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Il Parlamento europeo ha definitivamente approvato a maggioranza - 340 voti favorevoli, 279 contrari e 21 astensioni - il divieto di mettere in vendita i veicoli con motori endotermici dal 2035.
La misura fa parte del piano “Fit for 55” (“Pronti per il 55”), presentato dalla Commissione europea lo scorso luglio, che si compone di tredici diverse iniziative politiche che nel complesso mirano a ridurre entro il 2030 le emissioni del 55 per cento rispetto ai livelli del 1990, e poi a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.
Nella notte di mercoledì 29 giugno, un altro parere favorevole è arrivato dalla Commissione che ha riunito a Lussemburgo i ministri dell'Ambiente europei. Sono state necessarie 17 ore di discussione, ma alla fine il compromesso (qui potete trovare maggiori indicazioni) è stato trovato. Le tempistiche degli obbiettivi restano quelle già approvate dal Parlamento europeo.
Ora queste misure dovranno essere negoziate dai membri del Parlamento europeo nel loro ultimo passaggio.
Detto dell'iter di approvazione delle nuove norme, va sottolineato come la riduzione delle emissioni clima-alteranti è da qualche anno un tema centrale della politica e della ricerca tecnologica.
Un'evoluzione che riguarda da vicino la mobilità e sulla quale si sono concentrate molte attenzioni: in campo automobilistico ha provocato una forte spinta allo sviluppo delle motorizzazioni ibride e poi elettriche.
La Commissione europea, seguendo il percorso tracciato nel 2019 con l'European Green Deal, la scorsa estate aveva proposto che le automobili vendute dal 2035 siano soltanto a emissioni zero.
Secondo il piano, a partire dal 2030 si tratterebbe intanto di tagliare le emissioni del 50-55% rispetto ai valori del 2021. Per sostenere la conversione elettrica è stata fatta richiesta ai Paesi membri dell'Unione di predisporre punti di ricarica le auto ogni 60 chilometri, e ogni 150 nel caso delle stazioni di rifornimento per le auto alimentate a idrogeno.
A inizio dicembre 2021, nella quarta riunione del Comitato interministeriale per la Transizione ecologica (CITE), i ministri della Transizione ecologica Roberto Cingolani, delle Infrastrutture e Mobilità sostenibili Enrico Giovannini e dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, hanno recepito le indicazioni della Commissione Europea definendo le tempistiche in Italia per la sostituzione dei veicoli con motore a combustione interna.
In linea con la maggior parte dei paesi avanzati è stato deciso che “l'eliminazione graduale delle automobili nuove con motore a combustione interna dovrà avvenire entro il 2035, mentre per i furgoni e i veicoli da trasporto commerciale leggeri è prevista entro il 2040”.
La decisione, come è noto, ha sollevato preoccupazioni da parte dell'industria dell'auto per le ricadute occupazionali e critiche circa le tempistiche scelte che sono state ritenute anticipate rispetto allo sviluppo delle infrastrutture di ricarica e rispetto alla necessaria produzione di energia elettrica pulita che dovrebbe alimentarle.
Ora che il Parlamento Europeo ha ancora legiferato, le preoccupazioni dell'industria italiana tornano ad affacciarsi, come pure quelle delle aziende europee, e il tema dei costi economici e occupazionali è grande.
Il Green Deal europeo punta alla decarbonizzazione entro il 2050 e prevede una serie di passaggi intermedi che riguardano non soltanto la mobilità terrestre ma anche quella marittima e aerea, con certificati di emissioni e scambio quote di emissioni comprese.
Parliamo principalmente di mobilità, perché ci interessa più da vicino, ma l'ambizioso piano europeo - attualmente il più avanzato al mondo - riguarda tutte le attività industriali, la produzione di energia, l'agricoltura, l'edilizia, eccetera.
Con la richiesta di dimezzare le emissioni entro il 2030 (ovvero fra otto anni, pochi nell'orizzonte industriale dell'auto) si porrebbe la parola fine ai motori termici che conosciamo oggi, a meno di ricorrere a carburanti ecologici.
Di motocicli e ciclomotori non si è ancora parlato, da una parte per il minore impatto ambientale, dall'altra perché le due ruote già adesso sono una buona risposta nell'alleggerire il traffico.
Tuttavia è impensabile che moto e scooter non risentano di certe decisioni.
Gli investimenti stanziati dalle Case automobilistiche entro il 2030 e dedicati alla transizione elettrica, secondo un'analisi pubblicata dalla Reuters, sono di oltre 500 miliardi di dollari a livello globale. Una cifra mai così alta in passato, eppure non sufficiente a cancellare di colpo l'auto che abbiamo conosciuto fino a pochi anni fa senza provocare danni occupazionali che si rifletterebbero sull'economia di molti Paesi.
Un recente studio dell'Associazione europea della componentistica dell'auto, per esempio, ha quantificato i danni derivanti dalla messa al bando dei motori a combustione interna nel 2035: l'Italia da sola rischierebbe di perdere 67.000 posti di lavoro nel periodo 2025-2030, e 73.000 nel 2040.
L'ACEA, l'associazione europea dei costruttori dell'auto, ha chiesto alle istituzioni della UE di concentrarsi sull'innovazione invece di vietare o prescrivere una soluzione specifica.
Di stesso avviso è anche Paolo Magri quando afferma che “La tecnologia elettrica è ancora immatura e non ci sono le infrastrutture adeguate. Si va verso una situazione complicata: attenzione a creare scompiglio nell'industria e quindi alla perdita di posti di lavoro in Europa”.
Secondo un report promosso da Motus-E (che ha visto coinvolte anche ANFIA e ANCMA ed è basato su interviste a 122 aziende italiane attive nella mobilità tradizionale ed elettrica) per il 65% degli operatori della componentistica la mobilità elettrica non è ancora una priorità, mentre il 40% degli operatori che si stanno ri-specializzando più rapidamente sono gli OEM (Original Equipment Manufacturers).
Per le moto, più che per l'auto, la questione dell'autonomia offerta dalle batterie è cruciale e quindi la necessità di avere punti di ricarica diffusi è ancora maggiore.
Le richieste fatta dalla Commissione europea, i 60 e 150 km di distanza prima ricordati, sono un obiettivo non semplice da raggiungere anche per ciò che riguarda la portata della rete elettrica, ma nel contempo insufficiente se si pensa alle strade di non primaria importanza ma molto battute nel tempo libero.
In Italia ci sono circa 25.000 prese di ricarica (ma sono 13.000 colonnine con doppia presa): il rapporto con le auto circolanti è di 0,13. Negli ultimi dodici mesi sono state immatricolate in Italia 31.433 automobili 100% elettriche (due terzi nelle regioni del nord) e, secondo le previsioni, le auto con motore elettrico previste nel 2030 dovrebbero salire entro una forbice fra i quattro e i sei milioni, mentre i punti di ricarica a uso pubblico dovrebbero aumentare da un minino di 57.000 a un massimo di 83.000.
Nelle migliori previsioni il parco circolante sarebbe probabilmente per il 70% ancora formato da auto con motore termico.
A parte questa considerazione sulle emissioni globali (e la CO2 emessa dalle automobili in Europa è inferiore al 20% del totale, dati dal Parlamento europeo) rimane l'origine dell'energia elettrica messa a disposizione nei punti di ricarica, che deve provenire da fonti rinnovabili altrimenti la questione non avrebbe senso.
Nel 2020, fonte Enel, oltre un terzo dei 320 terawattora del fabbisogno elettrico italiano è stato coperto da fonti rinnovabili, i rimanenti due terzi sono prodotti impiegando combustibili fossili: gas naturale (per la quasi totalità), carbone e una piccola quota di petrolio.
La quota green corrisponde a 110 terawattora che equivalgono circa 10 milioni di tonnellate di petrolio.
La quota principale arriva dell'idroelettrico (42%), poi ci sono fotovoltaico (20%), eolico (16%), bioenergie (17%) e geotermico (5%).
Va osservato che l'Italia è il terzo produttore verde in Europa con una quota totale pari al 10%. La domanda di elettricità per la mobilità richiede ovviamente l'incremento di questa produzione, che è prevista peraltro nei piani e sostenuta anche dal PNRR con i 34,6 miliardi destinati alla transizione ecologica nel suo complesso.
Il sostegno alle rinnovabili, alla loro diffusione, continua a gravare sulle bollette che tutti noi paghiamo alzando il costo dell'energia: gli incentivi alle fonti rinnovabili pesano per 12 miliardi di euro l'anno.
In Italia, dopo gli aumenti degli ultimi mesi, un kWh costa mediamente 43 centesimi di euro (contro i 28 precedenti), con appunto gli oneri di sistema e senza Iva. In pochi Paesi costa di più, con una incidenza fiscale che raggiunge il 65% in Danimarca.
Il progresso nella chimica degli accumulatori è stato molto rapido negli ultimi quindici anni.
La densità energetica in rapporto al volume è triplicata dal 2010 al 2015 raggiungendo i 300 Wh/l e all'orizzonte ci sono accumulatori in grado di raggiungere i 1.300 Wh per litro di volume.
Ma ancora più importante nella dinamica di un veicolo, a maggior ragione per una moto, è la densità energetica in rapporto al peso.
Le attuali batterie agli ioni di litio offrono mediamente 200 Wh/kg, sfiorano i 250 quelle della Tesla Model 3 e le migliori in commercio arrivano a 260. Una batteria ricaricabile standard raggiunge invece i 70-100 Wh/kg, mentre quelle SSB (le semi stato solido in sviluppo) sono a quota 360.
E ci si aspetta molto dagli accumulatori allo stato solido, la cui tecnologia è già impiegata in ambiti però ristretti, nel dare una svolta all'auto e alla moto elettrica grazie anche a tempi di ricarica di tre volte inferiori.
Samsung ne sta sperimentando una da 450 Wh, ma ci sono studi più avanzati di batterie SSD al litio, cobalto e manganese notevolmente più capaci.
Il problema maggiore degli accumulatori allo stato solido riguarda al momento i costi di produzione molto elevati. In compenso le batterie al litio si sono ormai avvicinate alla soglia di 100 dollari per chilowattora, un valore che pareva più lontano da raggiungere soltanto pochi anni fa.
Nissan, per citare infine uno degli esempi automotive più interessanti, avvierà nel 2024 un suo impianto pilota per la produzione di una batteria proprietaria allo stato solido e conta di produrla nel 2028 a un prezzo di 75 dollari a kWh; confidando di scendere a 65 dollari a livello di pacco batteria completo.
Entro il 2030 ci prevedono insomma grandi miglioramenti sul fronte delle batterie.
Se non siete ancora stanchi di numeri aggiungiamo che la benzina offre una densità energica di circa 13.000 Wh/kg, un valore diverse volte più alto delle migliori batterie in uso anche considerando il minore rendimento del motore termico rispetto a quello elettrico e questo – assieme naturalmente ai costi delle batterie – rende ancora la moto con il tradizionale motore a scoppio decisamente più competitiva in termini di prestazioni pure e leggerezza.
Nel campionato MotoE, in attesa di conoscere il potenziale della nuova Ducati, i tempi sul giro sono paragonabili a quella di una Moto3 che è spinta da un monocilindrico 250 da una sessantina di cavalli e che pesa circa 85 kg, mentre la Ego Corsa elettrica ha potenza di circa 160 cavalli, pacco batterie di 20 kWh e un peso di 240 kg.
KTM, per voce di un suo dirigente di spicco, conferma che per avere le prestazioni equivalenti a quelle di una MotoGP - e in una gara della stessa lunghezza - il peso di una moto elettrica schizzerebbe a 500 kg. Forse esagerando un poco, ma nemmeno molto probabilmente.
Se non si parla di prestazioni massime, ad esempio in ambito urbano dove si può anche recuperare energia in frenata, o in ambito extraurbano allora l'elettrico raggiunge ovviamente migliori livelli di competitività.
Il motore termico ha ancora molto da esprimere anche rispetto alla riduzione delle emissioni. Già adesso una moto con omologazione Euro 5, come ricorda Paolo Magri “Ha emissioni notevolmente inferiori a quelle di un'automobile e la mobilità a due ruote è di fatto già sostenibile”.
Lo dicono i numeri relativi alle emissioni nei test reali e non occorre essere degli esperti per capire che nel traffico intenso i tempi di percorrenza su due ruote calano drasticamente e di conseguenza diminuiscono le emissioni.
Inoltre i motori termici posso essere adattati in maniera molto semplice all'utilizzo degli e-fuel, i carburati sintetici puliti che non derivano dai combustibili fossili.
Non è certo un caso che la Formula 1 abbia programmato il loro uso nelle competizioni a partire dal 2025 (con riduzione di CO2 del 65%) per arrivare a emissioni nette pari a zero nel 2030.
E la MotoGP l'ha seguita a ruota annunciando per il 2024 l'uso di benzine con almeno il 40% di quota non generate dal fossile e la scadenza del 2027 per vedere in gara moto alimentate con benzina 100% non fossile.
La tecnologia è pronta, ma anche in questo caso non mancano gli ostacoli da superare. Prima di tutto perché la produzione di questi carburanti (parliamo degli e-fuel liquidi PtL, che sono i più promettenti e adatti anche alle esigenze dei motori aeronautici) richiede tanta energia: 20 kWh per un litro.
Quindi serve un'enorme quantità di energia in più e per giunta da rinnovabili quali eolico e solare, fonti che non sono disponibili ovunque e in abbondanza.
In breve, gli e-fuel (perciò detti anche elctrofuel) sono combustibili gassosi o liquidi di origine sintetica e vengono prodotti attraverso sistemi alimentati da energia elettrica rinnovabile. Ovvero si tratta di trasformare l'energia elettrica in chimica, sotto forma di combustibili che sono sfruttabili come vettori energetici.
L'e-fuel più semplice da produrre è l'idrogeno ottenuto con un processo di elettrolisi dell'acqua e alimentato da energia elettrica rinnovabile. Successivamente attraverso la sintesi Fischer-Tropsch l’idrogeno viene combinato con la CO2 estratta dall’aria e convertito nel vettore energetico liquido.
Potete leggere qui un interessante ed approfondito articolo tecnico di Massimo Clarke sui carburanti alternativi.
Porsche e Siemens hanno annunciato la creazione di un impianto di produzione di e-fuel in Patagonia (Cile) che nel 2024 potrà fornire 55 milioni di litri l'anno.
Non sono pochi ma per dare l'idea sostituirebbero l'attuale uso di benzina e gasolio delle auto tedesche circolanti per un totale di sei ore di utilizzo.
Aumentando le capacità produttive dovrebbe poi scendere anche il prezzo, che ora è di circa 4,5 euro al litro, oltre quattro volte quello della comune benzina una volta tolte le accise.
Ma certamente gli e-fuel hanno due grandi vantaggi: possono alimentare i motori che conosciamo oggi riducendo di poco le prestazioni e possono sfruttare l'esistente rete di distribuzione.
Se in passato le celle a combustibile alimentate a idrogeno per la auto (e scooter, ricordiamo i test fatti a Tokyo da Suzuki) parevano la soluzione a molti problemi ambientali, si è poi capito che non era poi così semplice ridurne il costo che è parecchio elevato e quindi la loro diffusione si è fermata.
Come abbiamo visto produrre l'idrogeno non è economico e nemmeno ecologico: ricavarlo per elettrolisi richiede molta elettricità. Che se non è “verde” e magari proveniente da quote eccedenti è poco vantaggiosa. Non semplici sono anche il trasporto e lo stoccaggio.
A ogni modo ci sono buone ragioni per continuare a sviluppare seriamente la tecnologia dell'idrogeno per i motori a combustione interna.
Recentemente le tre marche automobilistiche giapponesi Toyota, Subaru e Mazda, più quelle motociclistiche Yamaha e Kawasaki, si sono alleate per una ricerca congiunta su più fronti, competizioni comprese, con l'obiettivo di arrivare alla neutralità delle emissioni fornendo un'alternativa al motore elettrico e alle sue complessità di gestione.
Giocare su più fronti è in questa fase la strategia più sensata, perché la complessità delle diverse aree del mondo e quella dei trasporti richiede approcci differenziati.
“L'elettrico, e lo scooter in particolare, nel prossimo futuro sarà sempre di più la soluzione per la mobilità urbana - è ancora il commento di Paolo Magri - mentre per le moto lo saranno i carburanti ecologici; sul solo elettrico siamo ancora lontani”.
E' sulla stessa lunghezza d'onda anche il numero uno di BMW Motorrad, Markus Schramm, quando ricorda che la prossima gamma BMW per la mobilità urbana sarà unicamente elettrica, mentre sulle moto “lo sarà solo se la tecnologia di accumulo dell'energia farà progressi significativi in termini di peso, densità energetica e di ingombri”.
Come dire che bisognerà aspettare le batterie allo stato solido.
Ma oltre alle prestazioni, è sempre l'opinione di Schramm, è necessaria una infrastruttura adeguata. “Gli e-fuel sono un approccio più promettente alla decarbonizzazione per tutte quelle moto che saranno guidate lungamente nel tempo libero”. Se state già pensando alla GS o alla RT del prossimo futuro potete quindi stare tranquilli...
Tanto sforzo nella riduzione delle emissioni clima alteranti nei trasporti, e non solo, ha senso se trova riscontro a livello globale.
Ad esempio gli Stati Uniti sono sì i terzi al mondo nelle emissioni di CO2, dopo Cina ed Europa, ma la loro produzione procapite è dieci volte quella cinese.
E se guardiamo l'andamento delle emissioni di CO2 negli ultimi vent'anni, almeno per quanto riguarda la produzione di energia e cemento che ne sono le principali fonti, Europa e Stati Uniti hanno iniziato a ridurle a partire dal 2005, mentre nello stesso periodo sono quasi triplicate in India e ancora di più in Cina, con l'aggravante che quest'ultima vale quanto Europa e USA messe assieme.
Nella decisione di dire stop alle auto termiche entro il 2035 l'Europa può insomma fare da apripista, ma senza perdere di vista tutte le implicazioni sociali ed economiche che questo comporta.
“L'Europa non ha manie suicide – è il commento finale di Magri – colpire l'industria continentale favorendo quella cinese sarebbe preoccupante.
Siccome ho molta stima nella Commissione europea, al di là di questa fuga in avanti, credo che ci sarà un ripensamento e un adattamento dei tempi più coerente con le necessità della nostra industria”.
(Questo articolo è stato pubblicato il 21/12/2021 e aggiornato il 29/6/2022)