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Il nome Bultaco è di quelli che fanno battere forte il cuore agli appassionati non più giovanissimi. Nata nel 1958 ad opera di Don Paco Bultó, ex fondatore di Montesa, basò la sua fama sulle moto da cross, enduro e trial (il nome Sherpa vi dice qualcosa?) ma non si fece mancare nemmeno quattro titoli iridati nella velocità, classe 50, ad opera di Ricardo Tormo ed Angel Nieto.
Sul finire degli anni 70 la Casa cadde in disgrazia e venne chiusa definitivamente nel 1983, ma reputazione del marchio ed affetto degli appassionati non sono mai venuti meno. Dopo una parentesi di uso del nome ad opera della francese Sherco, il marchio è stato recentemente resuscitato per un’operazione molto interessante.
La protagonista della rinascita di Bultaco è LGN Tech Design, studio di progettazione che nel 2010 ha stretto un’importante collaborazione con l’Università Carlos III di Madrid. Nato per sviluppare brevetti nel settore del design elettronico e meccanico, l’atelier spagnolo nel giro di soli due anni è arrivato a creare una moto (allestita fisicamente in tre mesi) che ha schierato al via del Mondiale riservato alle moto elettriche nel 2011, festeggiato con un quarto posto finale e il podio alla gara di Magny-Cours.
Giunti al momento di entrare in produzione, LGN ha pensato bene di fregiarsi di un marchio di alto livello per valorizzare la propria attività. Ed è stato quasi naturale andare a cercarlo in Bultaco: la famiglia Bultò si è riconosciuta subito nei valori di passione, innovazione e competizione che del resto sono stati i tre pilastri su cui Don Paco ha costruito la sua azienda, e ha accettato con entusiasmo di unirsi al progetto.
Per conoscere un po’ meglio cosa bolle in pentola abbiamo avuto modo di intervistare José Antonio Garvía, Direttore Generale della risorta Bultaco, che ci ha dato diverse indicazioni su quello che ci riserva il futuro della Casa spagnola. Rivelando, tra l’altro, un approccio valido e innovativo alla materia dell’alimentazione elettrica sul prodotto moto.
Iniziamo dalla nascita: cosa avete cercato nell’unione con Bultaco?
«Abbiamo voluto un nome forte, un marchio che potesse valorizzare i nostri studi e i nostri prodotti. Dietro, è vero, c’è LGN Tech Design, ma non si tratta di una semplice operazione di redressing: crediamo davvero nella sintonia dei principi fra le due iniziative, prova ne sia che la famiglia è stata subito entusiasta nell’aderire alla nostra operazione. Che, ci tengo a sottolinearlo, si distingue dalle altre anche per la sua genesi: in un panorama in cui tutti delocalizzano, noi stiamo lavorando per pensare, sviluppare e produrre tutto in Europa».
Al momento attuale Bultaco ha presentato la Brinco definendola "MotoBike". Ma c’è altro che bolle in pentola.
«Esatto. Brinco vuole essere un punto di convergenza fra la moto e la Mountain Bike, ma pur mutuando tratti somatici di entrambe, per dimensioni e solidità della ciclistica è evidentemente più vicina alla moto che non alla MTB. Lo vedrete soprattutto con la sua evoluzione, che presenteremo nel contesto di quello che al nostro interno chiamiamo Progetto Alpina, che contiamo di svelare nel 2016: una moto vera, con un peso contenuto in 90kg ed un’autonomia reale attorno ai 100km, che possa rappresentare un’alternativa reale alle moto endotermiche per la pratica del fuoristrada».
Il progetto più vicino al disvelo è però la stradale Rapitàn Sport, una sportiva che promette prestazioni davvero interessanti, anche in questo caso con un approccio leggermente diverso da quello delle concorrenti.
«Rapitàn è una supersportiva vera, con prestazioni all’altezza della migliore concorrenza – parliamo di un’accelerazione 0-100 attorno ai tre secondi – destinata ad un pubblico di appassionati veri. La concorrenza? Non vogliamo pensare soltanto alle moto elettriche, i nostri riferimenti sono le supersportive convenzionali al top della tecnologia».
«Questa filosofia – ovvero prendere a riferimento le moto convenzionali, non la sola concorrenza elettrica – la estendiamo a tutti gli aspetti. Parliamo ad esempio del prezzo: che senso ha proporre moto alternative alle sportive tradizionali a cifre non competitive rispetto a quei modelli? Non basta fare leva sui costi d’esercizio: per questo collocheremo Rapitàn in una fascia di prezzo attorno ai 14.000 euro, ovvero circa quanto serve per una supersportiva tradizionale».
Non si tratta di spiccioli, certo, ma sicuramente siamo lontani dalle cifre richieste dalla concorrenza.
«Ho una certa esperienza nel settore automotive, e ho visto diversi progetti a propulsione non convenzionale – se il mercato per auto e moto non è ancora fiorito è anche perché le proposte attuali hanno prezzi non adeguati. Secondo noi lo spazio per moto come Rapitàn c’è, ma solo per chi saprà fare proposte ragionevoli, non per chi si colloca a prezzi al di fuori di ogni logica. Va bene avere soluzioni tecnologiche, innovative e prestazionali, ma anche il prezzo dev’essere quello giusto».
Questo accento sulle prestazioni fa venire in mente che ci sia voglia di rimettersi a correre. Magari al TT Zero?
«Sicuramente le gare sono nel nostro DNA e nella tradizione di Bultaco, ma al momento è prematuro. Abbiamo il prodotto, ma siamo in una fase d’investimento iniziale: non abbiamo il budget per mettere in piedi operazioni che possano darci i risultati che vogliamo. Mi spiego meglio: se Bultaco si schierasse al TT Zero lo farebbe per vincere, obiettivo che ovviamente richiede investimenti di un certo tipo. Al momento evidentemente non ce li possiamo permettere, ma non vi nascondo che per il prossimo futuro la voglia ce l’abbiamo!».
Finora abbiamo parlato di tre progetti, ma non è tutto qui. Guardando un po’ più in là in Bultaco si parla anche di ibrido.
«E’ un progetto più a lungo termine, ma che rientra a pieno titolo nelle nostre strategie – soprattutto perché lo vediamo ben integrato nella seconda delle tre colonne che reggevano la filosofia di Bultò: l’innovazione. Anche in questo caso infatti abbiamo affrontato il tema in maniera meno convenzionale, dove solitamente si affianca un motore elettrico relativamente poco potente all’unità endotermica principale, a cui sono demandate le prestazioni».
«Abbiamo preferito fare il contrario: abbiamo allo studio un propulsore elettrico capace di erogare circa 100 cavalli, coadiuvato da un’unità endotermica che viene in aiuto quando ce n’è bisogno. Un approccio sicuramente diverso dal solito, che sarà forse la nostra più grande sfida. Il pubblico deciderà – fra due anni, se tutto va secondo i piani – se avremo avuto ragione o torto».
«L’inizio della nostra avventura si incentra comunque al 100% sulla propulsione elettrica, crediamo però che l’ibrido su un periodo più lungo si rivelerà vincente, anche perché vantiamo collaborazioni con nomi di primissimo piano – Gerald Pöllmann, il nostro presidente e cofondatore, proviene da Magna-Steyr, multinazionale con grande esperienza nel campo automotive, e naturalmente ha contatti molto importanti. Ma ripeto, l’orizzonte di presentazione per questa soluzione è di circa due anni».
Un’altra sfida molto importante sarà costruire da zero una rete vendita. E anche qui l’approccio segue logiche ragionate e sostenibili, per non dire anticonvenzionali.
«In questo momento forse la rete vendita per noi è la scommessa più grande, perché capiamo benissimo come sia insostenibile volersi proporre con concessionarie tradizionali – abbiamo una gamma molto ridotta, con cui è impensabile raggiungere la redditività in tempi contenuti con il solo prodotto moto. Dal momento che invece riteniamo che i nostri rivenditori debbano essere messi in condizione di investire con un ritorno imprenditoriale se non immediato almeno prossimo, abbiamo scelto una strada alternativa».
«Sicuramente i nostri rivenditori avranno un’attività esclusiva per Bultaco, ma non basandosi sul solo prodotto moto bensì affiancando tutta una linea di prodotti lifestyle, dalla gadgettistica all’abbigliamento con un equilibrio ragionato, potendo contare sulla forza evocativa del marchio. E poi avranno un rapporto diretto con la Casa madre, senza importatori».
«Può sembrare una scelta strana, ma in un mondo sempre più globalizzato a nostro modo di vedere ha sempre meno senso parlare di paesi e quindi di importatori, che a fronte del lavoro che fanno – probabilmente indispensabile su grandi volumi, che naturalmente non sono il nostro obiettivo immediato – portano ad una crescita dei prezzi. Con una filiera più corta e snella, che prevede un rapporto diretto fra dealer e casa madre, avremo invece la possibilità di praticare prezzi più bassi e facilitare il rivenditore in quella che riteniamo un’attività fondamentale: far provare il prodotto all’utente finale».
«Al momento abbiamo già contatti con rivenditori in Italia, Austria, sud della Francia, Regno Unito, Germania, Canada, Stati Uniti e Colombia – un mercato enorme e finora abbastanza misconosciuto dai produttori. Il mercato è globale, se pensiamo al futuro che senso ha non ragionare in termini globali?».