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Nel corso degli anni in motori di identica tipologia perfino l’estetica ha subito variazioni, a meno che la casa non abbia volutamente cercato di mantenere un “classic style”. Ad esempio, un monocilindrico raffreddato ad aria degli anni Novanta aveva un aspetto ben diverso da uno di analoga cilindrata degli anni Cinquanta, a cominciare dai coperchi laterali, che nel primo caso erano tondeggianti e di forma quasi sempre ovale e nel secondo “copiavano” la forma degli organi che racchiudevano.
Nel campo delle realizzazioni di alte prestazioni certe soluzioni tecniche sono scomparse, cedendo il posto ad altre, ma anche in questi casi basta in genere un’occhiata per riconoscere un modello post-2000 da uno degli anni Ottanta. E non si tratta solo del fatto che l’aspetto è “più moderno”, con magari delle ben studiate nervature in vista.
Una volta avevano larga diffusione le trasmissioni primarie a catena o miste e i due alberi del cambio nella maggior parte dei casi erano collocati uno dietro l’altro. Da diversi anni a questa parte ciò appartiene al passato. La primaria è invariabilmente a ingranaggi e gli assi dei due alberi del cambio non giacciono sullo stesso piano orizzontale ma in genere sono quasi uno sopra l’altro. In questo modo nei modelli sportivi la distanza tra l’asse dell’albero a gomiti e quello dell’albero di uscita del cambio è diminuita in maniera drastica. Il motore è notevolmente più corto, a parità di frazionamento e di cilindrata, e questo consente una migliore centralizzazione delle masse, cosa vantaggiosa ai fini del comportamento su strada della moto. Il pignone è in posizione più avanzata e ciò permette l’impiego di un forcellone più lungo.
Nei motori con quattro cilindri in linea si è lavorato anche per ridurre l’ingombro trasversale (o per poter adottare alesaggi maggiori senza aumentare la larghezza). Questo è stato possibile cambiando la posizione della catena di distribuzione, che da centrale è diventata laterale. I supporti di banco, che in precedenza spesso erano sei, sono diventati invariabilmente cinque e l’albero a gomiti è diventato più corto e rigido. Un ulteriore vantaggio si è avuto passando dalle canne riportate in ghisa a quelle integrali con riporto al nichel-carburo di silicio. Oltre a un minor peso e a un più agevole passaggio del calore, questo ha consentito anche di ridurre l’interasse tra le canne dei cilindri, per un dato alesaggio. In altre parole, è diminuito lo spessore della parete metallica che separa le canne adiacenti, cosa vantaggiosa ai fini della compattezza. Nei quadricilindrici in linea degli anni Ottanta erano usuali valori dell’ordine di 12-18 mm. Una forte riduzione si è avuta nel decennio successivo. Passando dalla versione del 1995 a quella del 1996 nel motore Suzuki GSX-R 750, grazie alla adozione della catena di distribuzione laterale e di canne integrali con riporto superficiale, lo spessore di tale parete è sceso da 15 a 8 mm. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila si è arrivati ai valori attuali (che per i 1000 a 4 cilindri supersportivi sono compresi tra 6 e 5 mm soltanto!).
Un minore ingombro del motore è vantaggioso anche perché si traduce di norma in un minor peso. Occorre comunque ricordare che in certi casi, soprattutto se il motore è bicilindrico, il basamento non deve avere dimensioni molto contenute perché è parte integrante della struttura del telaio. O anche per ragioni estetiche (modelli custom, cruiser, classic style…).
Da alcuni anni a questa parte in diversi motori di alte prestazioni la bancata dei cilindri non è amovibile ma è incorporata nella stessa fusione del semibasamento superiore. La soluzione può essere leggermente vantaggiosa in termini di razionalità costruttiva (minor numero di lavorazioni) e di rigidezza strutturale. Di recente sono comparsi anche alcuni bicilindrici a V (Morini, Ducati Panigale) nei quali i cilindri sono di pezzo con il basamento e le canne sono del tipo umido con bordino di appoggio superiore.
Sui quadricilindrici europei e giapponesi di tipo sportivo da tempo è generalizzata la soluzione che prevede canne dei cilindri integrali con riporto di nichel più particelle dure sulle pareti interne. La maggior parte dei motori di piccola cilindrata e/o di prestazioni non elevate costruiti nel mondo (basta pensare ai milioni e milioni di esemplari che vengono prodotti ogni anno in Cina e in India) è però dotata di canne in ghisa. Che, a differenza di quanto avveniva in passato, oggi in genere si preferisce incorporare nei cilindri in lega di alluminio all’atto della fusione e non più installare per interferenza. Si potrebbe pensare che questa soluzione venga preferita per ottenere un più agevole passaggio del calore dalle pareti interne a quelle esterne, lambite dal fluido di raffreddamento. Questo è vero (però solo in misura piuttosto contenuta e comunque non sempre!), ma considerando il fatto che i motori in questione sono assai spesso di potenza specifica relativamente modesta non sembra proprio che si tratti di un vantaggio realmente significativo. In realtà la preferenza a questo schema costruttivo viene fondamentalmente accordata per ragioni economiche. Grazie ad esso infatti il costo di fabbricazione può essere leggermente minore.