentano che “questa moto non gira e non sta dritta!!”… eccerto, piccolo sbuffo di carne con la testa posta alla sommità del collo all’esclusiva ragione di sprecare antiforfora: se non capisci che i tempi di topomoto e autogatto sono terminati da un pezzo e l’accoppiata 15”ant. 21”post. è assurda ti servono le scuole serali, ma fino a notte fonda; una specie di after hour della scolarizzazione di base.
In seconda posizione nella mia classifica delle voglie maniacali da punire con la castrazione chimica c’è il “voglio uno scarico come quello lì” del palestrato che arriva in officina con una foto editata al Fotosciopp della sua moto: con i neuroni avvizziti dagli anabolizzanti, non c’è n’è uno che abbia un minimo di raziocinio nell’immaginare una marmitta; scarichi lunghi, corti, doppi, tripli, sopra, sotto, in basso a destra, no un po’ più a sinistra, ancora un pochetto… ecco: ora è perfettamente un pugno in un occhio, bravo; per completezza cito i non rari casi di chi vuole un “quattro in uno” su un monocilindrico Honda anni ’80. Qui si sconfina nei debiti formativi in aritmetica accumulati dalle elementari in poi.
Il podio viene completato citando tutti gli utili accessori montati nel rispetto dell’ergonomia e della pacifica convivenza con gli altri utenti della strada: telecamere nascoste o applicate al manubrio, contamarce su scooter, tripmaster su sportive, borse laterali, centrali, da serbatoio, da schiena, da petto, da ali e cosce tanto per ricordarci quanto siamo polli; per finire: luci allo xeno e freni al carbonio. Tutto indispensabile. In ogni caso pare che certe moto soffrano della sindrome del “mai più senza l’ennesima cazzata” ma l’estrema difesa che il supponente proprietario oppone si sostanzia nella frase: ”è una special”.
Nelle special tutto è concesso, quasi come a carnevale: prendi una moto vecchia, aggiungi quello che hai in garage seguendo il gusto di un rottamatore affetto da ossessioni parossistiche e il risultato è garantito. Oggi è di moda sentirsi artisti facendosi allungare i capelli e customizer violentando vecchi cimeli, riducendoli da enduro a motard, passando per bagger con sospette incursioni nel genere naked sportiva, scimmiottando quei pochi customizer che il mestiere lo sanno fare veramente mettendoci faccia e soldi. Io ho una deontologia professionale che mi impedisce di commettere simili misfatti motociclistici. Una special è una special, mentre un rottame raffazzonato e messo insieme senza criterio nella speranza di ricavarci qualche soldo rivendendo l’accrocco è solo una porcheria. Che si vende però. Capperi se si vende. Con la scusa che sono d’epoca e non pagano assicurazione e bollo come le moto nuove… però quasi quasi un pensierino ce lo faccio pure io, appena torno a casa. Avrei un bel rottame da sistemare e magari riesco pure a limitarne i costi di gestione. Perché non ci ho pensato prima?
Ok, stendiamo un piano di lavoro: allora… per portare quel rottame della Alda dalla taglia 46 alla 42 credo che una buona passata di mola rotante possa bastare, eventualmente integriamo con qualche colpo di mazza qua e là che dà un’aria… come si dice… vintage road worn… insomma quella cosa lì che fa credere che una cosa è vissuta e consumata anche se non l’hai mai usata. E mia moglie, modestamente, è ancora in rodaggio. Mi appunto che potrebbe essere necessario l’intervento di un’impresa di pulizie industriali per riportare l’officina dalla condizione di scannatoio sanguinolento a quella laboratorio artigiano.
Poi… poi… poi… ecco: mi serve un cervello che non abbia la funzione “azzera conto corrente” e limiti gli impulsi all’acquisto di generi di primissima necessità come cibo, mutande felpate, benzina e olio motore: se non lo trovo su Internet, mi sa che lo devo costruire da me ricavandolo da un pezzo grezzo: chiamare Aziz al mercato nero. Subito dopo il montaggio ci installo l’app “sissignore! 4.0 beta” e una volta per tutte zittisco le polemiche sulle mie uscite in moto. La sostituzione del cervello prevede anche la rimozione del cuoio capelluto e l’applicazione di una capigliatura in stile “perché io valgo”, colore rosso intenso, lunghezza sotto le spalle. Proseguiamo: imprescindibile maggiorazione delle… airbox destro e sinistro, per una boccata di salute. Il silicone costa troppo, usiamo la gommapiuma densità 30, tanto a me piacciono morbide. Passiamo al trittico naso, occhi, bocca: lo rendo minimalista e mentre ho tutto aperto al banco di lavoro strozzo un po’ lo stomaco per la riduzione dei consumi: magari la faccio pure Euro5.
Ah, era così semplice? Col pacco in mano, chiudo la saracinesca e vado a casa a piedi immaginando Alda rivisitata in chiave “special” e temendo già la sua domanda “quanto hai incassato oggi?”. La verità è che ai pochi clienti, quasi tutti amici, non ho avuto nemmeno il coraggio di chiedere un euro per i piccoli interventi che mi hanno chiesto. Mi pagano a gratitudine, caffè e bottiglie di vino. Alda sarà come al solito al telefono, non troverò niente di pronto, come ogni sera arrangeremo qualcosa da mangiare sorridendoci per non sbroccare e io col pensiero al mutuo, alle tasse, alle rate dei mobili. Entro a casa deciso a non litigare per nessun motivo, tanto tra non molto trasformerò mia moglie in un essere perfetto e unico; poso il pacco che ho in mano, lei mi sorride; mentre parla il telefono indica il televisore e piega la bocca all’insù perché c’è lo spot di Valentino Rossi. Mi sorprendo, lei che cerca di condividere la mia passione per la moto dopo tutte le furibonde litigate per le mie spese sulla motocicletta e per il tempo che dedico a lustrarla: alla fine Alda è una simpatica, altrimenti perché l’avrei sposata? Niente paranoie per il fatto che torno da lavoro con pochi spiccioli, mi lascia guardare la domenica la MotoGp e non pretende che io sia diverso, forse vuole solo più attenzioni e se compra vestiti costosi sarà solo per piacermi di più ed evitare di ingozzarsi per compensare la mancanza dei miei complimenti; se devo dirla tutta, ma è un segreto, è anche brava a… vabbè l’avete capito. Una donna vera, mica di plastica. Una che mi ha sempre detto le cose in faccia e a suo modo mi stima. Alda ha poche amiche, ma sincere, poi ha me. Insomma, perché non mi va bene? Perché mai dovrei cambiare una donna così devota alla nostra comune causa di una vita serena? Perché quando uno è scontento di sé, pretende che siano gli altri a cambiare?
Finita la cena mettiamo un cd, ad Alda piace ballare sulla musica di Renè Aubry, poi stanca sfinita e sfatta, va a dormire. Si addormenta subito, è un piccolo miracolo di quiete. La osservo stesa sul lettone, mi piace il suo pigiama nel quale io nuoterei, mi piace il suo essere se stessa senza pensarci troppo su; si è arresa alla sua linea abbondante, ai suoi caratteri somatici che rivelano le sue origini orientali. In gola mi strozza il senso di colpa di averla desiderata diversa da com’è, di volerla fare “special”, di volere pasticciare con la sua figura e con la sua personalità, non è giusto.
Mi sembra di comprendere meglio tutti quelli che vengono da me con sogni assurdi sulla propria moto, che la vogliono diversa, estrema o impossibile: probabilmente sono tutte persone realizzate, soddisfatte di quello che hanno e cercano di trasformare la moto per il gusto della scoperta, per il puro sollazzo dell’animo e di avere qualcosa di unico sotto il sedere, per godere del parlare con gli amici fino a sera tarda al bar o sul passo di tutte le modifiche che ancora vorrebbero fare alla motocicletta e di quanto sia invece solido e necessario il rapporto con la propria compagna alla quale non chiederebbero alcun cambiamento, comunque sia fatta; non modificherebbero nulla nel loro mondo più intimo e usano la propria fantasia rendendo la propria due ruote un pezzo unico, speciale, spendendo più di quanto costerebbe una moto nuova e solo adesso inizio a comprenderli e ad abbassare la cresta della mia presunzione. A capirlo prima ci avrei anche guadagnato dei soldi e non avrei rifiutato lavori sfanculando chi me li proponeva, facendo il prezioso, il purista: forse è per la mia intransigenza che ho pochi clienti e il mio conto in banca si riduce sempre di più. Altro che Alda, che avrà pure le sue pretese ma pure la maturità di chiamare le cose col proprio nome: la mia è alterigia meccanica, ecco.
La abbraccerei svegliandola, invece mi limito a sorriderle mentre dorme già. Avevo posto una condizione, quando abbiamo deciso di sposarci: “non venderò la moto”. Lei mi ha risposto solo, “tutto qui?”. Forse pensava che il fatto di essere più grande di me di 25 anni le potesse precludere il mio amore futuro, e si aspettava che io mettessi le mani avanti. Ah, il pacco. Sarete curiosi. Vabbè, tanto oramai siamo amici, no?
L’ho aperto mentre Alda dormiva e dentro non ho trovato i filtri in spugna, ma tanti fogli di carta con frasi dolci, piccoli pensieri rivolti a me, rimbrotti, avvertimenti. Non vi ho detto che Alda non parla e non sente ma scrive. Quei fogli sono i suoi messaggi, le sue parole che non può dirmi e che mi recapita con i pacchi urgenti quando sono al lavoro. Ogni tanto arrivano in ritardo, quando chiudo. In uno di quei fogli oggi c’era scritto: “stasera pasta o pizza?”, in un altro “sei speciale”. Ecco, vedete? Ora la “special” sono io.