L'evoluzione delle 500 e 250 da Gran Premio

La straordinaria epopea dei motori a due tempi: l’evoluzione delle 500 e delle 250 da gran premio ha portato a prestazioni straordinarie. (Quinta parte)
17 ottobre 2021

Quella dei motori a due tempi da Gran Premio di 500 cm3 nel periodo tra la metà degli anni Settanta e l’inizio del decennio successivo è una storia molto significativa dal punto di vista tecnico.

La Yamaha a quattro cilindri in linea che nel 1975 è stata la prima moto a due tempi a conquistare il mondiale nella classe regina aveva l’aspirazione controllata da valvole a lamelle con petali in acciaio, di dimensioni piuttosto ridotte e dalla considerevole rigidezza. Ciò comportava una perdita di carico tutt’altro che trascurabile.
La potenza pare fosse leggermente superiore a 95 cavalli. La versione del motore con ammissione controllata dal pistone era più potente ma meno trattabile.

I due mondiali successivi sono stati conquistati dalla Suzuki con quattro cilindri in quadrato e aspirazione a disco rotante, che aveva nella elevata potenza il suo punto di forza. Nel 1976 erogava circa 110 CV a 11000 giri/min e l’anno successivo circa 118 CV.

La Yamaha, sempre fedele all’architettura in linea, visti anche gli eccellenti risultati ottenuti nelle classi 250 e 350 dalle sue TZ e dalle bicilindriche Aermacchi Harley-Davidson, entrambe con aspirazione controllata dal pistone, ha deciso di adottare tale soluzione anche per la 500.

Per migliorare la gestibilità del motore ha sviluppato un inedito sistema di parzializzazione della luce di scarico contraddistinto dalla sigla YPVS. Le sue rinnovate quadricilindriche sono così state in grado di sbaragliare la concorrenza delle Suzuki e di imporsi nel mondiale per tre anni consecutivi (1978 – 1980). Nella versione del 1978 la potenza era di circa 120 CV a 11000 giri/min.
Nel 1981 e nel 1982 il titolo è tornato alla Suzuki a disco rotante, che di cavalli ne aveva una decina in più.

La Honda NS 500 tricilindrica a V ha esordito nel 1982 e ha vinto il mondiale l’anno successivo, quando erogava circa 125 CV. I cilindri avevano cinque travasi e l’ammissione era controllata da grossi pacchi lamellari con petali in fibra
La Honda NS 500 tricilindrica a V ha esordito nel 1982 e ha vinto il mondiale l’anno successivo, quando erogava circa 125 CV. I cilindri avevano cinque travasi e l’ammissione era controllata da grossi pacchi lamellari con petali in fibra
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Una autentica svolta si è avuta quando la Honda ha deciso di realizzare per la prima volta una 500 a due tempi, con la quale tornare a primeggiare nella classe regina, dopo lo sfortunato tentativo di rilanciare il 4T con la NR a pistoni ovali, rivelatasi un costosissimo flop.

Il progetto è stato affidato all’ing. Miyakoshi specialista nei motori da cross che pensò di applicare gli stessi concetti alla nuova moto da GP. Dunque gli obiettivi erano leggerezza e guidabilità, abbinati a una adeguata potenza.
Venne adottata l’ammissione lamellare, con petali in fibra di grandi dimensioni, onde disporre di ampie sezioni di passaggio e ridurre al minimo le perdite di carico.
a nuova NS a tre cilindri a V ha fatto il suo esordio nel 1982 e ha conquistato il titolo l’anno seguente, quando erogava all’incirca 125 CV a 11000 giri/min.
Per disporre di una potenza maggiore è stata rapidamente sviluppata, adottando gli stessi schemi tecnici, la NSR 500 con quattro cilindri a V, che ha vinto il mondiale nel 1985 (circa 145 CV a 11500 giri/min). Questa moto è stata una pietra miliare e debitamente sviluppata ha dato origine alla dominatrice degli ultimi anni della 500 a due tempi, con la conquista di sei mondiali consecutivi tra il 1994 e il 1999. Le ultime erogavano ben oltre 180 CV.

La Yamaha YZR 500 rappresenta al meglio lo stato dell’arte della tecnica da Gran Premio della sua epoca. Il motore aveva quattro cilindri a V e l’alimentazione era controllata da valvole a lamelle collocate centralmente. Questa è la versione del 1991 che erogava 165 cavalli a 11750 giri/min
La Yamaha YZR 500 rappresenta al meglio lo stato dell’arte della tecnica da Gran Premio della sua epoca. Il motore aveva quattro cilindri a V e l’alimentazione era controllata da valvole a lamelle collocate centralmente. Questa è la versione del 1991 che erogava 165 cavalli a 11750 giri/min

Dunque le 500 da GP, tutte con una cilindrata unitaria di 125 cm3 (eccezion fatta per la Honda NS tricilindrica), hanno raggiunto e quindi superato i 200 CV/litro nel 1975-76 e i 250 nel 79.
Lo sviluppo successivo ha portato al superamento dei 300 CV/litro nel 1986 e dei 350 cv/litro nei primi anni Novanta. Questa crescita è stata ottenuta grazie a un sempre più accurato sfruttamento delle onde di pressione allo scarico che ha consentito di aumentare via via la pressione media effettiva.

Si è lavorato molto anche al miglioramento del lavaggio (ovvero sulla forma e disposizione delle luci e dei condotti di travaso). I regimi di rotazione non sono aumentati granché (negli anni Settanta la potenza massima veniva ottenuta a 11000 giri/min e venti anni dopo a 12000).

Nel 1998 l’entrata in vigore di nuove norme sul carburante, ora completamente privo di additivi a base di piombo, ha portato a una leggera diminuzione della potenza (indicativamente dell’ordine del 5 – 10 %). Il minor potere antidetonante della benzina ha infatti reso necessaria una riduzione del rapporto di compressione.

Dal 1983 tutti i mondiali 500 sono stati conquistati da moto con ammissione lamellare.
Quella a disco è stata abbandonata nella prima metà degli anni Ottanta, quando le lamelle si sono imposte definitivamente e tutti i costruttori hanno adottato per i loro motori una architettura a V.

Quest’ultima è vantaggiosa dal punto di vista degli ingombri, rende possibile la realizzazione di travasi ampi e ben raccordati e consente una agevole installazione di pacchi lamellari molto grandi. Chiaramente però non si sposa con una ammissione a disco rotante, come ha potuto constatare a sue spese la Yamaha tra il 1982 e il 1983.
In quanto alle lamelle, risultano vantaggiose in termini di campo di utilizzazione e di gestione della erogazione e della risposta, cose importanti in motori molto potenti e con un carattere che non di rado si rivela piuttosto “scorbutico”.

L’Aprilia 250 bicilindrica con ammissione a disco rotante ha conquistato dieci mondiali, dei quali uno col marchio Gilera. Al termine dell’evoluzione pare che il suo motore sia arrivato ad erogare circa 100 CV (la potenza specifica ha quindi raggiunto i 400 CV/litro). Questo è un esemplare del 2007
L’Aprilia 250 bicilindrica con ammissione a disco rotante ha conquistato dieci mondiali, dei quali uno col marchio Gilera. Al termine dell’evoluzione pare che il suo motore sia arrivato ad erogare circa 100 CV (la potenza specifica ha quindi raggiunto i 400 CV/litro). Questo è un esemplare del 2007

Nella 250 le cose sono andate diversamente. Nella prima metà degli anni Settanta il mondiale è sempre stato vinto da bicilindriche con ammissione controllata dal pistone, Yamaha prima e Harley-Davidson (costruite a Varese) poi.
Nel 1978 è iniziato il dominio delle Kawasaki KLR a disco rotante con cilindri in tandem (lo stesso sistema di ammissione era stato impiegato sulla Morbidelli vincitrice nel 1977); in questa classe hanno conquistato quattro mondiali consecutivi.
In seguito si è assistito al ritorno delle Yamaha con ammissione regolata dal pistone (vincitrici dal 1982 al 1984).

La rivoluzione si è avuta nel 1985 con il successo della nuova Honda NSR 250 con due cilindri a V e ammissione lamellare (in pratica il motore era quello della 500 V4 tagliato a metà). Da allora fino ai primi anni Novanta la scena è stata dominata dai motori con questo tipi di ammissione e con questa architettura (in quanto a vincere il titolo, Honda e Yamaha si alternavano).

Nel 1994 ha vinto l’Aprilia con ammissione a disco rotante e da allora il mondiale è diventato una faccenda a due tra lei e la Honda.
Negli ultimi anni di esistenza della classe 250 le moto venete a disco rotante si sono imposte nove volte e le rivali a lamelle sei.

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