In viaggio con Camilla: il Passo San Marco

In viaggio con Camilla: il Passo San Marco
Un passo ricco di storia che collega la Val Brembana alla Valtellina
28 luglio 2016

La partenza questa volta è nel tardo pomeriggio. Nasce come giro improvvisato per sfuggire alla calura estiva, ma diventa in breve tempo la scoperta di uno dei valichi di montagna più affascinanti e vicini a Milano. Ci vogliono solo 108 chilometri per raggiungere i 1.992 metri d’altitudine di Passo San Marco. Immerso completamente nella natura, con gli alberi così fitti in certi punti che viene da chiedersi perché sia stato buttato giù quel manto di asfalto tra la val Brembana e la Valtellina, questo colle è il più alto tra quelli che circondano le province di Bergamo e Sondrio.

Sulla sua sommità è possibile vedere le insegne della Repubblica di Venezia, che costruì la strada nel lontano Cinquecento per poter ampliare i suoi commerci con la Svizzera – non a caso il nome del Passo è un tributo al leone simbolo della potenza della Serenissima. Sul versante orobico si trova una delle baite più antiche delle Alpi, per anni casa cantoniera: il rifugio Cà San Marco, edificato nel 1593, forse proprio per consentire ai viandanti e ai mercanti di trovare un luogo di sosta anche ad alta quota.

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Motociclisti e ciclisti – nel 2007 è stato anche una delle tappe del Giro d’Italia – considerano Passo San Marco una meta imperdibile ed entusiasmante per le tante curve e i ripidi tornanti. «L’asfalto non è bello», si lascia sfuggire di bocca un ducatista, eppure nemmeno lo sporco e le fratture del manto stradale impediscono di scattare veloci lungo i 16 chilometri che da Olmo al Brembo portano alla vetta. Sì, perché noi in questa domenica di fine luglio abbiamo scelto il versante bergamasco (16% di pendenza in certi punti) per salire e quello valtellinese per scendere (12% la massima pendenza toccata).

Partendo da Milano, e mappa alla mano, significa percorrere l’autostrada A4 fino a Dalmine, prendere la Strada Statale 470 e godersi tutta la val Brembana, con l’aria fresca regalata dal fiume omonimo, fino a Piazza Brembana dove, invece di proseguire verso Foppolo, si devia lungo la Provinciale 1. Qui inizia il divertimento: la temperatura diminuisce, le montagne si scoprono e le curve si fanno aggressive.

Il silenzio è un ottimo compagno di viaggio anche mentre curviamo verso Morbegno. Tre caprette ci attraversano la strada, mentre pascoli di mucche e paffute marmotte si fanno guardare dal ciglio dell’asfalto. Le moto sono poche, le auto ancora meno, l’orario, le 18 di sera, è perfetto per godersi in pace, in velocità e in solitudine i 26 chilometri che portano a Morbegno. Qui il traffico è intenso, come sulla Strada Statale 36 che porta a Lecco. Nemmeno chi sta seduto dietro riesce a godersi fino in fondo la bellezza del lago che appare e scompare tra le tante gallerie che costituiscono quella che un tempo era l’antica via consolare romana.

La sosta nel capoluogo lecchese per cena è quasi d’obbligo. La passeggiata sul lungolago al calare del sole è rilassante, dopo aver percorso tanti chilometri a un ritmo sostenuto e a filo delle curve. Se siete disposti a provare cucine diverse da quella italiana, consiglio di scegliere il ristorante indiano Punjab, sul lungolago Cadorna al numero 18. I pochi posti a sedere fuori sono l’opzione migliore quando il caldo si fa meno opprimente e sale la brezza delle montagne. I piatti sono deliziosi, piccanti quanto desiderate, dal pollo ai gamberi fino alla zuppa di lenticchie e al tradizionale pane asiatico, il naan. Il conto non è troppo caro e il personale veramente gentile. Solo così si affronta bene il ritorno verso casa, nonostante il traffico estivo lungo la Strada 36 dello Spluga, che ci impedisce di tenere il ritmo desiderato.

La moto di notte richiede ancora più attenzione alla guida, ma per chi, come me, può godersi la luna e le stelle senza pensare troppo alle altre vetture, il fascino del buio è semplicemente incantevole. E fa sognare un altro giro sulle nostre due ruote il prossimo weekend.

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