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Negli anni Sessanta in Italia alle moto a due tempi le case pensavano assai poco. I 4T dominavano la scena per quanto riguarda sia i modelli da strada che quelli da regolarità.
Se si escludono i ciclomotori (dei quali peraltro in questa sede non ci si occupa) le moto a due tempi di fabbricazione nazionale erano poche e realizzate con schemi eguali a quelli impiegati nel decennio precedente.
Qualcuno però, anche guardando a quello che succedeva all’estero, iniziava a pensarla diversamente…
Nel 1968 l’Aermacchi ha messo in produzione la sua Aletta 125 da 10 CV a 6750 giri/min, quando la versione da corsa aveva già esordito in gara. La moto stradale non ha avuto un successo clamoroso ma ha mostrato una strada importante, quella che portava alla riscossa dei due tempi.
Il modello da competizione, denominato Ala d’Oro 125, ha rapidamente posto fine all’era dei quattro tempi nelle gare nazionali per piloti juniores e in quella in salita. E si è comportato bene anche a livello internazionale, arrivando addirittura a vincere una prova del mondiale, il GP di Germania del 1970.
La potenza era dell’ordine di 23 CV a 10500 giri/min. Il motore con aspirazione controllata dal pistone aveva un alesaggio di 56 mm e una corsa di 50 mm ed era raffreddato ad aria; il cilindro era ancora in ghisa!
Per diverso tempo le case giapponesi hanno costruito numerosi modelli di serie con aspirazione a disco rotante, nessuno dei quali è stato importato in Italia. In genere si trattava di monocilindrici di piccola cilindrata (80 – 150 cm3) con l’importante eccezione di alcuni ottimi bicilindrici prodotti dalla Bridgestone e dalla Kawasaki.
Da noi ha pensato alla aspirazione a valvola rotante la Guazzoni che nel 1965 ha presentato la Matta 50, la cui versione di 60 cm3 per le gare della categoria “cadetti” è diventata molto popolare. La casa milanese ha impiegato questo stesso tipo di aspirazione per i suoi modelli da Regolarità di 98 e 125 cm3 costruiti a cominciare dal 1967.
Tornando alle moto da GP, non si possono non ricordare due moto con ammissione a disco rotante che avrebbero indubbiamente meritato miglior fortuna. La prima è la straordinaria Ossa monocilindrica 250 con telaio monoscocca in lega leggera, arrivata assai vicina a conquistare il titolo mondiale nel 1969, e la seconda è la Jawa 350 con motore a quattro cilindri a V stretto raffreddato ad acqua.
Nel 1969, dopo un paio d’anni di macchinosa messa a punto, erogava una settantina di cavalli a 13000 giri/min. L’affidabilità però è rimasta scarsa e di risultati ne sono arrivati pochi…
Fin dalla prima metà degli anni Sessanta, vista la semplicità meccanica e le buone prestazioni che potevano fornire, a livello internazionale le moto a due tempi hanno iniziato a diventare le armi dei piloti privati. I costruttori hanno rapidamente messo in produzione modelli da corsa sviluppati proprio per loro.
A parte la Kawasaki, le cui bicilindriche di 250 e 350 cm3 erano a disco rotante, per le loro moto da corsa in libera vendita tutti gli altri hanno optato per l’ammissione controllata dal pistone. Il raffreddamento era sempre ad aria, eccezion fatta per le Bultaco TSS seconda versione.
La Yamaha è la casa che maggiormente ha legato il suo nome a moto da corsa per i piloti privati particolarmente competitive, di ottima qualità e dal costo più che accessibile. Inizialmente forniva dei kit per elaborare i suoi modelli di serie di 250 cm3 (YDS 1, YDS 2) ma dal 1963 ha messo in produzione moto complete, sempre a due cilindri e sempre con un alesaggio di 56 mm e una corsa di 50 mm.
La prima è stata la TD1 A erogante poco più di trenta cavalli a 9500 giri/min. Nel 1964 è arrivata la TD1 B per la quale veniva dichiarata una potenza di 35 CV a 10.000 giri/min.
Un notevole passo in avanti è stato compiuto nel 1967 con la TD1 C, più potente ma soprattutto con la frizione montata sul primario del cambio e non più alla estremità dell’albero a gomiti (soluzione che le precedenti bicilindriche Yamaha avevano ereditato dalla lontana antenata tedesca Adler).
Nel 1969 è apparsa la formidabile TD2 da 44 CV a 10500 giri/min che si è subito imposta a mani basse stabilendo nuovi standard di riferimento. Ad essa si è aggiunta la tanto attesa TR2 di 350 cm3 (alesaggio e corsa = 61 x 59,6 mm), realizzata con schema identico.
Nella prima metà degli anni Sessanta la Bultaco ha iniziato a produrre moto a due tempi per i piloti privati.
Particolare successo ha avuto la TSS 250 apparsa nel 1964 e azionata da un robusto monocilindrico che, con un alesaggio di 72 mm e una corsa di 60 mm, pare erogasse circa 36 CV a 9500 giri/min.
La prima versione raffreddata ad aria è stata seguita da una seconda ad acqua, con cambio a sei marce e un paio di cavalli in più. Nel 1966 una di queste moto ha vinto il GP dell’Ulster.
In quello stesso anno la Jawa ha iniziato a produrre in piccolissima serie la sua Junior caratterizzata da un telaio dalla tipica conformazione a banana, che già da tempo la casa cecoslovacca adottava sui suoi modelli da Regolarità. Il motore era un monocilindrico di 250 cm3 con un alesaggio di 70 mm e una corsa di 64 mm, erogante circa 31 CV a un regime dell’ordine di 7200 giri/min.
Sempre nel 1966 la Suzuki ha iniziato la produzione della brillante sportiva T 20 con motore bicilindrico di 250 cm3 (alesaggio x corsa = 54 x 54 mm); gli appassionati la chiamavano Super Six perché era dotata di un cambio a sei marce.
Da questa moto stradale è stata subito sviluppata una versione da corsa, la X 6, destinata quasi esclusivamente al mercato USA.
Per l’Europa è stata realizzata, nel 1968, la TR 250 accreditata di 35 CV a 9000 giri/min. Avrebbe dovuto contrastare la Yamaha TD1 C, ma per sua sfortuna stava per uscire la formidabile TD2…
Le prime bicilindriche a due tempi Kawasaki si sono subito imposte all’attenzione generale per le loro elevatissime prestazioni e per il fatto di avere l’ammissione a disco rotante. La A1 Samurai apparsa nel 1966 aveva un motore di 250 cm3 (53 x 56 mm) erogante ben 31 CV a 8000 giri/min, valore eccezionale per una moto stradale.
Da essa è stato sviluppato un modello da corsa per i piloti privati, la A1-R, per la quale venivano dichiarati 40 CV a 9500 giri/min. Nel 1967 è entrata in produzione la stradale A7 Avenger con motore di 338 cm3, dalla quale è derivato il modello da competizione A7-R, apparso l’anno successivo con cilindrata portata a 349 cm3 e con una potenza dichiarata di 53 CV a 8500 giri/min.