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Io e Ornella non si va affatto d’accordo. Un mese fa abbiamo litigato durante la cena del mio compleanno alla fine della quale il suo gesto più maturo è stato quello di uscire dal ristorante (prenotato da lei perché una tecnologa alimentare le sa tutte: i luoghi più puliti, il cibo più sano e via eccependo), levare il cavalletto alla motocicletta e lasciarla cadere a terra sghignazzando che voleva rovinarmi la vita a partire dalla carenatura sinistra. Dopo aver soppresso l’istinto di strangolarla con il cavo della frizione, l’ho incalzata con una filippica sulla sua infondata e morbosa gelosia da cui l’assunto che non era mica una colpa se per vivere faccio il musicista e torno ogni sera a casa tardi.
Il musicista, si sa, è piacione: gigioneggia col pubblico e sorride a tutti, il fatto che le ragazze ogni tanto gli facciano gli occhi dolci è un corollario digerito da Ornella come la benzina a colazione, alimento che avrebbe potuto aggiungere qualcosa al bagaglio di conoscenze di un’affermata ricercatrice sulle relazioni tra cibo e mente come lei si vanta tanto di essere.
Ricapitolando: scenata indegna al ristorante, prematura fine del tête-à-tête e della mediocre cena vegana - abortita prima del secondo a base di tofu -, moto a pezzi e un altro compleanno da dimenticare: il 41esimo, nella fattispecie concreta.
Non restava che dirigermi verso casa, con l’umore a brandelli come la carenatura della mia vecchia moto insistendo in quell’andatura incerta tra il riflessivo e il distratto che non è difficile trovare tra i duemila e i tremila giri del motore in quinta marcia. Andai a letto colmo di astio verso il mondo e colsi l’occasione per iniziare a leggere “Racconti a Motore”, un libro a tema motociclistico ricevuto in regalo a Natale ma le vicende narrate erano così inverosimili da procurarmi un mal di mare talmente nauseante da costringermi più volte ad andare in bagno in preda a conati di vomito.
Leggere l’anacronistico lemma “tamburo” mi causava violenti spasmi: la causa poteva benissimo trovarla tra il nervosismo connesso al danno alla moto, la rabbia di non avere approfittato dell’occasione per mollare una sacrosanta sberla ad Ornella e chiederle di restituirmi le chiavi di casa mia
Il malessere si diffondeva e montava a mano a mano che proseguivo la lettura che comunque non riuscivo a fermare, tenuto sveglio da storie, per quanto assurde, avvincenti. C’erano parole che più di altre mi provocavano nausea come per esempio la parola “gomma”, oppure “giro”; leggere l’anacronistico lemma “tamburo” mi causava violenti spasmi: la causa poteva benissimo trovarla tra il nervosismo connesso al danno alla motocicletta, la rabbia di non avere approfittato dell’occasione per mollare una sacrosanta sberla ad Ornella e chiederle di restituirmi le chiavi di casa mia, il successivo onesto pentimento per un pensiero così violento ed ingiusto oppure la disperazione per essere stato così stupido da avere pensato che tra noi due avrebbe potuto funzionare. Stupido, come sbattere in continuazione contro il limitatore in seconda piuttosto che innestare la terza e andare più forte, più lontano. E restano sempre altre tre marce.
Il mal di pancia si unì ad uno stordimento insolente, ci vedevo pure doppio: risolsi di chiudere il libro e cercare di dormire nonostante dolorosi spasmi e il costante sospetto di essere vittima di un rito voodoo. Provai quindi a spegnere la luce rovistando alla cieca sul comodino alle mie spalle ma fu solo dopo aver fatto cadere il pacco di preservativi e mandato in frantumi il vetro della foto di Ornella che strappai il cavo dell’abatjour e mi tolsi definitivamente il pensiero.
L’insonnia è una bestia brutta e vile. Un vero incubo.
Cercai svago alla tv: barcollai dal letto al divano e tentai di instupidirmi. Nei primi cinque minuti mi appassionai ad una trasmissione di cucina dove una signora traumatizzava un arrosto fino a renderlo una prova di reato, poi mi imbattei in un soft porn di serie b che tutto sommato aveva ancora un suo perché, erano le quattro ed ero sicuro che un paio d’ore di televisione spazzatura avrebbero potuto conciliarmi il sonno: alla prima pausa pubblicitaria ero ancora sveglio e cambiai canale. Trovai la replica notturna di un programma della sera prima dove si cercavano persone scomparse, condotto da un incrocio tra tua sorella maggiore e la zia istruita di Roma dall’aria schietta:
“…c’è bisogno del vostro aiuto per trovare Gilda Palladino di 36 anni, i suoi parenti a Zafferana Etnea la cercano da sabato sera...”
Era una trasmissione molto famosa che io avevo sempre ingiustamente snobbato: in Italia c’è un sacco di gente che scompare ma ci sta pure un fottio di persone che non sa farsi i fatti propri. Esclusi coloro spariti per criminale mano altrui, quella trasmissione era il censimento di una legione di coraggiosi uomini e donne che avevano deciso di strafottersene di tutto e di rifarsi una vita, non importava se uno o due gradini più in basso. E già questo me li faceva simpatici, gente che probabilmente aveva solo cambiato liquame nel quale annaspare considerando un tangibile miglioramento passare dalla cacca fino alle orecchie all’acqua alla gola: come dar loro torto se invece di cercare di sistemare le cose avevano urlato un orgoglioso “vaffanculo” e se n’erano andate? Inutile ostinarsi a cercare di sistemare le cose quando con un comodo vaffanculo si risolve tutto.
Il malessere stava lentamente scemando, quando udii chiaramente:
“… e adesso vorrei parlarvi di Alessio Austero: la sua fidanzata Ornella ci ha appena chiamato: Alessio, lo vedete nella foto, dopo essere andato a cena fuori venerdì non ha fatto ritorno a casa con la sua motocicletta e da quel momento nessuno ha più notizie di lui, la fidanzata Ornella è molto preoccupata. I Carabinieri sono stati avvisati, il suo cellulare squilla a vuoto ma lui rimane irrintracciabile. Aspettiamo le vostre segnalazioni o, se lui è in ascolto, un suo messaggio per fare capire a tutti che sta bene...”
Quello in foto ero io, Alessio Austero. Ornella doveva essere ammattita. Delle due l’una: o era un disperato tentativo di riconciliazione dopo il disastro che aveva combinato proprio poche ore prima, o la mia ex fidanzata era pronta per il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Ma a rifletterci un attimo, la cosa era assolutamente inverosimile perché nessuno era venuto a cercarmi, né avevo ricevuto nelle ultime ore una telefonata per avvertirmi che ero scomparso a mia saputa ed in contumacia, né Ornella aveva citato tra i suoi piani di demolizione della mia vita pure la strategia di farmi credere scomparso dal consesso civile.
Erano le cinque passate, accesi il telefono e per prima cosa chiamai Ornella. Niente, squillava a vuoto; quindi chiamai il mio amico Gianfranco preparandomi la scusa di voler essere il primo a fargli gli auguri di buon compleanno. Niente, spento.
Provai con mia mamma, mio padre, mio fratello, quello del piano di sotto, il portinaio, gli ospedali riuniti, il circolo degli artisti di Genova, il panificio, l’assistenza del mio gestore telefonico e fu solo dopo avere fatto il compromettente gesto di chiamare la mia trombamica Belinda e non avere comunque parlato con nessuno che desistetti e mi rassegnai all’idea di essere scomparso sul serio. Mi accasciai sul divano e pensai che perlomeno assieme a me era sparita pure la nausea.
Albeggiava e io non esistevo per nessuno: mi vestii rapidamente, scesi in garage e inforcai la moto per andare personalmente a chiedere spiegazioni ad Ornella che abitava a una decina di chilometri. Me la presi comoda e ci fu tutto il tempo per accorgermi che in questa nuova mattina d’autunno circolava solo gente ammattita: almeno un paio di volte qualche automobilista aveva fatto la barba alla mia moto e poi aveva proseguito oltre con lo sguardo da zombie.
Trovai Ornella affacciata al balcone intenta a fumare. Parcheggiata la moto sul marciapiede mi attaccai al suo citofono ma non mi rispose e la cosa mi fece arrabbiare moltissimo; iniziai ad urlare insulti sperando che almeno un minimo di decoro nei confronti del vicinato la costringesse a farmi salire per evitare piazzate in strada alle sei del mattino
Trovai Ornella affacciata al balcone intenta a fumare. Parcheggiata la moto sul marciapiede mi attaccai al suo citofono ma non mi rispose e la cosa mi fece arrabbiare moltissimo; iniziai ad urlare insulti sperando che almeno un minimo di decoro nei confronti del vicinato la costringesse a farmi salire per evitare piazzate in strada alle sei del mattino, ma tutto quello che accadde fu l’arrivo di un’automobile condotta da uno sconosciuto signore sulla sessantina, piuttosto elegante. Senza nemmeno guardarmi citofonò ad Ornella che rispose “scendo subito”, io ne approfittai per ficcarmi nel sedile posteriore della sua automobile. Quando Ornella e il suo amico entrarono in automobile fecero finta di ignorarmi nonostante fossi seduto alle loro spalle: allora volevano proprio farmi incazzare. Con inusitata violenza verbale chiesi conto e soddisfazione ad Ornella di tutto quello che era successo da quando ci eravamo visti al ristorante vegano prenotato da lei fino al presente momento, passando per tutti i suoi discorsi sulle moto, sulle donne, poi sulla sua attività di ricerca per una casa farmaceutica e quindi sulla inutilità di proseguire con me sul suo percorso di crescita, con la scusa che comunque io ero un motociclista puttaniere, ma principalmente un motociclista. Poi la carenatura rotta, le sue risate, la promessa di rovinarmi la vita, il mio ritorno a casa, il libro, il malessere, la mia scomparsa.
Nel frattempo lei singhiozzava e il suo amico era impassibile. Terminai con un sonoro “vaffanculo” e cazzo, se mi sentii meglio. Molto meglio.
Lui la guardava piangere: «la capisco dottoressa…».
Lei rispose «…no, guardi ingegnere… è solo tensione…».
Ma come, io sbraito da due minuti e voi due manco una reazione umana?
Lui disse: «allora, funziona?»
Lei rispose: «credo di sì. L’ho portato a cena e ho aggiunto il preparato nel suo piatto. Poi gli ho parlato di motociclette, l’ho costretto ad arrabbiarsi ed è tornato a casa».
Lui le chiese: «come fa ad essere sicura che abbia funzionato?».
Lei: «guardi qui, le ho fatte mezzora fa».
Tirò fuori il cellulare e gli fece vedere delle foto: era la mia camera da letto con i vetri della cornice della foto di Ornella sul pavimento, i preservativi caduti, l’abatjour per terra e il suo cavo staccato malamente dalla presa; attaccata al cavo una mano e un braccio di un corpo giallognolo. Il corpo era mio ed era immobile nel letto, con un colorito esangue.
Ci fu una pausa lunga due singhiozzi. Io ero tranquillo, ridicolmente incredulo.
Lui si schiarì la voce: «Come si sente? Dopo anni di tentativi lei è ha scoperto il meccanismo chimico che procura violente e mortali reazioni psicotiche correlando sostanze chimiche come le benzodiazepine a pensieri passionali specifici, in questo caso, mi sembra, le motociclette...».
Ornella lo interruppe: «lo so. Più Alessio leggeva quel libro di motociclette, più le reazioni del preparato saranno state violente; più si appassionava, più si intossicava. Saranno iniziate le allucinazioni, poi le convulsioni, poi sarà sopraggiunto l’arresto cardiaco. Ma si può ricreare per tutte le passioni: immagini come sarebbe facile decimare la popolazione di uno stato europeo attraverso la passione per il calcio, per esempio».
Lui disse: «Chissà se i terroristi hanno passioni; boh, sa che le dico dottoressa? Avere passioni è sempre pericoloso e potenzialmente mortale, anche senza benzodiazepine; ma è impossibile vivere una vita senza passioni. Se la sua scoperta venisse rivelata all’opinione pubblica, cosa succederebbe? Quanta gente smetterebbe di vivere le proprie passioni per non correre il rischio di morirne? Ad ogni modo questa è l’ultima volta che ci incontriamo; come lei ben sa, da adesso in poi il progetto passa ai servizi segreti: la nostra casa farmaceutica si tira fuori. Tra poche ore la verranno a prendere, lei cambierà identità e si trasferirà in un'altra città probabilmente fuori dall’Italia; le auguro di avere fatto le scelte giuste, nella sua vita».
Ornella scrollò le spalle: «La vita è solo un effetto collaterale dell’esistenza». Scese dall’auto, l’ingegnere andò via, io restai immobile sul marciapiede con la moto che aveva bisogno di una riparazione alla carenatura e di girare le ruote; anche se ero scomparso avevo ancora il diritto di esistere, e una passione.