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Nel corso degli anni Settanta la Regolarità (oggi Enduro) ha vissuto un vero e proprio boom, raggiungendo una grande popolarità in particolare tra i giovani.
Accanto alle case storiche come Zundapp e Puch si sono affermate nuove agguerrite realtà, come Ancillotti, Gori e SWM che sono cresciute impiegando il famoso motore Sachs sei marce.
Nello stesso periodo è emersa in maniera sempre più vigorosa l’austriaca KTM, che ben presto è diventata la più importante casa del settore. Usciti di scena gli ultimi quattro tempi, tutte queste monocilindriche impiegavano motori a due tempi, con ammissione controllata dal pistone. I più diffusi erano i modelli di 125 cm3, che si potevano guidare già a 16 anni.
A un certo punto la Sachs ha realizzato un nuovo motore a sette marce che si è però rivelato di gran lunga inferiore alle aspettative. Insomma, si è trattato di un autentico flop, che ha decretato la rapida uscita dal mercato della azienda tedesca.
A sostituirla come fornitrice di motori sciolti ha provveduto l’austriaca Rotax, i cui eccellenti monocilindrici (inizialmente con ammissione controllata da disco rotante!) sono stati impiegati dalla SWM a partire dal 1978. Nello stesso periodo anche i motori italiani Hiro hanno avuto una apprezzabile diffusione, fornendo sempre ottimi risultati.
All’inizio del decennio le potenze dei 125 da regolarità a due tempi erano dell’ordine di 18 – 19 cavalli; alla fine sono arrivate a superare abbondantemente i 25 cavalli.
Parallelamente alle monocilindriche da fuoristrada negli anni Settanta sono state realizzate ottime 125 stradali bicilindriche, sempre con ammissione controllata dal pistone e con raffreddamento ad aria. Costruite da case come Benelli, Italjet e Malanca, queste moto hanno avuto una grande popolarità tra i giovani che non erano appassionati di off-road, ma apprezzavano apprezzavano maggiormente una notevole versatilità d’uso abbinata a buone prestazioni. Le potenze, almeno inizialmente, erano di 16 – 18 cavalli.
Molto interessante (e coraggiosa) è stata la strada intrapresa dalla Aspes che ha realizzato un proprio motore monocilindrico, costruito a Pavia da Consiglio, che è stato prodotto in versioni sia da fuoristrada (Hopi) che da strada (Yuma). In tale 125 spiccava l’adozione di un basamento in due parti che si univano secondo un piano orizzontale (e non verticale, come di norma accade per i monocilindrici).
C’era poi la Fantic, una azienda che ha raggiunto dimensioni importanti e alla quale si dovrebbe dedicare almeno un ampio articolo. In questa sede basta dire che sul suo Caballero in quel periodo si è formata una intera generazione di motociclisti.
C’era poi la Fantic, una azienda che ha raggiunto dimensioni importanti. Con il suo Caballero si è formata una intera generazione di motociclisti
Alla metà degli anni Settanta era chiaro che per i due tempi stradali tanto di grossa quanto di media cilindrata i giorni erano contati.
Resisteva solo la bicilindrica Yamaha RD 350, poi diventata 400, che però da noi arrivava con il contagocce.
Si trattava di una moto raffreddata ad aria di semplice disegno ma al tempo stesso di notevole interesse tecnico. Aveva infatti l’ammissione controllata da lamelle e disponeva di cinque condotti di travaso (uno dei quali direttamente collegato con il vano a valle del pacco lamellare).
Questo modello, apparso nel 1973, è stato seguito nel 1979 dalla RD 350 LC raffreddata ad acqua, che disponeva di 47 cavalli, dalla quale è derivata la RD 350 LC YPVS con valvola parzializzatrice allo scarico e nuova ciclistica, presentata nel 1983. La potenza è cresciuta a 59 CV a 9000 giri/min (e in seguito è stata aumentata a 63).
Questa moto dalle eccellenti prestazioni e dal costo contenuto ha fatto epoca e per lungo tempo è stata assai popolare tra gli appassionati più sportivi.
I Gran Premi si correvano esclusivamente con moto a due tempi (solo la Honda NS 500 a pistoni ovali era a quattro tempi, ma non ha ottenuto risultati degni di nota ed è stata impiegata ben poco) e i campionati erano molto seguiti.
Per questa ragione attorno alla metà degli anni Ottanta i tre costruttori giapponesi impegnati nel mondiale hanno deciso di realizzare tre splendide race replica di elevatissime prestazioni, tutte ovviamente raffreddate ad acqua e dal disegno che se non era proprio uguale, richiamava comunque fortemente quello delle loro moto da competizione.
La Yamaha RD 500 LC apparsa nel 1984 aveva 4 cilindri a V di 50° ed erogava 87 CV a 10250 giri/min. L’ammissione era regolata da quattro pacchi lamellari alloggiati in condotti ricavati due nei cilindri e due nel basamento (questi ultimi dunque si affacciavano direttamente nelle camere di manovella).
Un successo ben maggiore ha avuto la Suzuki RG 500 Gamma, dalle prestazioni superiori e soprattutto dal temperamento davvero simile a quello delle moto da corsa.
Il motore era realizzato con uno schema costruttivo eguale a quello delle straordinarie 500 da Gran Premio di qualche anno prima. Insomma, si trattava di un autentico purosangue da pista, come dimostrato anche dai successi sportivi.
A Misano girava più forte della 750 e delle 1000 a quattro tempi e su molti altri circuiti probabilmente accadeva lo stesso! Il motore aveva quattro cilindri in quadrato, con due alberi a gomiti in presa con un albero ausiliario che provvedeva a inviare il moto alla frizione.
I cilindri, con canna in ghisa incorporata di fusione, erano singoli e ognuno di essi era dotato di un risonatore, collegato al condotto di scarico da una apposita valvola del tipo a manicotto. L’aspirazione era a disco rotante e il motore aveva due carburatori da un lato e due dall’altro. La potenza era di 95 cavalli a 10.000 giri/min. Questa moto è entrata in produzione nel 1985, anno nel quale anche la Honda ha presentato la sua race replica, ovvero la NS 400 R con tre cilindri a V di 90°, chiaramente ispirata alla NS 500 che ha vinto il mondiale nel 1983. La potenza era di 72 CV a 9000 giri/min.
I cilindri avevano la canna integrale con riporto superficiale al nichel-carburo di silicio e pure in questo caso si impiegavano risonatori allo scarico (ma solo sui due cilindri esterni).