Ieri e oggi: evoluzione dei motori di alte prestazioni

Ieri e oggi: evoluzione dei motori di alte prestazioni
Terza puntata dedicata all'evoluzione tecnica dei motori motociclistici, stavolta quelli di alte prestazioni. Dopo aver parlato di testa, distribuzione e struttura generale del motore passiamo al cuore: i pistoni
29 luglio 2016

I pistoni sono forse i componenti dei motori che hanno visto cambiare il loro disegno e il loro dimensionamento in misura maggiore, nel corso del tempo. Quelli degli anni Sessanta sono notevolmente diversi da quelli degli anni Novanta, e questi ultimi differiscono a loro volta da quelli odierni. Tali differenze sono particolarmente accentuate nei pistoni destinati ai motori di prestazioni più elevate.

Una volta il mantello era intero. A un certo punto all’esterno delle portate per lo spinotto hanno iniziato ad apparire delle sfiancature che, inizialmente appena accennate, col tempo sono diventate sempre più evidenti. Lo step successivo è stato il passaggio alla conformazione “ad H”, con il mantello che si è ridotto a due pattini di appoggio alla canna, di estensione circonferenziale che con il passare degli anni è andata progressivamente diminuendo.

Sui motori più spinti di recente sono comparsi pistoni con disegno del tipo box-n-box (definiti “bridged pistons” dai costruttori giapponesi), con nervature di rinforzo tra le portate per lo spinotto e la parte esterna del cielo e con ponticelli di collegamento tra le pareti che uniscono le portate stesse ai pattini di appoggio. Questo schema arriva direttamente dai motori di Formula Uno.


 

Col tempo si è gradualmente verificata anche una diminuzione del rapporto altezza/diametro. Nel bicilindrico Ducati 1199 di serie è pari a 0,44

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Col tempo si è gradualmente verificata anche una diminuzione del rapporto altezza/diametro. In altre parole, i pistoni moderni sono molto più bassi di quelli di non tanti anni fa, a parità di alesaggio. Senza andare tanto indietro, sul finire degli anni Settanta il rapporto altezza/diametro dei pistoni di una policilindrica sportiva era mediamente compreso tra 0,86 e 0,77; oggi nelle 1000 a quattro cilindri da 180-200 cavalli è dell’ordine di 0,55-0,49. Nel bicilindrico Ducati 1199 di serie è pari a 0,44. Valori ancora più bassi vengono raggiunti nei motori da competizione; in quelli da cross siamo dalle parti di 0,40.

Il peso di un pistone con un diametro dell’ordine di 76 – 80 mm, alla fine degli anni Settanta andava indicativamente da 290 a 325 grammi; oggi va da 172 a 196!

 

In questa immagine di un pistone di tipo analogo al precedente le frecce servono a dare un’idea di come vengano sollecitate a flessione, sotto la pressione dei gas, le zone del cielo all’esterno delle portate per lo spinotto
In questa immagine di un pistone di tipo analogo al precedente le frecce servono a dare un’idea di come vengano sollecitate a flessione, sotto la pressione dei gas, le zone del cielo all’esterno delle portate per lo spinotto

Pure la forma del cielo è fortemente mutata. Nei motori di alte prestazioni di una volta, con due valvole per cilindro notevolmente inclinate tra loro, per ottenere un rapporto di compressione elevato era necessario che il cielo fosse fortemente bombato. Ciò andava a discapito della geometria della camera (e quindi del rendimento termico) e del peso del pistone stesso. Oggi l’angolo tra le quattro valvole è modesto e il cielo è quasi piano; si vedono solo gli incavi in corrispondenza dei funghi delle valvole e (in genere) un lieve rialzo nella parte centrale.

 

Ben 6.000 G di accelerazione

La stragrande maggioranza dei pistoni impiegati sulle moto è ottenuta per fusione in conchiglia. Solo quelli utilizzati sui modelli di potenza specifica molto alta sono realizzati per forgiatura, procedimento notevolmente più costoso ma che consente di ottenere componenti nettamente più robusti, a parità di peso (o più leggeri, a parità di resistenza). L’impiego di tale soluzione si spiega col fatto che le sollecitazioni che questi organi meccanici devono sopportare nei motori moderni sono elevatissime. Prendendo come riferimento i 1000 quadricilindrici sportivi di ultima generazione, le velocità medie dei pistoni, al regime di massima potenza, vanno da 21,5 a 23,8 metri al secondo. Pertanto le velocità massime sono all’incirca comprese tra 35 e 39 m/s.

Questo significa che subito dopo essere arrivato al punto morto superiore, dove si ferma momentaneamente per invertire la direzione del suo movimento, un pistone deve raggiungere i 125 – 140 km/h in meno di un millesimo di secondo! Le accelerazioni massime positive sono arrivate a valori dell’ordine di 6000 volte quella di gravità! Dall’inizio degli anni Ottanta sono quasi raddoppiate e ormai si avvicinano a quelle delle superbike che correvano nel mondiale nei primi anni Novanta. Poiché una forza è uguale a una massa per una accelerazione, è chiaro che quelle in gioco sono sollecitazioni impressionanti.

Yamaha R1M
Yamaha R1M

Pure il carico termico ha raggiunto livelli elevatissimi, per dei motori aspirati. La potenza specifica areale, fedele indice di questo tipo di sollecitazione, ormai nei quadricilindrici 1000 di serie è arrivata a superare 1,0 CV/cm2 ed è ormai assai vicina ai valori che venivano raggiunti dai motori di Formula Uno all’inizio degli anni Duemila. La funzione dei getti di olio che, emessi da appositi getti, vanno ad asportare calore della parte inferiore del cielo dei pistoni, diventa sempre più importante.

 

Anche i segmenti hanno subito una notevole evoluzione. Ormai quasi ovunque la ghisa è stata sostituita dall’acciaio, in molti casi nitrurato. Questo ha consentito di ridurre via via lo spessore di questi componenti; da diversi anni a questa parte nei motori sportivi quello dei segmenti di compressione è sceso al di sotto del millimetro. Pure l’altezza dei raschiaolio (quasi sempre del tipo in tre parti) è comunque diminuita fortemente.

La superficie di lavoro dei segmenti, ossia quella che contatta la parete del cilindro, è stata ulteriormente migliorata come geometria e sempre più spesso viene dotata di riporti di ultima generazione, depositati con tecniche PVD. Questo, grazie anche a una diminuzione del carico radiale, ha consentito di ridurre l’attrito, cosa molto importante ai fini del rendimento meccanico.