Il Restauro

Conservare o restaurare? Questo è il dilemma che attanaglia il possessore di moto d’epoca, che rischia di mettersi in garage una bella senz’anima
20 febbraio 2008


Eccoci qui, in garage, in taverna, sotto la tettoia in giardino, a contemplare il nostro acquisto.
Lei è lì, muta sul cavalletto - quando c'è - oppure appoggiata al muro. Alcuni ridono guardandola e si dicono: "Ma tu pensa che affare ho fatto!".
Altri hanno il broncio e un peso sul cuore: "Mi avrà fregato? Forse l'ho pagata un po' troppo, e adesso chi lo dice a mia moglie?". L'oggetto delle nostre riflessioni è lì, di fronte a noi, in placida attesa di grandi decisioni.

Decisioni che a volte vengono prese d'impeto, ci si butta armati di chiavi, pinze e tronchesi a smontare, per mandare tutto in sabbiatura, nichelatura, cromatura, verniciatura. Altre volte sono ponderate e vengono prese nel tempo, dopo innumerevoli notti insonni a meditare sul da farsi.

Il grande dilemma che ci attanaglia è il restauro, sconosciuto eticamente, bistrattato materialmente, interpretato al massimo rigore dell'originalità, oppure furbescamente messo in atto per trasformare qualcosa che non è.

Personalmente sono dell'opinione che sia tutto da lasciare com'è; se una moto vecchia è riuscita ad attraversare il tempo e arrivare ai nostri giorni ancora sulle sue ruote, lasciatela in pace.
Le cromature che non sono più luccicanti, i cerchi opachi, la vernice scrostata in più punti, la gomma sulla pedana smangiucchiata dalle "pieghe" fanno parte dell'anima della moto.
Parola grossa, ma una moto ha un'anima che si forma adattandosi alle avventure passate con il/gli utilizzatori. Perché togliere quest'anima, conquistata con anni e anni di uso o di abbandono sotto una coperta in cantina? Perchè voler a tutti i costi portarla allo splendore di quando era appena uscita dal negozio?

Certi restauri stanno alle moto come gli acrobati ai cristiani: perché farne un fenomeno da baraccone, quando è così bella nella sua vecchiaia? La bellezza di tanto tempo passato insieme.
Vi scrivo questa dichiarazione d'amore per aver fatto una cosa che mai avrei voluto. Ho venduto la mia prima moto d'epoca "seria", il mitico Fantic.

Comprato e fatto preparare in un momento strano. Uscivo da una lunga esperienza di rotture di motori "fai da te" e, consigliato da un amico, avevo comprato questa moto che nemmeno mi piaceva.
L'ho fatta preparare da un meccanico con i fiocchi. I primi tempi, il Fantic e io ci "usmavamo" poco, sì, il motore spingeva forte, ma era l'insieme ad essermi estraneo.

Poi una gara dopo l'altra ci siamo adattati uno all'altro.
Una botta al cerchio, la fiancatina in pezzi poi riuniti con il nastro americano, le leve che cominciavano a dondolare, i freni che frenavano quando avevano voglia, la sella con la forma del mio sedere.

Siamo stati anche in Piemonte a fare il giro delle strade militari d'alta quota. Alla fine per ragioni di spazio, l'ho messa in vendita e sono riuscito a trovare un acquirente, il quale mi ha imposto un restauro conservativo prima di decidere.

La motina alla fine è tornata nuova, con tutta la vernice brillante, i cerchi lucidi da specchiarsi e la marmitta nera opaca come si conviene. L'ho data via volentieri perché ormai non era più lei. Non era più il mio Fantic, ma una cosa da mettere in vetrina ad Amsterdam da far guardare e toccare ai passanti vogliosi.

Ho amici che possiedono collezioni importanti di moto, molte delle quali "da vetrina". Beh, quella che preferisco è ancora la vecchia Gilera 6 giorni del papà del Dottor Costa (sì, l'aggiusta-ossa della motogp), conservata con tutte le ammaccature fatte sui colli Bolognesi.

L'ho fatta comprare alla mostra di Imola ad un mio amico che ancora oggi, dopo anni, mi rinfaccia di avergli fatto prendere una fregatura. L'ha buttata in un angolo del garage e nemmeno la degna di uno sguardo. Ma lei è lì, elegante nella sua vetustà, e io la trovo molto più affascinante della 175 restaurata a nuovo che le sta vicino.

Un restauro, se non è strettamente necessario, è da evitarsi come la peste. Spesso il restauro è solo il pretesto per "taroccare" una moto ed ottenere il massimo di pecunia dal primo sprovveduto.
Chi è possessore di moto da corsa, quelle vere, oppure di moto rare e importanti, se le tiene ben strette con le varie ammaccature. Si tengono i documenti originali per ogni pezzo, in modo da garantirne l'autenticità nel tempo. Ma anche questi a volte vengono rifatti in modo "forzoso".

E allora cosa ci resta per determinare l'autenticità della moto? La sua Anima, ovvero la sua originale vecchiaia. La vecchiaia di tanto tempo, delle gioie vissute col plaid sulla sella.
Mai cambierei mia moglie quarantenne con una copia di lei di vent'anni.

Questo è solo il mio parere, scritto così di getto, per farvi staccare 5 minuti da tutte quelle e-mail che attendono risposte urgenti e imperiose nella finestra accanto.



Paolo Sala

 

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