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Siamo venuti su disegnando traiettorie perfette tra tornanti e curve più ampie, dentro il casco il profumo degli abeti e del fieno. In perfetta simbiosi, io e lei, felici di stare insieme. Ci intendiamo ogni giorno di più, e la mia ragazza dietro è bravissima, quasi non la sento.
Quando arriviamo al passo del Falzarego la zavorrina corre a fare la fila per il bagno (le donne sono come le moto degli anni Settanta, si fermano spesso) e io ho il mio rituale. Controllo l’appoggio del cavalletto laterale sulla tavoletta di legno che mi porto sempre dietro, sfilo i guanti, tolgo i moschini dal cupolino con il Pronto Mobili (l’ho scoperto da poco e ve lo raccomando, pulisce e lascia un velo antipioggia) e intanto do un’occhiata circolare tutto intorno e mi godo il ticchettio degli scarichi che si raffreddano ai 16 gradi ambientali.
Oltre i 2000 metri fai degli incontri strani, c’è persino gente con gli zaini in spalla e gli scarponi ai piedi, masochisti di montagna. Sento uno che dice alla moglie “qui è un delirio, pare un raduno di bikers, ma basta andare 200 metri più in là e sei in paradiso!” Ecco, bravo, vacci tu in paradiso, che io resto qui con la mia bimba. Non la mollo di sicuro, non mi sposto mai oltre i venti metri, non la perdo di vista.
Torna la zavorrina e sono contento di lei perché e del tipo che dove la metti sta, non piagnucola perché fa freddo, la sella è dura o il casco è scomodo. La guardo ed è bella, bellissima, pulita da concorso, come nuova. La moto dico. Invece questo tedescone qui di fianco targato Franckfurt esibisce sulla sua bicilindrica uno di quei copriserbatoi in finta pelle che conservano la vernice perfetta per anni. Geniale: quando venderà la sua moto a un altro crucco, il fortunato compratore avrà una moto bellissima mentre l’intelligentone qui accanto se l’è tenuta sempre brutta.
Però adesso c’è qualche motociclista sprovveduto che si avvicina un po’ troppo alla mia bimba. Chi tocca muore. Lo scriverei volentieri sul serbatoio, se non fosse che potrebbe portarmi un po’ di sfiga. Ma la gente deve capire che dalla mia moto si sta lontani. Lo sapete che un mio amico ha dovuto litigare con un bambino di quattro anni che il papà aveva messo a cavalcioni della sua Honda? E quelli che schiacciano le loro ditaccia sporche sul cruscotto? Te le taglio, quelle dita, le impronte digitali restano per sempre.
Galvanizzata dall’alta quota, la zavorrina adesso si allarga. “Prendiamo anche noi la funivia -cinguetta- lassù c’è un panorama stupendo e ci sono pure le gallerie della prima guerra mondiale!”. Vacci tu nelle trincee panoramiche, io devo restare qui, pronto se occorre a scatenare la terza, di guerra mondiale!
Perché la gente è lenta a capire. Ma cosa tocchi le moto, non ti basta guardarle? Te lo spiego io come si fa: quando desideri osservare la moto di qualcuno che non conosci, prima chiedi il permesso e poi ti avvicini con le mani dietro la schiena, per chiarire le tue intenzioni. Ti fermi ad almeno cinquanta centimetri di distanza, ti sporgi allungando il collo per guardare, non tocchi niente. Non è difficile, sono consigli che trovi in ogni forum.
Li riconosci, i veri motociclisti: domandano, si informano, ammirano, ma a distanza, e soprattutto non toccano. Spero di essere stato chiaro e, nel caso ci si incontri su qualche passo, io sono quello con la tavoletta sotto la stampella laterale e il Pronto Mobili a disposizione. Con la zavorrina? No, lei no, sulla funivia ha conosciuto un allevatore di San Colombano, un pazzo che gira con una Guzzi di vent’anni fa incrostata di fango…