Il segreto della trasmissione senza “salti” tra una marcia e l’altra della Honda è una soluzione ideata da Bill Martin della inglese Zeroshift. Il principio di funzionamento è semplice e geniale | M. Clarke
Come è fatto e come funziona un cambio motociclistico classico
Per prima cosa è bene ricordare sinteticamente come è fatto e come funziona un cambio motociclistico, del classico tipo in cascata. Ci sono tante coppie di ingranaggi (sempre in presa tra di loro) quante sono le marce e due alberi (uno di entrata, detto primario, e uno di uscita, detto secondario) sui quali sono montati gli ingranaggi stessi. Di ogni coppia di ingranaggi in presa, uno è obbligato a ruotare assieme al suo albero, mentre il secondo è montato folle sull’altro albero. Per innestare le marce basta rendere a turno solidali con il proprio albero i vari ingranaggi folli. Questo si ottiene per mezzo di manicotti scorrevoli (vincolati all’albero mediante accoppiamento scanalato e quindi obbligati a ruotare assieme ad esso) muniti di denti di innesto frontali. Al momento opportuno una forcella sposta lateralmente il manicotto, i cui denti frontali (che gli inglesi chiamano “dogs”) penetrano nei vani tra gli analoghi denti ricavati sul fianco dell’ingranaggio folle adiacente. Quest’ultimo viene in tal modo vincolato all’albero, e quindi è costretto a ruotare assieme ad esso. Lo stesso avviene per innestare le altre marce. Ogni manicotto è in genere dotato di denti di innesto frontali da entrambi i lati e quindi serve per innestare due marce, spostandosi (di alcuni millimetri soltanto) prima da una parte e poi dall’altra. Per ragioni di compattezza, nei cambi moderni di norma i manicotti sono “incorporati” in ingranaggi scorrevoli assialmente, vincolati all’albero tramite accoppiamento scanalato e dotati di denti di innesto frontali. Il funzionamento è esattamente eguale. Come ovvio, il moto viene trasmesso dall’albero di entrata a quello di uscita da una sola coppia di ingranaggi alla volta.
Il cambio Zeroshift
Nel cambio Zeroshift gli ingranaggi folli sono montati tutti sull’albero secondario. Sono sempre in presa con quelli dell’albero primario e, per una data velocità di rotazione di quest’ultimo, avendo diametri differenti ruotano a velocità diverse. Tra due ingranaggi folli vi sono due anelli scorrevoli, ciascuno dei quali è dotato di tre denti di innesto frontali, di forma particolare. Questi denti fungono da elementi di trascinamento (sono in un certo senso dei veri e propri nottolini scorrevoli di un arpionismo); la Zeroshift li chiama “bullets”, cioè proiettili. Ognuno di essi ha a ciascuna estremità un lato normale, a spigolo vivo, e uno fortemente smussato, ossia conformato come una “rampa”. Per ogni anello vi è una forcella. Nelle immagini fornite dalla ditta inglese questi anelli non sono montati direttamente sull’albero, ma su di un manicotto solidale con esso (evidente la destinazione automobilistica, con gli anelli che prendono il posto dei sincronizzatori).
Alla base del funzionamento di un cambio di questo tipo vi sono il collegamento non rigido ma elastico (si impiegano apposite molle) tra gli anelli e le forcelle, o tra queste ultime e il tamburo selettore che ne determina lo spostamento, e l’impiego di ingranaggi con denti di innesto frontali dotati di una forma fortemente a coda di rondine. Con il motore in funzione e la frizione innestata, a moto ferma, l’albero primario gira, e così pure gli ingranaggi, ma l’albero secondario no, in quanto il moto non gli viene trasmesso (gli ingranaggi montati su di esso ruotano tutti liberamente, essendo folli). Per innestare la prima gli anelli vengono spostati lateralmente e i nottolini entrano in presa con i denti frontali dell’ingranaggio folle corrispondente a tale marcia. Quelli dell’anello A, con il lato a spigolo vivo dalla parte giusta, si incastrano nei fianchi a coda di rondine dei denti frontali e quindi l’ingranaggio trascina in rotazione l’albero.
I nottolini dell’altro anello (B) servono in questo caso solo per riprendere il gioco (“backlash”) e non per trasmettere il moto; sono infatti rivolti dalla parte “sbagliata”. Abbiamo in questo modo tre nottolini attivi (trasmettono il moto) e tre passivi. Per innestare la marcia successiva, cioè la seconda, la forcella dell’anello B, con i nottolini passivi, si sposta verso l’ingranaggio posto dall’altro lato. La cosa è agevole in quanto questi nottolini non sono in presa. Anche l’altra forcella tira il suo anello (A, con i nottolini “attivi”) ma questi non mollano la presa, dato che sono “in tiro”, per via degli innesti a coda di rondine. Il vincolo elastico e non rigido tra meccanismo di comando e forcella consente questo. Non appena i nottolini dell’anello B, che ora hanno lo spigolo vivo dal lato giusto, entrano in presa con i denti frontali dell’ingranaggio della seconda, è quest’ultimo, che gira con una velocità più elevata rispetto a quello della prima, a trascinare in rotazione l’albero, il che “sgancia” automaticamente i nottolini dell’anello A, non più in tiro. Grazie alla azione delle rampe (cioè del lato smussato) dei nottolini stessi e delle molle, avviene così il disinnesto, proprio contemporaneamente all’innesto della seconda! Ciò si ripete anche per le marce successive, con quella più alta che, quando entra in presa, automaticamente “tira via” quella più bassa, grazie alla differenza tra le velocità di rotazione. In questo modo il moto viene trasmesso praticamente senza interruzioni.
Detto così sembra tutto semplice, ma in effetti si rendono opportune delle sofisticate strategie di “addolcimento”, gestite da una centralina elettronica appositamente programmata, che si possono attuare modulando come opportuno l’accensione e/o l’iniezione (ma anche la frizione può essere fatta leggermente slittare). In accelerazione quindi il pilota tiene aperto il gas, non usa la frizione e muove solo il pedale del cambio. Al resto pensa la centralina.
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