Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Il Tourist Trophy, la road race più famosa del mondo, è nata nel 1907 sull’isola di Man (curioso: insieme all’organizzazione dei boy scout di Baden Powell), è stata a lungo la gara più importante del mondo, è rimasta nel calendario del campionato mondiale piloti dal 1949 al 1976. Ma il numero dei piloti che ci hanno lasciato la vita è altissimo: fino a oggi sono 156 le vittime registrate ufficialmente, addirittura 256 se teniamo in considerazione anche Classic TT e Manx TT che si svolgono sempre sul circuito di 37,7 miglia tra Douglas, Crosby e Ramsey.
Anche quest’anno ben cinque vittime, nonostante le innovazioni apportate per tentare di aumentare il livello di sicurezza, come le bandiere elettroniche e la race direction tecnologica. Il percorso no: quello non si è mai toccato e fino a oggi ogni richiesta di modifica è stata respinta con decisione da ACU Events. Che però, chiusa la settimana di gare, quindici giorni fa ha fatto capire che qualcosa potrebbe cambiare nel 2023: ”Come organizzazione - è il comunicato - promettiamo di intraprendere qualsiasi azione che possa migliorare la sicurezza e a intraprenderla il prima possibile”.
59 lettori su cento amano incondizionatamente il Tourist Trophy e non ne cambierebbero una virgola, mentre 24 lettori su cento lo considerano un evento anacronistico e non lo amano affatto. Infine, 17 lettori su cento capiscono quanto sia emozionante e speciale, ma trovano inaccettabili tutte quelle vittime e cambierebbero molte cose sull’isola. Insomma, sei lettori su dieci dicono “il TT non si tocca”, gli altri quattro, con diverse sfumature, sono tra il “ni” ed il “no”.
Ecco i risultati del nostro sondaggio fatto sul sito e sui social senza pretesa di scientificità, soltanto per indagare tra i lettori. Abbiamo contato comunque oltre mille risposte, a dimostrazione dell’interesse che il TT solleva. “La gara è pericolosa, sì, ma è questo che la rende unica e ci piace così’” dice la maggior parte degli appassionati. Ma emerge anche la voglia di renderla meno veloce e di limitare la potenza delle moto iscritte.
Interessanti le considerazioni espresse in moltissimi commenti. Tra i decisamente favorevoli al TT, le parole d’ordine sono libertà, rispetto, tradizione, cultura. In ordine di importanza, le espressioni più utilizzate sono: “la libertà è sacrosanta e questi piloti-eroi scelgono liberamente di iscriversi”, “è nella loro tradizione e nella loro cultura, ci vuole rispetto”, “questa è la gara più vera e più bella, è l’essenza della moto, evviva le road race”.
Molti lettori chiamano in causa gli sport estremi e sostengono che “come tutti gli sport estremi il TT ha diritto di esistere, anche se ha poco senso. Altrimenti cosa facciamo, vietiamo tutto?”.
Ecco alcuni commenti tra quelli più interessanti espressi dai lettori favorevoli al TT.
“C’è un cartello che ti accoglie appena sbarcato sull’isola e dice: questa è l’isola di Man, se c’è qualche nostra tradizione o abitudine che non vi piace, c’è un traghetto che parte ogni mattina”.
“Sbarchi sull'isola - aggiunge un altro lettore - e vieni catapultato in un clima di eccitazione e serenità paradossale. I piloti sono sereni come se dovessero fare un giro turistico, le famiglie i marshall e gli spettatori vivono un clima di festa. È la corsa delle contraddizioni, velocità altissime e medie pazzesche fatte su strade di paese. Avere delle perplessità è lecito, ma prendere una posizione quando l'hai vista, un po' meno...”.
“La trafila per potersi iscrivere al TT - precisa un lettore informat o- è complicatissima, non credetevi che ci vada chiunque: c’è una severa selezione, devi correre almeno sei gare nell’anno, la moto deve avere meno di due anni di vita, le verifiche sono molto scrupolose. Spendi più di 30 k tra gomme e sospensioni, prove a non finire ecc. Alla fine il rischio è l’ultimo dei problemi”.
“La gara ha da sempre un fascino unico ed immutato. E vero che lassù correre in sicurezza è pura utopia, però se la fermassero (cosa di cui si parla quasi ogni anno ma che poi non avviene) non renderebbero onore a tutte le persone che ci sono morte in tutti questi anni, che vanno lì per scelta personale e sanno perfettamente cosa rischiano”.
C’è chi scrive: “I gladiatori sono sempre esistiti, perché un altro essere umano può impedirmi di fare una cosa per cui darei la vita? Uno può vivere come gli pare!”. Gli risponde direttamente un altro lettore: “Guarda che i gladiatori non esistono più da 2.000 anni…”.
E tra i favorevoli c’è anche chi ammette “Ok il TT è pericoloso, ma come le moto di serie da 200 cavalli e 300 all’ora: cosa facciamo, le aboliamo?”.
Quei 17 lettori su cento che sono per il “ni” comprendono il fascino del TT, anche per loro la gara è unica e bellissima e non va fermata. Ma sono colpiti dal numero dei lutti e chiedono che si cambi qualcosa. Per la maggior parte essi vedono nell’elevatissima velocità media del percorso la causa dei problemi e il tema da risolvere.
“Libera scelta dei piloti? Questa argomentazione - sostiene un lettore - mi sembra moscia. Vero, è una tradizione meravigliosa, ma i tempi cambiano e cinque morti in una sola edizione sono troppi. Forse limitare la cilindrata, oppure ridurre la velocità… Credo che ci sia un limite accettabile di rischio, che non è giusto e civile superare”.
“E’ una gara bellissima - scrive un altro - ma troppo veloce: le moto si sono molto evolute nel corso degli anni e bisogna rendersene conto. Rallentiamola, piacerebbe lo stesso”.
“Correre sull'isola deve essere qualcosa di unico in ogni senso, anche folle. Diciamocelo, è una sfida alla morte, chi decide di correre si sta giocando tutto e ne è consapevole. Qualcosa di insensato, eppure non riesco a non restarne affascinato. Ma ci vuole più sicurezza”.
“Il TT è la gara stradale per definizione e come tale pericolosa ma affascinante. Annullarla sarebbe sbagliato, altrimenti dovrebbero essere fermate anche altre gare tipo Nord West 2000 o Macao. Però sarebbe opportuno migliorare la sicurezza, analizzando ogni incidente”.
Emergono anche considerazioni molto particolari, come queste:
“C’è gente che ama il rischio anche in strada, è il nostro lato oscuro, d’altra parte l’uomo vive di emozioni”.
“Una gara discutibile - scrive un altro lettore - e destinata a piloti di minor talento, piloti che non emergerebbero né in MotoGP né in SBK”. E un ultimo lettore conclude lapidario: “E’ comunque meglio che correre da idioti sulla strada”.
Quasi un lettore su quattro si dichiara contrario, ma anche qui con diverse sfumature. Per tutti costoro il Tourist Trophy è una gara anacronistica, fuori dal tempo e con un costo insostenibile in termini di vite umane. Per molti non si può nemmeno definire sport e per alcuni è addirittura un pessimo modello per i giovani e del tutto diseducativa. Trasformiamola in qualcosa di diverso: che diventi una rievocazione per le moto storiche.
“Troppi morti, questo non è divertimento e non è sport. Anche i duelli con la pistola avevano del fascino, ma sono stati proibiti” afferma un lettore.
“La pericolosità della gara - analizza lucidamente un altro - è parte integrante del fascino che genera parteciparvi o assistervi. Se per ipotesi si mettesse in sicurezza, questa gara perderebbe senz'altro gran parte del suo significato. Ma non si può nemmeno accettare di buon grado ogni tragedia e così non si può continuare. Si dovrebbe mettere in sicurezza una buona parte del tracciato”.
“E’ semplicemente business” denunciano alcuni tra i contrari. “Forse è addirittura una speculazione sulla passione” aggiunge un altro. “E’ una sfida alla vita” per un altro ancora.
“Facciamola diventare una rievocazione per le moto storiche” è la soluzione di cinque lettori. E sono ben sette, tra gli appassionati che hanno risposto al sondaggio, che dicono: “Bisogna abolirla, è un pessimo modello per i giovani, è diseducativa”.
Per chiudere, può aiutare il parere di Giacomo Agostini, che negli anni Settanta fu tra quelli che spinsero la FIM a togliere il TT dal calendario del mondiale.
“Adesso - conferma Ago - ci sono solo i piloti che ci vogliono andare, ma il pericolo è ancora quello che fece tanti morti ai miei tempi, l’ultimo fu Gilberto Parlotti che era mio amico. Se cadi, molto probabilmente muori. Nei giorni scorsi ero là e ho visto certi passaggi impressionanti, in discesa a 280 su una strada larga 4 metri con i pali e i muri... Però lì è così, c’è tantissima gente, tanti incidenti mortali, ma nulla cambia perché è un’isola che ama le due ruote. Il tracciato contiene tutto: salti in piena velocità, curve da prima e da sesta, salita, discesa, puoi trovare quattro stagioni in un giro, la nebbia il sole e poi la pioggia… Ne ho vinti dieci, di TT, e ne sono orgoglioso. Ma ho avuto anche tanta fortuna”.