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Nel dopoguerra le aziende artigiane che proponevano trasformazioni di vario genere non mancavano. Le più diffuse erano quelle che prevedevano l’applicazione di una sospensione posteriore a moto che in origine non l’avevano. Nella maggior parte dei casi queste ultime erano residuati bellici, abbastanza popolari negli anni immediatamente successivi al termine del conflitto. Si trattava per lo più di kit destinati alle BSA M20 a valvole laterali e alle Matchless G3L. La prima di queste due moto, prodotta in oltre 100.000 esemplari durante la guerra, aveva un motore di 500 cm3 a corsa lunga (le misure caratteristiche erano 82 x 94 mm) che erogava 13 cavalli a 4200 giri al minuto. La seconda era azionata da un monocilindrico ad aste e bilancieri che, con una cilindrata di 350 cm3 (69x93 mm), produceva 16 CV a 5600 giri/min. Specializzata in queste trasformazioni era la ditta Isolato & Accomasso di Torino.
Qualche tempo dopo si è pensato a un kit che consentisse di trasformare il comando del cambio a manopola (impiegato largamente sui ciclomotori e su alcune motoleggere) in un comando a pedale. Famoso è così diventato il preselettore Velox, che ha avuto a lungo una larga diffusone.
Qualcuno ha pensato valesse la pena di trasformare certi due tempi in modo da farli consumare meno e da allontanare i tipici problemi (fumosità e imbrattamento candele). Farli cioè diventare a quattro tempi
Per quanto riguarda il motore, all’epoca non c’era molto, forse perché effettivamente non ce ne era bisogno. Pure in questo settore spiccava la ditta Velox del tecnico Parena, che nei primi anni Cinquanta produceva apprezzati gruppi testa-cilindro in lega di alluminio per moto ex-militari, in aggiunta a nuove teste con valvole e bilancieri in bagno d’olio per sostituire quelle nelle quali questi organi lavoravano allo scoperto.
Qualcuno ha anche pensato che valesse la pena di trasformare certi due tempi in modo da farli consumare meno e da allontanare i tipici problemi che all’epoca affliggevano questo tipo di motori, come elevata fumosità e frequente imbrattamento delle candele. Cioè, di farli diventare a quattro tempi. Del resto, per quanto riguarda i ciclomotori, Motom e Ducati Cucciolo dimostravano che questa strada era percorribile con successo…
C’è stato così chi ha studiato ingegnosi gruppi di trasformazione per far diventare a quattro tempi motori che in origine erano a due. La cosa non era semplicissima perché occorreva realizzare ex-novo componenti complessi come una testa, i vari organi della distribuzione (valvole, molle, bilancieri e uno o due alberi a camme) e un gruppo cilindro-pistone, più un circuito di lubrificazione.
Una trasformazione di questo tipo è stata messa in vendita al pubblico sotto forma di kit. Era coperta da regolare brevetto ed era destinata al popolare Guzzino 65, come mostrano due delle foto allegate a questo servizio.
Prevedeva una nuova testa che alloggiava due valvole inclinate e i bilancieri che le azionavano, un astuccio che ospitava le due aste e una scatola in lega di alluminio che si fissava sul lato destro del motore e che conteneva le punterie e l’albero a camme, il quale prendeva il moto dall’ingranaggio della trasmissione primaria. Il coperchio laterale destro del basamento era costituito da una nuova fusione, nella quale spiccava la scritta “brevetto Azzola”. La lubrificazione era a carter secco con doppia pompa fissata esternamente alla scatola dell’albero a camme e serbatoio montato sotto quello del carburante. Il cilindro in ghisa era diverso da quello originale, anche se aveva un aspetto molto simile.
È interessante osservare che di recente (ossia a oltre sessanta anni di distanza!) c’è stato chi ha trasformato il Cardellino 73, diretto discendente del Guzzino, dotandolo addirittura di una distribuzione bialbero! Si tratta del sig. Ghelfi di Cotignola, in provincia di Ravenna, che ha realizzato una bellissima testa in lega di alluminio, con un condotto di aspirazione rettilineo degno di un moderno motore di altissime prestazioni. La distribuzione viene comandata da una cascata di ingranaggi alloggiata in una cartella piazzata sul lato destro. Pure il cilindro, dotato di una razionale alettatura radiale, è in lega di alluminio. L’impatto estetico è eccellente e anche di questo non c’è da meravigliarsi dato che il sig. Ghelfi è un valido tecnico che ha lavorato per molti anni alla fonderia Morini, ben nota tra gli appassionati romagnoli ed emiliani. Chi fosse interessato all’acquisto del kit o di un motore già completo di tale trasformazione può contattarlo al 335-5227244.
Al salone di Milano del 1954 nello stand della Rumi faceva bella mostra di sé una grintosa 125 a quattro tempi con distribuzione bialbero realizzata dal tecnico Felice Rolla di La Spezia. Si trattava di una trasformazione del noto bicilindrico a due tempi della casa bergamasca. Come ovvio, spiccavano le nuove teste e la cartella contenente la cascata di ingranaggi di comando della distribuzione, piazzata sul lato sinistro. I cilindri erano in lega di alluminio e la lubrificazione a carter secco. La ciclistica era quella del modello sportivo di punta della gamma Rumi, il famoso Gobbetto. Benché la moto fosse stata studiata e realizzata all’esterno dell’azienda, era di sicuro pregio e di notevole interesse, al punto che venne deciso di ospitarla nello stand tra i modelli di serie e quelli da competizione della casa.
Per completare questa brevissima sintesi, ecco un accenno a un singolare prototipo realizzato attorno all’inizio degli anni Sessanta da un noto tecnico bolognese. Il quale, così per divertimento (non si riesce a pensare a nessun altro motivo), ha voluto realizzare e provare un motore “ibrido”, montando una testa con distribuzione monoalbero sul cilindro di un ciclomotore a due tempi, che per tutto il resto è rimasto così come era. Il motore veniva così alimentato da due carburatori, uno dei quali era fissato alla testa, mentre l’altro forniva miscela aria-carburante alla camera di manovella tramite il cilindro. La parte superiore di questo monocilindrico era insomma quella di un quattro tempi, mentre la parte inferiore era quella di un due tempi! L’albero a camme era azionato da una cascata di ingranaggi, che comandava anche una piccola pompa esterna che provvedeva a lubrificare gli organi della distribuzione.
Effettivamente, per chi dopo cena non vuole guardare la televisione o leggere un libro, cosa c’è di meglio che lavorare alla realizzazione di un prototipo, anche se poi magari non serve a nulla?