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E' un'eventualità talmente improvvisa e inaspettata che la maggior parte delle volte l'esito è una caduta e se si è sfortunati danni fisici anche gravi: l'impatto con un animale che sbuca inaspettatamente dietro una curva è un pericolo concreto che soltanto nel 2021 ha causato la morte di 13 persone e il ferimento di 261 (dati Osservatorio Asaps) e la maggior parte delle volte l'impatto è contro un animale selvatico.
Un nostro lettore ci ha scritto un lettera - che sintetizziamo e riportiamo - che descrive la sua esperienza di un incidente in moto contro un daino e la difficoltà a ottenere un risarcimento. Ne approfittiamo per chiedere all'Avvocato Giovanni F. Di Benedetto un parere legale sull'attuale stato della normativa che riguarda gli incidenti dovuto all'attraversamento della strada da parte di animali selvativi e sul problema di come ottenere un risarcimento dei danni fisici e materiali.
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In ogni modo appena potrò, salirò nuovamente in sella alla mia moto, magari indossando anche un giubbetto air-bag.
L'attraversamento della carreggiata da parte di animali selvatici è causa ricorrente di incidenti stradali, spesso con conseguenze molto serie, specie quando vengono coinvolti motociclisti. Fatta la conta dei danni materiali, esperite le cure mediche del caso, si pone il problema di come ottenere adeguato ristoro.
La materia, dopo una lunga evoluzione giurisprudenziale, pare oggi assestata intorno ai principi cristallizzati dalla Corte nomofilattica in un'ordinanza del 2020 (Cass. Civ. Sez. III, ordinanza n. 13848 del 06/07/2020) che ha ridefinito lo stato dell'arte. In passato, la giurisprudenza si era pressochè unanimemente orientata nel senso che il danno provocato da fauna selvatica fosse risarcibile alla stregua dei principi generali fissati dall'art. 2043 c.c. in tema di danno ingiusto: ciò escludendosi di converso l'applicabilità dell'art. 2052 c.c., in conseguenza dell'ancestrale concezione della fauna selvatica quale cosa che per sua stessa natura non ha un proprietario. Questa impostazione comportava alcune rilevanti criticità di ordine pratico, in particolare sul piano processuale.
Ed infatti, per un verso, il danneggiato veniva gravato da un onere della prova particolarmente severo, ossia dal peso di individuare e dimostrare sia un concreto comportamento colposo (giacché non conforme alla più efficace condotta concretamente esigibile) ascrivibile all'ente pubblico, sia la sussistenza di nesso causale tra l'inadeguato comportamento ed il sinistro.
Per altro verso, anche l'individuazione del soggetto legittimato passivo - ossia dell'ente pubblico da convenire concretamente in giudizio - non era per niente scontata, considerata la normalità della delega di funzioni di gestione della fauna da parte delle regioni ad enti territoriali o speciali (enti parco etc.), con conseguente eccessiva (spesso ingiustificata) proliferazione di chiamate di terzo o comunque di parti in causa.
Nel 2020, dunque, la Suprema Corte ha ripensato interamente la materia, collocandola nell'ambito di operatività dell'art. 2052 c.c., a mente del quale “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”. Tale inquadramento comporta sul piano applicativo diverse ricadute positive in termini di certezza del diritto.
Infatti, quanto all'individuazione del “proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso” non sussistono dubbi di sorta: con la L. 27 dicembre 1977, n. 968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia), la fauna selvatica è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato e le relative funzioni amministrative sono state assegnate alle regioni (tale assetto è stato confermato dalla Legge 157/1992) . Pertanto il soggetto passivo dell'obbligazione risarcitoria è senz'altro la regione (che potrà eventualmente far valere in via di rivalsa eventuali condotte di altri enti suoi delegati ove censurabili ai sensi dell'art. 2043 c.c.).
Quanto all'onere della prova, in punto di responsabilità, sarà onere del danneggiato fornire prova che il danno sia stato effettivamente provocato dall'animale selvatico: occorrerà dunque che sia provata, per un verso, la dinamica del sinistro, con particolare riguardo al nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito; per altro verso, che l'animale fosse effettivamente un selvatico, rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato, e non per esempio un animale da reddito sfuggito ad un'azienda agro-pastorale.
Sotto altro profilo, in punto di an debeatur, il danneggiato dovrà pur sempre provare - ai sensi dell'art. 2054 c.c., comma 1, comunque operante in materia di circolazione stradale - di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, cioè di avere adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida. A causa delle prevedibili difficoltà che tale complesso onere comporta, è sempre consigliabile, in caso di incidente, chiamare immediatamente l'Autorità, perché vengano esperiti, sui luoghi, i rilievi del caso.
Per quanto l'onere della prova gravante sul danneggiato possa apparire severo, si osservi che non è necessario fornire prova di una colpa concreta dell'ente regionale, il quale risulta portatore di una responsabilità oggettiva, superabile soltanto con la prova del caso fortuito. Ciò vuol dire che la regione andrà esente da responsabilità -e quindi non dovrà risarcire il danno- allorché proverà che la condotta dell'animale, pur causa efficiente del sinistro, si sia dispiegata del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, ovvero che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che, comunque, non era evitabile nemmeno con l'adozione delle più diligenti misure di gestione e controllo che nella fattispecie si potessero esigere. Va segnalato che nonostante il recente inquadramento sistematico induca forti dubbi sulla correttezza di tale prassi, in genere, la mera predisposizione di cartellonistica di avviso della presenza di fauna selvatica, ove visibile, viene ritenuta sufficiente a ricondurre gli incidenti con fauna selvatica al caso fortuito esimente, con conseguente esclusione del risarcimento per il danneggiato.
Nell'ipotesi che l'incidente avvenga in autostrada, alla responsabilità della regione secondo il regime sopra delineato, si aggiunge in via concorrente quella dell'ente gestore dell'autostrada, riconducibile alla responsabilità del custode di cui all'art. 2051 c.c., anch'essa superabile dall'ente con l'eccezione di caso fortuito. In proposito, con l'interessante sentenza n. 11785/2017, la Suprema Corte ha stabilito che l'eventuale integrità della recinzione nei pressi del luogo dell'incidente non può considerarsi prova del caso fortuito a fronte della documentata presenza dell'animale sulla sede autostradale.
Da ultimo, si rammenta che ai sensi dell'art. 189 comma 9 bis del cds, il conducente comunque coinvolto in un incidente da cui derivi danno a uno o piu' animali d'affezione, da reddito o protetti, ha l'obbligo di fermarsi e di porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso agli animali che abbiano subito il danno.
Avvocato Giovanni F. Di Benedetto
Ci dispiace molto per il nostro lettore, che ha tutta la nostra comprensione e che speriamo si stia riprendendo in fretta dalla terribile botta; ci associamo alla sua valutazione: se un animale invade la carreggiata, tutta la prudenza del mondo può non essere sufficiente a evitare un drammatico impatto. Una volta di più sollecitiamo tutti all'utilizzo dell'abbigliamento tecnico protettivo e dell'airbag!
Foto di Dmitry Zvolskiy e di Sven Huls da Pexels