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Per lungo tempo, prima che le norme antinquinamento e i regolamenti sportivi li mettessero fuorigioco, i motori a due tempi si sono divisi il mercato motociclistico con i loro cugini a quattro.
Addirittura in campo agonistico hanno dominato a lungo la scena in tutte le classi, tanto nella velocità che nel fuoristrada, e continuerebbero a farlo se a un certo punto non fossero cambiati i regolamenti della FIM.
Nella storia della moto accanto ai più celebrati modelli a quattro tempi ve ne sono stati tantissimi altri, quasi sempre meno costosi e di cilindrata minore, ma spesso ben più popolari, che avevano un motore a due tempi.
Ciò per decenni e decenni, durante i quali essi sono stati considerati veri e propri parenti poveri dei 4T.
Questo tranne alcune eccezioni, che nell’anteguerra sono state principalmente dovute alla Scott, alla DKW (che aveva modelli anche di 500 cm3 e con raffreddamento ad acqua) e alla Puch.
Per quanto riguarda le corse però la situazione era diversa e la DKW con le sue formidabili moto sovralimentate a cilindro sdoppiato è arrivata ad essere pressoché imbattibile nelle classi 250 e 350 verso la fine degli anni Trenta.
Nel dopoguerra molti costruttori vecchi e nuovi si sono orientati con decisione verso il 2T per i modelli di minore cilindrata, destinati a maggiore diffusione.
La maggiore semplicità e il costo contenuto erano punti di forza straordinari (le prestazioni però in genere erano leggermente inferiori rispetto a quelle dei 4T).
La DKW RT 125, progettata nel 1938 dal grande Hermann Weber, ha mostrato la strada a tutti. Il lavaggio era il classico Schnurle a correnti tangenziali e con pistone senza deflettore, del quale la casa tedesca deteneva il brevetto. Le misure di alesaggio e corsa erano 52 x 58 mm e i condotti di travaso erano due.
Semplice, robustissima e in grado di fornire ottime prestazioni, questa moto era un autentico concentrato di razionalità. E infatti, terminata la guerra è stata copiata da tutti. Anche da noi molti costruttori si sono “fortemente ispirati” ad essa.
La Yamaha non ha mai nascosto il fatto che, una volta deciso di entrare nel mercato motociclistico, ha semplicemente realizzato una replica della monocilindrica tedesca.
Per quanto riguarda le corse (la sovralimentazione era stata abolita) si pensava che nelle classi minori i 2T potessero dire la loro. In particolare, era opinione comune che nella 125 avrebbero sconfitto agevolmente i rivali a quattro tempi.
La Mondial bialbero apparsa nel 1948 ha però dimostrato che le cose stavano esattamente al contrario. I principali concorrenti, cioè la Morini e la MV Agusta, si sono così affrettati a realizzare anche loro delle 125 a quattro tempi. Per diversi anni sono stati i motori di questo tipo (cioè quelli delle tre case italiane più lo splendido NSU vincitore del titolo nel 1953 e 1954) a dominare il mondiale.
In Germania però qualcuno pensava che i 2T non fossero inferiori. Occorreva solo svilupparli.
La DKW è stata una grande protagonista della ricostruzione postbellica, producendo un numero straordinario di semplici, robuste e affidabili monocilindriche.
Le competizioni erano nel suo DNA e appena le è stato possibile questa casa ha ripreso l’attività agonistica. La sua realizzazione più rimarchevole è stata una 350 con tre cilindri a V di 75° e perni di manovella disposti in modo da avere le fasi utili distanziate uniformemente.
L’architettura a V consentiva di contenere l’ingombro trasversale del motore pur avendo i cilindri ottimamente raffreddati grazie all’estesa alettatura e pur avendo ampio spazio per i travasi (che nei 2T aumentano la larghezza dei cilindri).
Nel 1955-56 la DKW 350 è stata la moto più potente e veloce della sua classe. Era però scorbutica da guidare, aveva un consumo elevato e un’affidabilità non proprio impeccabile, almeno inizialmente. E poi i piloti non erano proprio i migliori nel motomondiale.
Insomma, di piazzamenti ne sono arrivati tanti ma in quanto a successi…
Alla casa tedesca va il grande merito di avere per prima sostituito gli scarichi a megafono con quelli a espansione. Certo non erano come quelli sviluppati successivamente per i due tempi da competizione ma già avevano un ben avvertibile aumento della sezione seguito da un controcono. Apparsi nel 1952-53 in forma piuttosto rudimentale, vanno a tutti gli effetti ritenuti gli antenati delle moderne marmitte a espansione.
Si incominciava a capire che realizzando uno scarico con opportuna conformazione era possibile migliorare le prestazioni utilizzando le onde di pressione. L’idea base era quella di creare un’onda riflessa positiva per bloccare la fuoriuscita di miscela fresca dal cilindro attraverso la luce di scarico, ancora aperta dopo che il travaso era terminato.
Un’altra casa che, pur senza impegnarsi seriamente a livello agonistico, ha lasciato un segno importante in campo duetempistico è stata la Adler.
Questa azienda di Francoforte negli anni Cinquanta ha prodotto eccellenti bicilindriche a due tempi dal disegno estremamente avanzato. La sua MB 250 (alesaggio e corsa = 54 x 54 mm, come la maggior parte delle 2T moderne) è stata presa a modello dalla Yamaha quando la casa giapponese ha deciso di realizzare un modello a due cilindri di tale cilindrata, e questo la dice lunga sulla validità del progetto e della realizzazione originale.
La bellissima versione da corsa della moto tedesca è apparsa nel 1953 e due anni dopo è stata sviluppata adottando anche il raffreddamento ad acqua. Indicava così anche in questo caso una strada importante, che in seguito è stata imboccata da tutti i costruttori di motori a due tempi da competizione.
A fare davvero svoltare i due tempi, portandoli a superare i cugini a quattro in fatto di prestazioni, è stata però la MZ che ha sviluppato a fondo gli scarichi a espansione e, soprattutto, ha lanciato l’aspirazione a disco rotante. (Continua)