L’evoluzione dei motori a quattro cilindri (Terza parte)

L’evoluzione dei motori a quattro cilindri (Terza parte)
I recenti sviluppi dei materiali hanno consentito prestazioni straordinarie. Vediamo alcuni esempi interessanti
28 giugno 2018

Dalla metà degli anni Novanta alcuni trend già evidenti in precedenza sono sfociati in schemi e in quote che si sono largamente standardizzati. Il rapporto corsa/alesaggio dei moderni quadricilindrici in linea di 1000 cm3, ad esempio, è sempre compreso in un campo che va da 0,725 a 0,621.

I costruttori potrebbero adottare alesaggi più grandi di quelli attuali ma non lo fanno per ragioni di ingombro trasversale (con le relative ripercussioni sulla aerodinamica, sulla distanza dal suolo in curva e sulla stessa guidabilità). Questo a prescindere da eventuali limiti imposti dai regolamenti sportivi; le quadricilindriche sportive sono infatti progettate anche in quest’ottica.
Pure per quanto riguarda l’angolo tra le valvole c’è una grande uniformità; è infatti sempre compreso tra 20° (o poco più) e 25°.

Dalla metà degli anni Novanta anche i costruttori giapponesi sono passati gradualmente alle canne dei cilindri integrali, con riporto superficiale costituito da una matrice di nichel nella quale sono disperse particelle dure (di norma sono di carburo di silicio), più eventualmente una piccola quantità di fosforo. In pratica si tratta del ben noto Nikasil o di sue leggere varianti.


 

Honda ha fatto ricorso a soluzioni alternative impiegando canne sinterizzate prese di fusione e preforms a base di fibre corte e particelle ceramiche

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Prima di adottare tale soluzione la Honda ha fatto ricorso a soluzioni alternative impiegando canne sinterizzate prese di fusione e preforms a base di fibre corte e particelle ceramiche, che venivano incorporate nel blocco cilindri per impregnazione, all’atto della colata, da parte della lega di alluminio. L’impiego dei riporti a base di nichel si spiega non solo con il migliore smaltimento del calore e con la diminuzione del peso ottenibili rispetto alle canne riportate in ghisa, ma anche con i vantaggi che essi consentono di avere in termini di ingombro. Può infatti essere ridotto al minimo l’interasse tra le canne, che oggi sono quasi sempre “siamesi”: quelle contigue sono unite, con una parete in comune nella zona di massima vicinanza, avente uno spessore dell’ordine di 5 – 6 mm soltanto.

Dai primi anni Ottanta ha iniziato a diffondersi anche sui quadricilindrici in linea frontemarcia la soluzione che prevede la realizzazione della bancata dei cilindri in un’unica fusione con il semibasamento superiore. Questo schema costruttivo può comportare vantaggi a livello di rigidezza strutturale (e in una certa misura anche di costo di produzione) ma rende più complessa l’effettuazione di eventuali interventi meccanici. Attualmente tale soluzione convive con quella tradizionale, che prevede un blocco cilindri amovibile; lo stesso vale per la struttura closed-deck e quella open-deck, entrambe ampiamente utilizzate. La seconda consente di utilizzare come procedimento produttivo la pressofusione e quindi determina un certo vantaggio in termini economici, ma è leggermente penalizzata in termini di rigidità.

In diversi quadricilindrici delle ultime generazioni il semibasamento superiore incorpora nella sua struttura anche il blocco cilindri. Quello nella foto ha una struttura open-deck
In diversi quadricilindrici delle ultime generazioni il semibasamento superiore incorpora nella sua struttura anche il blocco cilindri. Quello nella foto ha una struttura open-deck

 

L’esasperata ricerca di soluzioni in grado di migliorare il rendimento meccanico ha portato i tecnici a valutare con la massima attenzione quello che succede non solo sopra i pistoni ma anche sotto di essi. Nel primo caso entrano in gioco le perdite per pompaggio (lavoro necessario per aspirare e per espellere i gas dai cilindri) e nel secondo quelle dovute alla “ventilazione interna”. Se consideriamo due cilindri adiacenti, quando il pistone del primo scende verso il punto morto inferiore spinge sotto di sé dell’aria (anzi, in effetti si tratta di una fitta nebbia aria/olio). Questa si muove e va dove trova più spazio, ovvero nel secondo cilindro, ove il pistone sta salendo verso il punto morto superiore, effettuando di fatto anche una azione di richiamo sotto di sé. Poi, dopo che i pistoni hanno raggiunto i rispettivi punti morti, la situazione si inverte: il primo di essi sale mentre il secondo scende. Quella che si verifica è una autentica azione di pompaggio, che in questo caso mette in movimento la massa gassosa al di sotto dei due pistoni, la quale viene spinta alternativamente sotto l’uno o sotto l’altro. Ciò determina come ovvio un certo assorbimento di energia. Per migliorare la situazione, si praticano ampie finestrature nelle cartelle dei supporti di banco, subito sotto la base delle canne dei cilindri, in modo di agevolare al massimo il movimento dell’aria. L’incremento di potenza che si può ottenere in questo modo è indicativamente dell’ordine del 2,5 – 3 % (ovvero cinque o sei cavalli, in un 1000 sportivo a quattro cilindri).

Nel reparto distribuzione è significativo il graduale passaggio da parte dei costruttori alle valvole in lega di titanio (talvolta solo alla aspirazione), notevolmente più leggere di quelle in acciaio o in superlega a base di nichel.
La BMW è stata la prima 1000 quadricilindrica di ultima generazione a impiegare bilancieri a dito con riporto di DLC (come sui motori di Formula Uno) al posto delle usuali punterie a bicchiere; di recente è stata seguita su questa stessa strada dalla Suzuki e dalla Yamaha.

Qualche cifra può aiutare a farsi un’idea di cosa è stato possibile ottenere grazie a questo lungo lavoro di sviluppo. Senza prendere in considerazione le serie limitate, speciali e “SBK replica” che dir si voglia, ormai i motori sportivi a quattro cilindri di 1000 cm3 erogano potenze che sono tutte attorno a 200 cavalli, a regimi che vanno da 13.000 a 13.500 giri/min. Le velocità medie dei pistoni sono comprese tra 22,3 e 24,2 metri al secondo. In quanto alle accelerazioni massime dei pistoni, alle quali sono direttamente legate le forze d’inerzia, arrivano a superare l’impressionante valore di 60.000 m/s2 (corrispondenti a circa 6000 g!).