Il Guardrail e la vita in sospeso

Lorenzo Borselli, capo redattore di A.S.A.P.S e de Il Centauro, ha condotto uno studio sui fattori di rischio che coinvolgono i motociclisti. Grazie al suo lavoro le cose stanno cambiando
27 novembre 2007
L’elenco dei pericoli legati alla mobilità di motociclisti e automobilisti è una lunga lista nera: guida contromano, utilizzo ingiustificato della corsia di emergenza, guardrail, new jersey e cavalcavia privi di reti. Senza considerare i comportamenti criminosi legati all’utilizzo dei mezzi a motore. L’esperienza di “ricercatori investigatori” degli uomini della Polizia Stradale offre un’analisi approfondita di quelle che sono considerate “morti evitabili”, legate cioè a situazioni che si sarebbero potute evitare con semplici accorgimenti di carattere tecnico. I morti sulle strade sono troppi, ma si comincia a vedere una crescente presa di coscienza, soprattutto da parte dei motociclisti (categoria tra le più deboli), dei rischi e della conseguente necessità di intervento sulle così dette barriere di contenimento. Visto il crescente tributo di sangue tra i centauri, le attenzioni di numerosi rappresentanti delle due ruote – confluiti in associazioni del tipo Pistalibera o Motociclisti Incolumi - si sono indirizzate verso una maggiore educazione al rispetto delle regole stradali e nello studio di soluzioni di contenimento e dissipazione degli urti meno cruente in caso di impatto. Ciò che contiene l’impatto di un veicolo assai di rado mostra compatibilità con la sopravvivenza di un corpo umano lanciato, suo malgrado, alla medesima velocità. Il vaccino esiste (come dimostrato di recente da alcune amministrazioni in Veneto) ed è rappresentato dalle nuove barriere contenitive. Sicurezza stradale a 360° L’aumento esponenziale del traffico ha innalzato spaventosamente la soglia di mortalità globale: negli Stati Uniti l’allarme era risuonato per la prima volta nel febbraio 1952, quando l’ennesimo sinistro stradale pareggiò il conto con i bollettini di guerra: 1.005.600 i morti dai primi moti d’indipendenza del 1775 fino alla guerra di Corea allora in atto; lo stesso numero di americani che, dall’ottobre 1899 (quando il primo americano perse la vita a New York nel primo incidente stradale), erano morti in sinistri della circolazione. Il clamore suscitato da quei numeri agghiaccianti originò una campagna mediatica senza precedenti e alla fine gli States ridussero di colpo la velocità. Chi sgarra col gas passa la notte in guardina; la stessa pena è prevista per chi alza il gomito, mentre chi uccide alla guida passa dai due ai cinque anni dietro le sbarre, ai servizi sociali, esce su cauzione o sulla parola. Tutti, alla fine, perdono la patente. In Europa la cultura della sicurezza stradale è praticamente agli albori. Solo nell’ultimo ventennio, infatti, la Commissione Europea ha lavorato per arginare le cifre nere della mobilità europea. Una delle priorità europee resta il censimento dei cosiddetti black points, i punti ad alto rischio, su cui dovranno concentrarsi gli sforzi per dar vita a nuovi progetti di infrastruttura, per ridurre le lesioni in caso di scontro. Le tipologie di barriere di contenimento Ogni strada deve far parte, per essere omologata, di una delle 6 categorie previste dalla legge, secondo la larghezza della corsia, della carreggiata, dello spartitraffico e della velocità massima. Per alcune delle strade contemplate si rende necessaria l’installazione di barriere di contenimento. È dal 1987 che in Italia vige l’obbligo di recintare la strada con manufatti (in cemento armato, detti New Jersey, o in metallo, i tristemente famosi guardrail) in grado di contenere auto a 90 all’ora e camion a 60. La normativa “sarebbe” andata a regime nel 1992, quando il governo stabilì quali e quanti test avrebbero dovuto superare le barriere per essere omologate. Nel 2002 l’esecutivo è tornato sulla questione, obbligando i costruttori a sostenere i crash test. I GUARDRAIL Sul finire degli anni ’70 gran parte delle barriere di contenimento erano costituite da muri. L’incremento esponenziale del traffico comportò una prima presa di coscienza circa la necessità di proteggere in maniera più efficace il piano viabile. Arrivò dunque il primo guardrail, una sorta di ringhiera installata nei punti più pericolosi delle autostrade e lungo le banchine spartitraffico, allo scopo di impedire l’uscita di strada o di carreggiata dei veicoli e minimizzare le conseguenze degli impatti. Si tratta di una striscia di lamiera a doppia onda, che negli ultimi anni è stata in parte sostituita con strisce di lamiere a tripla onda posate su paletti di ferro con sezione ad H. Se da una parte però tale sistema di protezione si è dimostrato assai efficace, per la capacità di contenimento degli impatti e di deformazione plastica, dall’altra si sono verificate fattispecie di sinistro nelle quali la lamiera ha causato danni gravissimi. Tipico è l’ingresso della lama all’interno dell’abitacolo di un veicolo collidente e, assai più frequente, è purtroppo la casistica infortunistica a carico dei motociclisti. IL NEW JERSEY L’impatto contro questa barriera genera effetti completamente differenti. Il progetto delle barriere di cemento risale agli anni ’50, quando la auto avevano le ruote all’interno della carrozzeria, e non a filo della stessa, come accade oggi. Le nostre automobili hanno per lo più gli pneumatici a filo della carrozzeria. In caso di urto con il new jersey, con angolo di impatto laterale, le gomme salgono sullo scalino alla base del manufatto, impennano l’auto e la proiettano in aria. La vettura subisce una serie di capottamenti devastanti. I GUARDRAIL A 3 ONDE Nel caso di urto contro il guardrail costituito da lamiera a tre onde, invece, l’impatto viene assorbito egregiamente dalla struttura e quindi contenuto. L’evoluzione del guardrail ha consentito di mettere a punto un sistema in grado di garantire ancora maggiori assorbimenti in caso di impatto. Vi sono comunque alcune società impegnate nella costruzione di barriere di tipo New Jersey che vantano il dato di un notevole calo di salti di carreggiata a seguito dell’installazione dei manufatti di tale tipologia. E’ in atto una concorrenza spietata tra i produttori di barriere in cemento e quelle in acciaio, a suon di dati e crash test. Uno dei parametri necessari perché una barriera venga omologata è la sua capacità di funzionamento senza imprimere sugli occupanti dei veicoli collidenti decelerazioni incompatibili con la resistenza del corpo umano. Gli operatori della Polizia Stradale si sono chiesti se le infrastrutture presenti sulle nostre strade fossero effettivamente corrispondenti a tali caratteristiche. L’impressione ricavata è stata davvero negativa. La normativa italiana riprende una disposizione europea del 1992. Il fatto è che si tratta di un precetto privo di sanzione: un vuoto legislativo incredibile, che di fatto legittima chi – e sono tanti – non si mette in regola. Secondo fonti accreditate, il 90% della rete stradale provinciale è da considerare, sul fronte delle barriere, non in regola, mentre il 65% circa della rete regionale è nelle stesse condizioni. Ben più grave è l’esito di questo interrogativo: l’attuale quadro normativo italiano relativo ai dispositivi di sicurezza stradale prevede che debba essere verificato il comportamento delle barriere nel caso di impatto di motociclisti? E quello europeo? IL CASO DEI MOTOCICLISTI Cosa potrebbe accadere se un motociclista finisse contro una delle barriere attualmente in servizio? La Polizia Stradale, che lavora sulle strade e che assiste a scempi di ogni genere, aveva lanciato un grido di allarme, condiviso dall’associazione Motociclisti Incolumi. Grazie anche al loro monito prezioso, ha ripreso corpo lo studio e la progettazione di un nuovo tipo di barriera, che nasce con uno spirito diverso. Prima le attenzioni dei progettisti erano rivolte alla traiettoria del veicolo assunta dopo l’impatto e alle conseguenze sugli occupanti. Le analisi sono ripartite dal caso frequente di un corpo espulso dall’abitacolo di un veicolo – perché privo di cintura di sicurezza - o di un motociclista che subisce accelerazioni che lo lanciano con angoli pazzeschi contro le barriere di contenimento o contro altri ostacoli dei quali sono piene le nostre strade. Se una moto viaggia a 60 all’ora e il corpo del conducente (o del passeggero) l’abbandona dopo un urto, la velocità con cui collide contro un ostacolo fisso come il piantone di un guardrail o un muro in cemento (new jersey), costituisce una situazione ad altissimo rischio di lesioni, anche mortali. Queste sono “morti inutili”, spesso avvenute in urti banali – a bassa velocità – contro oggetti fissi, nei quali la forma dell’ostacolo o la sua posizione hanno inciso più della velocità. Le lesioni più comuni sono di carattere amputativo: decapitazione, perdita di arti o sfracellamento contro strutture inidonee alla ricezione di urti da parte di corpi umani, rimbalzati dopo la prima collisione con angoli tali da restare al centro della carreggiata – e quindi soggetti ad investimento – o sottoposti a decelerazioni troppo rapide per essere sopportate. I dati ISTAT relativi alla sinistrosità per i motoveicoli ed elaborati da Asaps lasciano d’altronde spazio a poche interpretazioni. Con un parco veicoli di circa 3 milioni e cinquecentomila mezzi, i motociclisti rappresentano appena l'8% del parco veicolare nazionale costituito da 44 milioni di veicoli, ma pagano un prezzo nella mortalità da incidente stradale di oltre il 13% e dell'11,2% fra i feriti. C’è da considerare poi la ridotta percorrenza chilometrica delle due ruote per il fermo invernale, dalla quale si evince che l’incidentalità primaverile ed estiva fra i veicoli motorizzati a 2 ruote nei fine settimana raggiunge percentuali di oltre il 50% della sinistrosità grave totale. Il vaccino contro l’ecatombe La soluzione dunque c’è, ma quando sarà adottata? Potremmo essere i primi, perché tutto nasce in Italia, dalla progettazione alla pressofusione degli acciai necessari. Il prototipo di barriera presentato 3 anni fa a Parma è pensato proprio per abbattere il tasso di mortalità dei centauri che impattano contro le barriere tradizionali: oggi finirci contro significa morire o uscirne terribilmente mutilati. Il prototipo testato è costituito da un fascione in metallo elastico, poggiato su di un guardrail più o meno tradizionale, che non consente al malcapitato motociclista di finire la sua corsa su di un paletto di sostegno o sul rasoio affilato della lama. Dummy, il manichino antropometrico equipaggiato come un provetto motociclista, lo ha provato: si è fatto lanciare a 60 chilometri orari contro la barriera, con un angolo di incidenza sull’impatto di 30 gradi. Se ci fosse stato un uomo, si sarebbe fratturato solo la clavicola, riportando un livello di “injury” compreso tra 119 e 209: si muore solo superando il valore di 1000. La nuova barriera regge però anche gli impatti con i veicoli, mostrando di poter tenere in strada veicoli tra i 900 e 1500 chili lanciati a 110 chilometri all’ora. Un bel passo in avanti. Per questo prezioso contributo, ringraziamo Lorenzo Borselli, Sovrintendente della Polizia Stradale, pattugliante autostradale di lungo corso, in servizio alla Specialità di Firenze. Consigliere Nazionale dell’Asaps, è redattore capo del sito asaps.it e de Il Centauro. Foto: fonte Asaps Andrea Perfetti
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