Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Prima della standardizzazione degli schemi che da alcuni decenni dominano la scena, i progettisti hanno escogitato sistemi di azionamento delle valvole differenti da quelli canonici. I motivi erano spesso legati alla facilità di fabbricazione, alla razionalità costruttiva o al contenimento dei costi di produzione, ma non sono mancate soluzione adottate per agevolare la manutenzione e gli interventi meccanici. E in qualche caso anche l’esigenza di limitare gli ingombri ha avuto il suo peso.
Per una quindicina di anni l’inglese BSA ha prodotto un modello utilitario di 250 cm3 improntato alla massima semplicità e affidabilità. Si trattava del C11, un monocilindrico costruito dal 1939 al 1955, con cambio separato, trasmissione primaria a catena e lubrificazione a carter secco. Le misure di alesaggio e corsa erano 63 x 80 mm e la potenza di 11 cavalli a 5.400 giri/min. In questo motore spiccava la distribuzione con unico albero a camme nel basamento che azionava due leve a squadra oscillanti su di un unico fulcro, che a loro volta muovevano le aste “incrociate”, ognuna delle quali comandava la relativa valvola agendo su di un bilanciere a due bracci posto nella testa. Questo sistema semplice ed economico, abbinato a una disposizione inusuale delle aste era stato già proposto svariati anni prima dalla Blackburne e dalla Francis-Barnett.
Al salone di Milano del 1955 la Devil ha presentato una bella 175 che impiegava essa pure un comando della distribuzione ad aste incrociate. In questo caso però gli alberi a camme erano due e l’obiettivo era quello di ottenere prestazioni elevate riducendo le masse in moto alterno (in particolare, quelle dei bilancieri). La moto, progettata da William Soncini, è rimasta allo stadio di prototipo.
Verso la fine degli anni Trenta la Zundapp ha messo in produzione la DS 350, una bella e robusta monocilindrica con cambio in blocco e trasmissione primaria a catena. Il motore aveva un alesaggio di 72 mm e una corsa di 85 mm ed erogava 17,5 CV a 5200 giri/min. Realizzata in alcune migliaia di esemplari prima che la produzione civile venisse interrotta per motivi bellici, questa moto era caratterizzata da una distribuzione con due alberi a camme nel basamento (disposti uno anteriormente e l’altro posteriormente al cilindro), aste e bilancieri collocati in posizione “rovesciata” rispetto a quella usuale. I loro fulcri infatti non si trovavano nella parte centrale della testa, ma in posizione esterna. Quello di scarico era più avanti, rispetto alla valvola che azionava, e quello di aspirazione più indietro. I foderi tubolari all’interno dei quali si trovavano le aste erano nettamente staccati dal cilindro e leggermente divergenti, salendo dal basamento alla testa. Questa soluzione aveva una notevole diffusione nel campo dei motori aeronautici ma era inedita per quelli motociclistici. Dopo il secondo conflitto mondiale uno schema analogo è stato impiegato dalla americana Indian sugli sfortunati modelli a due cilindri paralleli costruiti in versioni di 440 e 500 cm3 fino al 1952-53.
Le distribuzioni con una sola camma per azionare due valvole non erano certo sconosciute nell’anteguerra. In seguito sembravano cadute nel dimenticatoio ma in realtà hanno continuato a trovare applicazioni. Assai poche, per la verità, ma straordinariamente significative sotto l’aspetto tecnico o sotto quello della diffusione.
Per muovere le aste della distribuzione il Motom Delfino, realizzato all’insegna della semplicità costruttiva (non c’era neanche la pompa dell’olio!), utilizzava un eccentrico che agiva su due levette a squadra munite di rullo e oscillanti su uno stesso perno
Per muovere le aste della distribuzione il Motom Delfino, realizzato all’insegna della semplicità costruttiva (non c’era neanche la pompa dell’olio!), utilizzava un eccentrico che agiva su due levette a squadra munite di rullo e oscillanti su uno stesso perno. Questo modello poteva essere considerato intermedio tra la moto e lo scooter, e aveva pneumatici di grossa sezione. Il motore, dotato di raffreddamento ad aria forzata e di lubrificazione a sbattimento, aveva una cilindrata di 160 cm3 ed erogava 7,6 CV a 5400 giri/min. Il Delfino è entrato in produzione all’inizio del 1952 ed è stato costruito fino al 1957. Quando si è trattato di progettare il 98 T/TS con distribuzione monoalbero, si è pensato subito a uno schema monocamma…
Molto più significativo è stato l’impiego di una soluzione analoga da parte della Parilla sulla sua famosa 175 con albero a camme collocato lateralmente, alla altezza della testa. In questo caso l’unico eccentrico aveva una notevole larghezza e muoveva le valvole, inclinate a 90° tra loro, agendo su punterie a piattello e aste (talmente corte che in effetti erano dei puntalini); queste ultime a loro volta azionavano bilancieri a due bracci dalla semplice geometria e dal peso estremamente ridotto.
Pure la Ariel ha impiegato il sistema a camma unica, nella distribuzione ad aste e bilancieri del suo Red Hunter di 500 cm3, a partire dal 1950 (la produzione è terminata nel 1959). Questa moto è rimasta celebre per i successi ottenuti, con la speciale versione da trial, dal grande Sammy Miller. Passando ai “cinquantini”, vanno segnalate con questa soluzione le prime versioni del Cucciolo Ducati e le ultime del Pegaso.
L’impiego forse più clamoroso di una distribuzione a camma unica si è avuto però da parte della Honda. Attorno alla metà degli anni Settanta la sua 125 monocilindrica monoalbero andava più che bene, ma a un certo punto per certi paesi in via di sviluppo (dove evidentemente i lubrificanti erano scadenti e i meccanici di livello molto modesto) i vertici della azienda hanno ritenuto opportuno realizzare un modello più semplice e che ancora meno esigente in fatto di manutenzione. Nel 1975 ha fatto così la sua comparsa la CG 125, destinata principalmente ai mercati africani, sudamericani e del sud est asiatico. Il motore aveva la distribuzione ad aste e bilancieri, con albero a camme dotato di un solo eccentrico che agiva su bilancieri a dito oscillanti su uno stesso fulcro. L’alesaggio di 56,5 mm era abbinato a una corsa di 49,5 mm e la potenza veniva indicata in 11 cavalli a 9000 giri/min. Questa moto è stata costruita per oltre trent’anni in un numero impressionante di esemplari, molti dei quali prodotti nello stabilimento brasiliano della casa. Nel vecchio continente è stata venduta principalmente in Francia e in Inghilterra.
Prima della comparsa della famosa CB 450 bialbero, avvenuta nel 1965, i modelli di punta della Honda sono stati degli ottimi bicilindrici paralleli di minore cilindrata. In particolare, si trattava dei 250 monoalbero C 72 e CB 72 (con potenze di 20 e 24 cavalli rispettivamente) e dei C 77 e CB 77 di 305 cm3. I loro motori avevano l’albero a camme diviso in due parti, che si univano in corrispondenza della ruota dentata della catena di distribuzione, collocata centralmente. Questa soluzione è poi stata ripresa anche dalla Laverda per la sua 750, costruita in più versioni dal 1968 al 1976, per la cui progettazione ci si era ispirati fortemente proprio alle Honda bicilindriche. Il motore monoalbero della casa veneta aveva un alesaggio di 80 mm e una corsa di 74 mm. Il modello denominato SFC, destinato principalmente a impiego agonistico (ma targabile e quindi utilizzabile anche su strada), era in grado di erogare 70 cavalli a 7500 giri/min. Celebre è rimasta l’affermazione di questa formidabile 750 nella 24 ore di Barcellona del 1971, sul tortuoso circuito del Montjuich.
A un albero a camme in due parti, da unire in fase di assemblaggio del motore, ha pensato svariati anni dopo l’ingegner Giovanni Mariani per il monocilindrico da fuoristrada VOR 250. La testa monoalbero era incredibilmente.