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Ci sono cose che butti in un angolo.
Avessi cura di te, non lo faresti. Non ridere.
Trovo poco sensato il tuo stare ore ed ore in moto per poi liberarti del fango nelle ruote, dei moscerini sul casco, dei pensieri che hai avuto per tutto il giorno mentre guidavi e che ti hanno condotto a elaborare concetti liquidi, cose che appena sceso dalla motocicletta sai già di non pensare, figurati crederci.
Per esempio, tu credi che il tuo giro in moto la domenica sia la libertà. Invece no, è un rito.
Lo sai, non ridere.
Officiante, fedeli, il dogma della misticità della motocicletta, il mistero della fede (o del perché gente tutto sommato onesta e laboriosa si agghindi come gitanti, sorrida come iene e perda poi il controllo della propria misura non appena il numero di motociclette contemporaneamente presenti in una pubblica piazza superi la coppia): non manca nulla.
Un rito di cui non mi hai mai voluto mettere a parte. Io ti pregavo, ti supplicavo, di poter venire con te almeno una volta per capire cosa si prova a girare senza meta, a fissare un punto in una cartina e capire che il proprio scopo nella vita è attendere la domenica per poi raggiungerlo e scoprire che i sorrisi di circostanza dei tuoi compagni di viaggio hanno il solo scopo di instillare in te l’insoddisfazione per la raggiunta meta; e allora la domenica successiva tu ne scegli un’altra per il loro piacere di sapersi guidati, il tuo di coprire distanze, infangare le ruote, sterminare moscerini e puzzare. Tu ne sei posseduto, da questa gente.
Non ridere, Erminio. E’ una calibro 9 ed è carica.
Avessi cura di te non mi avresti sempre umiliata presentandomi ai tuoi amici come la tua fidanzata “no, quella con cui sono andato al Pachidermentrippen è un’altra”. Cazzo, Erminio, ci sei stato dieci anni fa, tipo girare pagina?
Io la domenica avrei voluto sentire che eravamo una famiglia, Erminio.
Mi hai costretta a comprare una motocicletta a tua insaputa, travestirmi da uomo, seguirti nei tuoi giri. Fare parte della setta, avere un nome finto e una maglietta uguale a tutti gli altri; guarda tu se per passare le domeniche col mio uomo dovevo fare la staffetta chiudi gruppo. La cosa che mi ha più mortificato è capire che tu non sei stato un leader, non conducevi nessuno in nessun luogo: eri un mandriano che portava le sue bestie dove l’erba era più verde e più saporita. No, la cosa che mi ha più mortificato, ora che ci penso, è che nessuno mi ha mai riconosciuta e smascherata. Eppure vengo sempre a tutte le cene del tuo gruppo di motociclisti, li abbiamo pure invitati a casa tutti, a turno. Tanto per dirtelo: quella volta che tutti quanti si sono sentiti male il giorno successivo alla cena a casa nostra, non era colpa delle cozze; probabilmente il WD-40 nell’oliera ha
avuto qualche responsabilità; tranne che per te, tesoro mio. Tu ne sei assuefatto, ormai.
Non muoverti, ho la mano sudata e non ho bisogno di prendere la mira da così vicino.
Il mio odio montava di pari passo con l’insensata passione e il malato godimento nel vederti così stupidamente impegnato in una attività sciocca, egotica, che mentre pensavi ti rendesse libero ti rendeva invece servo ad un gruppo di sbandati privi del senso del ridicolo, indebitati, senza vita propria, manovrati e inebetiti dalle industrie che con la scusa della sicurezza di impossessano dei loro risparmi e, quello che è più grave, anche di quelli delle loro fidanzate e mogli. Pantaloni foderati in kevlar, giubbotti in pelle di canguro, guanti mutuati dalla NASA, tutta roba comprata a peso d’oro per andare a pascolare.
Così, io ho avuto un pensiero gentile. Amorevole. Da moglie affettuosa, io ti amo.
Ti ho fatto un regalo. Il primo, da quando siamo sposati.
Non ridi più. Povero. Che c’è, temi che parta un colpo?
Io avrei voluto ucciderti la prima domenica di giugno, ma non sarei stata capace.
Ti vedevo soffrire il caldo, allentare la presa del tuo giubbotto, soffrire e sudare per la triste consolazione finale di vederti bardato come un oplita pronto all’assalto. Allora ti ho regalato questa maglietta leggera, tecnica, che puoi sostituire al giubbotto di pelle. Una maglietta da fuoristrada, i piloti di cross ci mettono la pettorina di sotto per proteggersi. Ma tu non fai cross: tu sei solo un turista, il minimo sindacale della virilità motociclistica. Sapevo perfettamente che l’avresti messa pure per andarci in capo al mondo, tanto per far vedere al gruppo che idee geniali hai e quanto sai aprire nuove strade anche nell’abbigliamento.
Non mi restava che sperare in una tua caduta, con la maglietta. Senza protezioni, solo un sottile strato di nylon tra te e il terreno, le pietre aguzze, l’asfalto. Allora si che saresti rimasto con me la domenica, io ti avrei letto “misery non deve morire” e mi sarei occupata di te; saresti stato un po’ dolorante ma ti sarebbe piaciuto, amore. Cadi, ruzzola e schianta il tuo ego contro un fragile terrapieno, senza farti troppo male. Fallo per me e per il mio amore. Mi accontenterò di vedere la maglietta ridotta in brandelli ma di saperti mio.
Invece tu l’hai gettata in un angolo!! Il mio regalo!!! Sposati da due settimane e tu la getti in un angolo!!!!
Non puoi trattarla come un casco che liberi dai moscerini morti o come le ruote dalle quali tiri via il fango secco! Quello è il mio primo regalo da moglie! Non puoi metterlo a pulire gettandolo in un angolo della lavanderia senza nemmeno centrare il cesto della biancheria sporca!
Tu non hai rispetto! Tu non sei un uomo! Bastardo!!
Se devo passare tutte le domeniche da sola, meglio non avere più marito!!
In piedi.
Ho detto alzati!
Ora chiudi gli occhi, maledetto.
Svegliati, è domenica.
Antonio Privitera