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Da tempo i motori di altissime prestazioni hanno una distribuzione bialbero. Ormai si tratta di uno schema standardizzato, unitamente alle quattro valvole per cilindro, poste su due piani poco inclinati tra loro.
Una scelta logica, che consente di ridurre al minimo le masse in moto alterno. Questo permette di raggiungere regimi di rotazione più elevati e di adottare leggi delle alzate più radicali. Ogni camma aziona la sua valvola muovendo solo la punteria (o il bilanciere a dito) e questo assicura anche la massima rigidezza a livello di comando. Il movimento della valvola risulta quindi quanto più possibile vicino a quello ideale, cioè a quello imposto dal profilo della camma.
All’altro estremo ci sono i sistemi ad aste e bilancieri, con uno o due alberi a camme nel basamento.
Da tempo vengono impiegati solo in alcuni motori di impostazione estremamente tradizionale, alla quale rimangono fedeli costruttori come l’Harley-Davidson, per vari modelli della loro gamma. Nelle distribuzioni di questo tipo, che possono risultare convenienti sotto l’aspetto costruttivo (e dei costi…), in particolare nei motori con due cilindri a V, le parti in moto alterno hanno una massa considerevole (ogni camma aziona una punteria, un’asta e un bilanciere a due bracci) e la rigidezza del sistema di comando è tutt’altro che elevata.
Al crescere della lunghezza delle aste aumenta la loro massa. Inoltre ridurre al minimo le deformazioni elastiche diventa sempre più arduo. Per questa ragione nei motori con una distribuzione ad aste e bilancieri preparati per impiego agonistico o destinati comunque a raggiungere regimi di rotazione molto elevati si è sempre cercato di ridurre al minimo la lunghezza delle aste e/o di aumentarne il diametro, ove possibile. Quest’ultima soluzione viene in genere accompagnata da una diminuzione dello spessore delle pareti di tali componenti (che ovviamente sono tubolari).
Nell’ultimo periodo di sviluppo le famose Aermacchi Ala d’Oro degli anni Sessanta hanno adottato cilindri più bassi dei precedenti e aste con una lunghezza minore e con un diametro maggiore (fino a 13 mm). Pure la Honda CX 500 bicilindrica a V di 80° di fine anni Settanta, che forniva la potenza massima a 9000 giri/min, aveva aste decisamente corte, cosa resa possibile anche dalla posizione molto rialzata dell’albero a camme.
Le distribuzioni monoalbero si possono ritenere la logica evoluzione di quelle ad aste e bilancieri, rispetto alle quali hanno minori masse mobili e presentano una maggiore rigidezza. Per lungo tempo, in passato, il sistema di comando dell’albero a camme, si è però rivelato problematico.
L’impiego di un alberello e due coppie coniche comportava costi considerevoli; inoltre, ottenere un funzionamento silenzioso non era facile. Considerazioni analoghe valevano per i sistemi a cascata di ingranaggi. Nel caso di quelli a catena, per lungo tempo realizzare tenditori veramente affidabili ed efficaci non è stato facile. E addirittura in alcuni motori degli anni Cinquanta non vi era alcun sistema di tensionamento…
Dunque, eliminate le punterie e le aste, come parti in moto alterno nelle distribuzioni monoalbero rimangono solo i bilancieri a due bracci, che oscillano sul loro perno, collocato più o meno centralmente.
Il movimento è dunque diverso da quello rettilineo, pur essendo comunque alternato, e la massa che va presa in considerazione non coincide con quella totale del componente. La parte vicina all’asse di oscillazione infatti in pratica ha una influenza nulla o quasi. Per un eguale movimento angolare, i bracci del bilanciere compiono uno spostamento maggiore mano a mano che ci si allontana dal fulcro! Qui occorre ricordare che le forze d’inerzia sono legate sia alla massa che si muove, che all’entità e alla rapidità dello spostamento.
In quest’ottica appaiono vantaggiosi bilancieri con i bracci corti (minore massa in movimento e a una inferiore distanza dall’asse di oscillazione). In questa direzione però non ci si può spingere più di tanto. L’estremità del bilanciere che contatta la valvola si muove secondo un arco di cerchio il cui raggio corrisponde alla distanza dal fulcro.
Per ottenere un eguale sollevamento della valvola, un braccio corto deve effettuare un arco di rotazione maggiore. Questo comporta una superiore spinta trasversale sulla estremità dello stelo durante il sollevamento della valvola. Tale spinta, che comunque è sempre di entità contenuta (ma non trascurabile), si scarica sulla guida, la quale deve pertanto avere una lunghezza adeguata.
I bracci dei bilancieri sono sollecitati a flessione e devono possedere una elevata rigidezza, ottenuta facendo comunque attenzione a contenere il peso delle masse oscillanti. Fondamentale è quindi l’adozione di un dimensionamento e di una conformazione accuratamente studiati, unitamente all’impiego di un materiale dalle adatte caratteristiche meccaniche.
Nei motori con distribuzione ad aste e bilancieri il rapporto tra le lunghezze dei bracci è praticamente fisso (usualmente va da 1,2 a 1,5), data la modesta entità dello spostamento del punto di contatto con lo stelo valvola.
Quando però si adotta la soluzione monoalbero, la situazione è notevolmente diversa, poiché la linea di contatto camma/pattino del bilanciere si sposta di continuo, e in misura considerevole, durante il sollevamento della valvola. Di conseguenza mentre la lunghezza “utile” di un braccio è fissa, l’altra varia. Il raggio di curvatura del pattino influenza fortemente la legge del moto della valvola.
Alla luce di queste considerazioni è quindi chiaro per quale ragione nei motori con questo tipo di distribuzione si possano ottenere leggi del moto delle valvole perfettamente simmetriche con camme dal profilo asimmetrico.
Tra le moto da Gran Premio anche quando la soluzione bialbero si era ormai dimostrata superiore qualcuno ha continuato per qualche tempo ad adottare motori con distribuzione monoalbero, quattro dei quali si sono imposti nel mondiale. È il caso della Guzzi, con tre titoli 250 più il primo della classe 350, e della NSU, con la 125 vittoriosa nel 1954 e la 250 monocilindrica (derivata dalla serie!) l’anno successivo.
Nella storia del motociclismo tutti gli altri motori a quattro tempi che hanno conquistato l’iride lo hanno fatto utilizzando teste bialbero.