I racconti di Moto.it: "Zero chilometri l'ora"

Possiedo dei gesti che hanno un significato, tipo fare il caffè: chiudere il pranzo e prepararmi al pomeriggio. Togliermi le cose dalle tasche quando arrivo a casa: liberarmi dalle inutilità per rimanere finalmente e autenticamente me stesso...
1 febbraio 2012

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Possiedo dei gesti che hanno un significato, tipo fare il caffè: chiudere il pranzo e prepararmi al pomeriggio. Togliermi le cose dalle tasche quando arrivo a casa: liberarmi dalle inutilità per rimanere finalmente e autenticamente me stesso.
Levarmi il casco solo dopo che ho posato la moto nel box di casa, invece, significa emozioni finite: si torna sulla terra. Magari ero andato solo a comprare il pesce.

Mi gira la testa. Oggi non avvierò il motore della mia motocicletta. Non credo.
Abito al terzo ed ultimo piano di un palazzo di fronte alla biblioteca comunale, nel cui giardino credo vi sia un piccolo postribolo per felini: insomma questi gatti si moltiplicano e noi del vicinato ci sentiamo in dovere di mantenerli tutti a pasta e acqua. Molti di questi micetti, quando entro nel mio cortile per prendere la moto, mi seguono. Forse sperano che mi cada dalle mani qualcosa da mangiare, forse sono incuriositi dal mio zampettare a motore spento per non disturbare il vicinato col mio bombardone 1200, forse faccio un odore che a loro piace. Vallo a sapere.

Ecco, io non bevo tanto. No. Però ogni tanto mi scappa il bicchierino. Poi metti che il tuo umore ha deciso che oggi è il momento di fare il bis con la grappa e quando scendi in garage per montare sulla moto capisci che è il caso di buttare le chiavi nel gabinetto da come ti senti euforico e privo di freni inibitori: il prodromo di un bell’incidente da incoscienti. Quindi, come dicevo prima, ho deciso di non accendere la moto che già vedevo i titoli dei giornali: “La tracotanza della mafia non ha limiti: centauro sfonda ingresso del palazzo di giustizia in vile attentato notturno”; invece sarei stato io, alticcio, sbagliando riferimento per la staccata, distruggendo inoltre la mia moto in primavera.

Ma la voglia di fare un giro è tanta. Troppa. Ne ho bisogno.
Metto il casco, tanto fino a qui nessun rischio, anzi. Metti che cado in garage.
Faccio uscire la moto a marcia indietro dal box.
La posiziono in direzione uscita. Cavolo, è mezzanotte; se avvio il motore faccio saltare il pacemaker alla signora del primo piano. Faccio un favore all’Inps? Magari domani, oggi avevo promesso a me stesso che avrei fatto il bravo. Motore spento.
I gatti invece rispettano pienamente la procedura che abbiamo verificato mille volte: si piazzano di fronte alla moto e aspettano che io salga in sella per rompere le righe e andarsi a fare i fatti propri.
Gesù, mi gira la testa.
Non so se vi ho già detto che sono astemio. Io con i soli vapori dell’alcol denaturato vado in coma etilico, fate voi.

Voglio salire in moto, basta! E ci salgo, manca poco per scaraventarla dal lato opposto ma la mia esperienza ha la meglio sul tasso alcolemico e sono saldamente in sella, mani sul manubrio, pollice tentato dal tasto “start”; nel frattempo ho già girato la chiave nel quadro.
I gatti si dileguano: se ne va “Senzacoda”, scappano “Tai-lung”, “Monocchio” e pure gli altri a cui non ho mai dato un nome. Ne rimane uno, bellissimo. Bianco. A dire la verità sembra un soprammobile che irto sulle zampe mi osserva con gli occhietti indagatori. Non dico che non lo avevo mai visto prima d’ora ma non so perché lo abbinavo a tutt’altro luogo. Tipo che mi sembra un gatto d’appartamento piuttosto che un randagio. E’ anche troppo pulito.

Micetto spostati che qui ho 120 cavalli che stanno per uscire dal recinto.
- lo stai per fare sul serio?
- Eh??
- Hai sentito benissimo, imbecille.
Una voce sottile di ragazza mi ha appena dato dell’imbecille. Ma qui siamo solo io e lui, il micio.
- sono una lei, cretino.
- Ah, sei tu. Non sono stupito.
- Sì, sono io. Se accendi quel motore e vai a fare un giro notturno da ubriaco rischi di non tornare a casa intero. E magari lo rischia anche qualcuno che non c’entra niente. Ma a me importa di te, cerca di capirlo!
- No, di me non credo possa importarti granché.
Lo so che sei solo nei miei pensieri alcolici, lo so che chissà dove sei veramente, lo so che è più forte il dolore per averti perso che l’amara soddisfazione di sapere che avevo ragione io sui fragili motivi che ci tenevano ancora insieme, so tutto.
- io non voglio che tu accenda quella moto.
- E cosa vorresti, ancora? Ci faccio solo un giretto. Mi rilassa, mi aiuta a pensare, mi aiuta a prendere le cose dal loro verso, è l’unica attività solitaria dove non mi sento solo. I tuoi sensi di colpa non mi interessano, li trovo patetici.
- Sei uno stupido.

Sì, forse è così. Ma cosa cambia. Da quando ti ho lasciata e persa mi è rimasto sulla lingua il sapore delle parole troppo acide per vomitartele addosso: il prezzo di un legame menzognero e distruttivo. Quello che provo è un inatteso lutto, mi maledico cento volte al minuto per la mia intransigenza, per le occasioni perse. Alla fine sentirmi uno stupido non cambia niente. Dal momento che è finita non ti ho più incontrata, sei rimasta un’icona. Ti vedo ovunque mentre impugno il tuo odore nelle cose che hai lasciato da me, tu hai invaso la mia vita come acqua tiepida di un fiume in piena che il sole, per quanto bruci, non asciuga; è una fortuna che tu non sia mai stata parte della mia vita da motociclista e la moto ti abbia sempre stancata, stressata, innervosita e ingelosita. Mi volevi tutto per te e io ne ero lusingato; per fortuna mi è rimasta la forza e la voglia di fare ancora un giro, domani smetterò.

- Non è vero, tu non cambierai, non smetterai.
- Brava. Non smetterò. Voi donne, ops, scusa, gatte, pensate che noi maschietti si debba cambiare per compiacervi giustificando queste richieste con una presunta maturazione, un cambiamento a fini riproduttivi. No, grazie; la mia vita è già abbastanza complicata.
- Cosa posso fare per convincerti?? Ho paura! Sei fin troppo malinconico, strano, hai bevuto! Scendi dalla sella e parliamo di…
- Ma ti rendi conto che sto parlando con te, una gatta bianca che mi chiede conto e soddisfazione delle mie azioni? Devo essere ammattito.
- Non me ne vado di qui fino a quando non ti levi il casco!
- No. Ora te ne andrai. Io rimarrò qui a fissare il contagiri e a capire da dove iniziare: se partire con la moto per un lungo giro notturno e pensarti intensamente fino all’aurora mentre incrocio i luoghi che ci hanno visto insieme, oppure se sia invece meglio rimettere tutto nelle mani del sonno, sperando di addormentarmi presto senza cercare la tua mano nel letto e attendendo di svegliarmi meno innamorato di te, solo un poco. Per domani basterebbe.

- Hai fatto male a lasciarmi se mi ami ancora.
- Ho fatto benissimo, invece. Vattene, sparisci.
Abbasso lo sguardo sul contagiri. Gli occhi mi si riempiono e vedo tutto liquido. Non ricordo quanto tempo sono rimasto così. A testa bassa.
Il casco pieno dei miei pensieri e l’unico suono era quello dei miei acufeni.
Le mani aggrappate al manubrio e l’unico odore era quello del rimpianto.

Poi, un signore mi ha aiutato a scendere dalla moto, il cielo era chiaro.
Mi ha chiesto con gentilezza le chiavi e parcheggiato piano la moto in garage.
- lei è molto stanco, salga a casa e riposi – ha detto andandosene.
Io non ho detto nulla. L’ho visto entrare con la sua divisa nera in una macchina scura col tetto bianco, però.
Ho tolto finalmente il casco realizzando che le emozioni più intese erano finite.
Ho avuto, soltanto per un attimo, la speranza che fosse per sempre.


A. Privitera

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