I telai motociclistici e la loro evoluzione (Seconda parte)

Proseguiamo il nostro viaggio nell’evoluzione telaistica con la trasformazione delle strutture a culla, i tralicci e l’arrivo dell’alluminio
17 agosto 2018

Gli anni Sessanta non hanno visto grandi novità per quanto riguarda la parte ciclistica delle moto. Gli schemi impiegati infatti non sono cambiati granché.

Da un certo punto in poi però si sono avuti chiari sintomi di una ripresa del settore, che sono poi stati seguiti da un vero boom della moto, con tanti nuovi modelli, tra i quali molti di grossa cilindrata (finalmente) e di elevate prestazioni. Alla fine del decennio però fondamentalmente i telai (come del resto le sospensioni, i freni e le gomme) non è che differissero molto da quelli adottati all’inizio. C'è stata una evoluzione, ma decisamente lieve… (Qui il primo articolo della serie)

Una soluzione molto interessante era quella adottata dalla Honda sia per la maggior parte dei suoi modelli stradali che per le sue straordinarie moto da Gran Premio. Essa prevedeva che il motore avesse i cilindri inclinati in avanti e che la testa si andasse a fissare sotto la zona del cannotto di sterzo, poco dietro di esso. In questo modo il motore in pratica andava a sostituire la culla. Il telaio era costituito da tubi orizzontali che passavano sopra il motore stesso e che a un certo punto, più o meno dove il serbatoio si univa alla sella, piegavano verso il basso per arrivare agli attacchi posteriori del basamento e al fulcro del forcellone.

La struttura era completata da una doppia triangolatura di supporto del parafango e della sella, importante e sollecitata, dato che recava gli attacchi per i due ammortizzatori. Questo schema costruttivo è stato in seguito ripreso dalla Laverda per le sue celebri bicilindriche di 750 cm3.

Le moto inglesi di serie nel periodo in esame hanno continuato a utilizzare telai dotati di strutture analoghe a quelle del decennio precedente. Le moto da Gran Premio, a eccezione della Honda, preferivano in genere impiegare telai a doppia culla (in alcuni casi aperta ma più spesso continua).

 

 

Pure la Laverda per le sue bicilindriche di 750 cm3 ha adottato uno schema analogo a quello largamente impiegato dalla Honda negli anni Sessanta. Questa è una SFA della metà del decennio successivo
Pure la Laverda per le sue bicilindriche di 750 cm3 ha adottato uno schema analogo a quello largamente impiegato dalla Honda negli anni Sessanta. Questa è una SFA della metà del decennio successivo
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All’inizio degli anni Settanta la situazione per i modelli stradali prevedeva generalmente telai a culla continua, doppia o sdoppiata, di disegno convenzionale; li impiegavano case come la Guzzi, la BMW, la Honda e la Kawasaki.
Insomma, la situazione sembrava cristallizzata. Lo stesso accadeva per le moto da competizione (salvo eccezioni come la Ossa 250). Nel 1971 però hanno fatto la loro comparsa sulle Triumph e BSA tricilindriche 750 ufficiali i telai realizzati da Rob North.
Anche in questo caso la struttura era a doppia culla continua, ma i tubi superiori che partivano dal cannotto di sterzo erano fortemente inclinati verso il basso in modo da raggiungere la zona ove si trovava il fulcro del forcellone oscillante. In altre parole, univano direttamente proprio i due punti più “critici” del telaio.

Un disegno analogo è stato rapidamente adottato anche dalla Yamaha per le sue moto da competizione di maggiore cilindrata, ovvero le TZ 750 e le YZR 500, apparse nei primi anni Settanta.
L’evoluzione dei telai è stata influenzata anche da quella delle sospensioni e il passaggio dai due ammortizzatori posteriori alla soluzione con uno soltanto, piazzato centralmente, ha avuto la sua importanza.
La doppia triangolatura posteriore del telaio diventava meno sollecitata e serviva solo come supporto della sella e del codino (o del parafango, nelle moto di serie). Poteva essere realizzata con tubi di piccolo diametro e venire semplicemente imbullonata alla struttura principale.

 

Nel 1971 il tecnico Rob North ha realizzato per le tricilindriche Triumph e BSA da competizione un telaio a doppia culla continua di disegno innovativo, che ha mostrato una strada rapidamente intrapresa anche da altri costruttori
Nel 1971 il tecnico Rob North ha realizzato per le tricilindriche Triumph e BSA da competizione un telaio a doppia culla continua di disegno innovativo, che ha mostrato una strada rapidamente intrapresa anche da altri costruttori

 

Le prestazioni dei motori sono aumentate e in misura forse anche maggiore sono cresciute quelle dei freni, grazie al passaggio dai tamburi ai dischi. L’efficacia di questi ultimi è migliorata considerevolmente nel giro di poche stagioni, grazie anche alla evoluzione delle gomme, che consentivano di trasmettere maggiori forze al suolo.
Il tutto si traduceva in maggiori sollecitazioni per il telaio, che si è quindi dovuto evolvere anch’esso, in particolare diventando più rigido (possibilmente senza aumentare di peso, anzi…). In quanto alle geometrie, invece, non c’erano ancora particolari cambiamenti. Mediamente l’inclinazione del cannotto di sterzo era dell’ordine di 28°. La Honda con le sue famose quadricilindriche in linea con distribuzione monoalbero (CB 750, 500 e 350/400) scendeva a 26°-27°), mentre le Ducati 750 e 900 SS arrivavano addirittura a 29°30’.

Qualcuno ha rivolto le sue attenzioni ai telai a traliccio mentre altri accarezzavano l’idea di strutture monoscocca, come quella della bellissima Ossa 250 da GP degli ultimo anni Sessanta, che è stata rivoluzionaria anche a livello di materiale impiegato: non più acciaio ma lamiera in lega di magnesio (o di alluminio, secondo alcune fonti). Hanno trovato spazio anche disegni a culla doppia rialzata (come quella della Ducati Pantah, presentata nel 1977) e qualche tecnico ha anche cominciato a pensare all’impiego di tubi con sezione non tonda ma quadrata o rettangolare.

E proprio sul finire degli anni Settanta la Yamaha ha iniziato a sondare la possibilità di dotare le sue moto da competizione di telai in lega di alluminio. Ne parleremo prossimamente.

 

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