Il virus delle due ruote

Il virus delle due ruote
L'Italia di domani come quella di ieri, quando l'industria delle due ruote era all'alba della sua storia. Un parallelo che ha il sapore della ripresa e di una nuova giovinezza del settore che tutti ci aspettiamo
21 aprile 2020

Andavo a scuola in bicicletta. A 14 anni sognavo il Ceccato, un ciclomotore con trasmissione a rullo sulla ruota, ma non potevo permettermelo. A 15, il sogno era il Ducati 65 cc, quattro tempi, tre marce. Poi uscì il Motom, e prese il posto del Ducati, nei sogni. A 18, con le lirette guadagnate suonando con l’orchestrina, comprai finalmente una Lambretta Li 125, nuova. Che divenne bus per l’università a Genova, mezzo di trasporto per chitarra e amplificatore, nonché tandem per la mia ragazza. Ne conoscevo ogni segreto e debolezza, della Lambretta. E, appena laureato, il posto che la Innocenti mi offriva a Lambrate sembrava una predestinazione, un sogno: ingegnere responsabile tecnico delle 12 licenziatarie Lambretta nel mondo.

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Era il 1965 quando, in Cina - quella nazionalista di Taiwan - mi accadde di vendere 10.000 nuove Lambretta 125 alla Yue Long di Taipei. E, un po’ a malincuore, dovetti lasciare le "due ruote", perché venni promosso al settore auto per occuparmi della Mini, il giocattolo sportivo della Innocenti. Tuttavia, la passione per le moto non era spenta, era nel sangue, quasi un virus. Così, quando la Moto Guzzi mi offrì di andare a Mandello del Lario per seguire la produzione e la vendita della V7 alle polizie degli USA e di molti altri Paesi, accettai di corsa. Ma un terribile volo a 145 km/h su un rettilineo della Ventura freeway, in California, mi convinse che anche la moto può tradirti. Che, in ogni caso, viaggiare su due ruote può essere più pericoloso che su quattro. E che il casco ti salva la vita. Così lasciai la Guzzi e divenni giornalista, con l’ambizione di essere utile a chi usa due e quattro ruote.

Oggi, il Corona virus sembra lanciare un favoloso assist alla motorizzazione individuale, per le auto e soprattutto per le moto. Metropolitane, autobus, tram sono ormai considerati - e lo saranno per molto tempo - spazi di possibile contagio, da evitare nel tragitto casa lavoro. Di colpo, il mezzo individuale diventa ideale quale prima misura di isolamento nei trasporti. I fanatismi ecologisti si stemperano di fronte alla gravità della pandemia. I talebani dell’ambiente si interrogano, sconfessati dal crescere del PM 10 in assenza di traffico. I problemi della congestione e dei parcheggi sembrano mai esistiti vedendo alla tv immagini di strade deserte. Lo spreco energetico, la CO2, il riscaldamento, la lotta ideologica ai combustibili fossili, sembrano istanze utopistiche di un tempo che fu. Il crollo di prezzo del barile di petrolio, incredibilmente sceso al di sotto del costo di un caffè, e addirittura diventato negativo (cioè ti pagano se porti via un barile) segnano a livello mondiale un terremoto sociale e filosofico del quale vediamo solo l’inizio.

La mobilità collettiva va totalmente in crisi. Aerei, treni, autobus, navi, per non citare tutti i trasporti urbani, sono fuori gioco. Le misure di contenimento, di disinfestazione, di trattamento sociale verranno credute dopo: dopo aver dimostrato che servono. E di aver superato lo scetticismo di chi è ipocondriaco, senza saperlo.

Rimangono auto, moto. E biciclette. Su tutte vince la moto. Pesa un quinto dell’auto più leggera. Viaggia in prevalenza con una persona, ma può trasportarne due. L’auto ha una media di 1,3 persone, ma al mattino scende verso l’unità. Per recarsi al lavoro, moto e auto fanno lo stesso servizio, occupando - la moto - uno spazio al suolo di un quarto. Nei parcheggi, il risparmio sale ancora di più: sette moto per un’auto. Lo sharing delle vetture non si è diffuso, e il Coronavirus lo stroncherà del tutto.

Energeticamente, la massa della moto non ha rivali quale parametro ideale per ridurre consumi e inquinamento. Anche se le "due ruote" non godono degli alti rendimenti del diesel o di tutti i sistemi antinquinamento dei motori a benzina, il loro comportamento ambientale è quanto di meglio si possa chiedere. Per non parlare della trazione elettrica, che nelle "due ruote" trova il miglior compromesso peso batteria/peso totale.

Si dice che le parole d’ordine per uscire dal tormento siano ora sicurezza, natura, spazio. La moto è il mezzo più vicino alla natura, più aperto agli spazi, più attento al paesaggio. Fatta salva la sicurezza dal contagio, e, affidata alla prudenza personale, quella della guida.

Alla fine degli anni Cinquanta, Vespa e Lambretta, univano l’Italia e dividevano in rivalità i giovani motorizzati. Un palcoscenico di oltre 100 aziende nazionali si spalancava agli appassionati motociclisti disegnando veri capolavori a due ruote. Andiamo a memoria: Itom, Rumi, Motobi, Garelli, Iso, Motom, Laverda, Demm, Ducati, Gilera, Benelli, MV, Malaguti, Morini, Minarelli, Benelli. Ci perdonino i dimenticati. Insomma, l’Italia viaggiava su due ruote, le produceva, le vendeva e le mostrava con orgoglio al mondo.

Che il momento dia luogo alla scintilla che mancava per tornare a riaccendere le origini delle gloriose "due ruote" nazionali?

Di tutto questo ne parleremo questa sera alle 18 nel Talk di Moto.it che potrete seguire in diretta qui o sulla Pagina Facebook di Moto.it.