La distribuzione ingegnosa: dagli aerei alle NSU da GP

La distribuzione ingegnosa: dagli aerei alle NSU da GP
Alcune distribuzioni decisamente inusuali erano molto ingegnose e hanno fornito validi risultati. Dai motori stellari, alla NSU iridata nei GP
24 luglio 2015

Proseguiamo il tema del comando distribuzione nelle sue varianti più atipiche dopo il primo articolo sui comandi fuori dagli schemi e il secondo dedicato alle soluzioni più fantasiose. Uno dei sistemi di comando delle valvole più inconsueti è quello adottato nel motore della OMB 350, una monocilindrica dalle prestazioni assai elevate per la sua epoca. Il progettista del motore, Enrico Pedrini, aveva studiato e regolarmente brevettato una distribuzione che prevedeva, al posto del consueto albero a camme, due “dischi a eccentrici”, analoghi a quelli impiegati nei motori stellari d’aviazione, che azionavano due bilancieri a dito; ognuno di questi ultimi muoveva una asta corta e fortemente inclinata che a sua volta trasmetteva il moto a un bilanciere a due bracci collocato nella testa. Lungo la circonferenza di ogni disco, la cui velocità di rotazione era pari a un ottavo di quella dell’albero a gomito, vi erano quattro risalti, che costituivano gli eccentrici. Questo schema, che ricordava da un lato quello a camma rialzata e dall’altro la tecnologia aeronautica, funzionava in maniera impeccabile; il motore erogava 25 cavalli a 7.000 giri/min. Le misure di alesaggio e corsa erano perfettamente “quadre” (76 x 76 mm) e le due valvole erano inclinate tra loro di 90°. La monocilindrica OMB (acronimo di Officine Meccaniche Bazzanesi) è stata presentata al salone della moto di Milano del 1947, ma in seguito non se ne è saputo più nulla. Enrico Pedrini ha proseguito altrove la sua carriera di tecnico, terminata negli anni Sessanta alla Innocenti di Milano. Suo figlio Roberto, autore dello splendido logo della mitica scuderia NCR, è stato campione italiano sidecar nel 1975 e nel 1979.

 

Vista frontale del motore Pratt & Whitney R-2800, dotato di 18 cilindri disposti su due “stelle”. La cilindrata è di 45,9 litri e la potenza dell’ordine di 2000 cavalli (variava a seconda delle versioni). Sono ben visibili i tubetti all’interno dei quali passano le aste della distribuzione
Vista frontale del motore Pratt & Whitney R-2800, dotato di 18 cilindri disposti su due “stelle”. La cilindrata è di 45,9 litri e la potenza dell’ordine di 2000 cavalli (variava a seconda delle versioni). Sono ben visibili i tubetti all’interno dei quali passano le aste della distribuzione
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Anche se destinati a un settore ben diverso da quello motociclistico, i grandi motori d’aviazione del passato meritano di essere ricordati per le loro numerose soluzioni tecniche di grande raffinatezza. In questa sede è opportuno un accenno alla distribuzione degli stellari, che (a parte un paio di Bristol) erano invariabilmente a due valvole per cilindro, inclinate e azionate da aste e bilancieri. Una estremità dell’albero a gomiti azionava due dischi a eccentrici, coassiali rispetto ad esso, per mezzo di ingranaggi opportunamente disposti. I cilindri erano sette o nove per ogni “stella” e le punterie, che venivano mosse dai risalti posti lungo la circonferenza di ciascun disco, erano in genere del tipo a rullo.
Lo sviluppo di questi motori, che avevano come punti di forza il raffreddamento ad aria (minore vulnerabilità in combattimento) e un peso relativamente contenuto in relazione alla potenza erogata, è culminato negli anni Quaranta. Particolarmente famosi, e largamente diffusi (centinaia di migliaia di esemplari prodotti!), sono stati quelli a doppia stella con potenze dell’ordine di 1.500 – 2.200 cv, realizzati in cilindrate comprese tra 42 e 46 litri e destinati sia ai caccia di prestazioni più elevate che ai bombardieri e ai velivoli da trasporto. Lo sviluppo dei grandi stellari è culminato con il Pratt & Whitney R-4360 a quattro stelle (28 cilindri, 71 litri di cilindrata, 3000 cavalli) e con il Wright Turbo-Compound, largamente utilizzato sui quadrimotori commerciali costruiti dopo la seconda guerra mondiale.

 

Per comandare l’albero a camme in testa, all’inizio degli anni Cinquanta la NSU ha messo a punto un sistema a biellette denominato “Ultramax”. Oltre che sulle moto, è stato impiegato anche sulle vetture utilitarie Prinz con motore bicilindrico di 600 cm3
Per comandare l’albero a camme in testa, all’inizio degli anni Cinquanta la NSU ha messo a punto un sistema a biellette denominato “Ultramax”. Oltre che sulle moto, è stato impiegato anche sulle vetture utilitarie Prinz con motore bicilindrico di 600 cm3

All’inizio degli anni Cinquanta la NSU stava vivendo un periodo di grande crescita. Le sue moto erano ottime ma occorreva ampliare la gamma realizzando un modello di media cilindrata (per i criteri di allora) veramente moderno e in grado di restare in produzione per lungo tempo. Il grande progettista Albert Roder ha così disegnato uno splendido 250 con albero a camme in testa che abbinava linee armoniose a soluzioni raffinate e che era in grado di fornire ottime prestazioni. Denominato Max, questo monocilindrico è stato presentato alla fine del 1951 e ha raccolto subito grandi consensi. In effetti la sua tecnica lo poneva diversi anni avanti, rispetto alle realizzazioni degli altri costruttori dell’epoca. Spiccava la distribuzione “Ultramax”, con l’albero a camme che veniva comandato da due biellette. Questo stesso sistema è stato impiegato dalla casa di Neckarsulm anche in altri suoi motori motociclistici (Superfox, Maxi) e nel bicilindrico della vettura utilitaria Prinz, costruita oltre 700.000 esemplari, che per diverso tempo è stata molto popolare anche da noi. Il monocilindrico di 250 cm3 aveva un alesaggio di 69 mm e una corsa di 66 mm ed erogava, a seconda delle versioni, da 15 a 18 cavalli. La lubrificazione era a carter secco e la trasmissione primaria a terna di ingranaggi (quello intermedio veniva impiegato anche per azionare le due biellette). La robusta e affidabile Max 250 ha giustamente avuto un grande successo ed è stata prodotta in circa 97.000 esemplari. La NSU ha anche realizzato una versione destinata ai piloti privati, che erogava 28 cavalli a 9000 giri/min. Denominata Sportmax e costruita in meno di cinquanta esemplari, questa moto ha conquistato il titolo mondiale con H.P. Muller nel 1955.

 

Negli anni Cinquanta Mannerstedt ha proseguito con la soluzione a camme oscillanti, adottandola anche in una 125 con due cilindri a V e ottenendo anche un brevetto americano nel 1959

Una distribuzione che prevedeva l’impiego di biellette è stata sviluppata dallo svedese Folke Mannerstedt e ha trovato impiego in alcuni monocilindrici costruiti in Svezia già prima della seconda guerra mondiale. In questi casi però non c’era un albero a camme in testa; per azionare le valvole si impiegavano due eccentrici che oscillavano, prima in un senso (per l’apertura) e poi nell’altro (per la chiusura), agendo su bilancieri a due bracci. Le biellette erano comandate da un alberello con due perni eccentrici posto nel basamento. Il sistema è stato denominati Excam e i motori che lo hanno adottato sono stati esemplari unici (o quasi), costruiti nelle cilindrate di 250, 350 e 500 cm3 e impiegati più che altro in gare di speedway o in fuoristrada. Negli anni Cinquanta Mannerstedt ha proseguito con la soluzione a camme oscillanti, adottandola anche in una 125 con due cilindri a V, rimasta essa pure allo stadio di prototipo, e ottenendo anche un brevetto americano nel 1959. Merita menzione pure un motore monocilindrico Lito del 1966 che impiegava un sistema assai simile (in questo caso le camme oscillanti agivano su punterie a bicchiere e le biellette venivano azionate da due alberi con perno eccentrico).

Lo sviluppo di un sistema con camme oscillanti da parte dell’ing. Giovanni Torazza della Fiat, avvenuto nel 1970-71 aveva un obiettivo diverso. Lo schema non costituiva infatti una alternativa a una normale soluzione ad aste e bilancieri o monoalbero, ma era stato studiato per ottenere una semplice e affidabile distribuzione a fasatura variabile. Sono stati così realizzati alcuni prototipi a camme oscillanti in testa in versioni monoalbero e bialbero. Le prove al banco hanno fornito risultati decisamente buoni, ma il costo elevato e la notevole complessità realizzativa (leggi numero dei pezzi e accuratezza delle lavorazioni necessarie) hanno posto fine al programma di sviluppo. C’erano sistemi più semplici ed economici.

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