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Era il 25 maggio del 1961 quando il presidente John Fitzgerald Kennedy annunciò al mondo che entro il decennio gli Stati Uniti avrebbero mandato l’uomo sulla Luna.
In ballo c’era il prestigio politico e tecnologico nei confrotni dell’Unione Sovietica, che per prima aveva messo un uomo in orbita attorno alla Terra. Una rivalità da piena Guerra Fredda - culminata con la crisi dei missili sovietietici installati a Cuba nel 1962, nella famosa baia dei Porci - che fece scalpore e dirottò all’ente spaziale americano finanziamenti mai visti: la sola missione Apollo 11 ebbe un costo superiore ai 20 miliardi di dollari dell'epoca.
Sabato prossimo ricorreranno i cinquant’anni del primo sbarco lunare compiuto dagli astronauti della missione Apollo 11: era il 20 luglio del 1969, con buona pace di chi ancora crede che sia stata una messa in scena propagandistica e hollywoodiana. Fra i tanti modi di ricordare quello straordinario evento, vogliamo raccontare una piccola storia laterale che ci riguarda come appassionati motociclisti. Un fatto che riguarda la moto costruita per andare sulla Luna.
Le missioni Apollo prevedevano che gli astronauti si muovessero sulla superficie lunare per raccogliere campioni di roccia e svolgere delle ricerche esplorando aree più lontane rispetto al punto di atterraggio del modulo lunare. Anche questo avrebbe fatto la differenza con i sovietici.
Il primo mezzo a quattro ruote fu pensato mentre il programma Apollo si basava sul lancio di due razzi vettori Saturno V per il trasporto di tutto il necessario all'operatività. Ma quando la riduzione del budget portò al taglio del secondo lancio, i progettisti passarono a un nuovo Lunar Roving Vehicle (LRV, abbreviato poi in Rover) più compatto, che potesse trovare spazio sul modulo lunare LEM una volta ripiegato.
Correva il 1969, e l’obiettivo era avere il mezzo operativo per la missione Apollo 15. Tuttavia alla NASA non tutti erano certi che il mezzo sviluppato dalla Boeing e dalla General Motors sarebbe arrivato in tempo, e fu così che lo Spacecraft Design Division di Houston pensò a un piano B, a un mezzo alternativo, più semplice, leggero e facile da alimentare: una piccola moto.
Gli ostacoli da superare erano molti e non mancavano le incognite della guidabilità e del comportamento di un mezzo a due ruote in presenza di gravità ridotta e con un terreno irregolare e in parte sconosciuto.
Il Rover Boeing-GM aveva degli speciali pneumatici in rete metallica elastica per ovviare al problema della mancanza di pressione esterna che avrebbe fatto gonfiare a dismisura le gomme tradizionali. Ma per la moto gli ingegneri scelsero dei pneumatici convenzionali gonfiati a bassa pressione.
Nonostante stessero lavorando al mezzo speciale, per i primi test “dinamici” venne usata una Honda CT90, una mini bike piuttosto diffusa all’epoca in America.
Neil Armstrong, destinato a essere il primo uomo a mettere piede sulla Luna, partecipò ai test in quanto motociclista – possedeva una Montesa – e così anche Charles “Pete” Conrad: proprio quest’ultimo, nel 1999, morì in un incidente stradale alla guida della sua Harley-Davidson: accdde una settimana prima del trentennale della missione lunare Apollo 11. Conrad aveva 69 anni.
Per riprodurre la minore gravità rispetto a quella terrestre (quella lunare è di un sesto rispetto alla nostra), moto e astronauta bardato di tutto punto salirono su un Boeing KC-135 Stratotanker, l’aereo da carico che con la sua traiettoria di 45° - in salita e discesa - riproduce l’assenza di gravità per il tempo di 20-30 secondi.
Altri test indoor vennero svolti in un hangar attrezzato a Houston, appendendo moto e pilota a cavi per ridurne l’effetto gravitazionale e provando a percorrere tratti sabbiosi. Questo permise di trovare delle misure che dessero la stabilità necessaria alla moto e a determinare una posizione di guida adatta, visto che con la tuta indossata gli astronauti avevano una mobilità ridotta per le gambe. Venne testato anche un guanto speciale per comandare l’acceleratore.
La moto lunare aveva un motore elettrico alimentato da una batteria, non ricaricabile, da 30 Ah con tecnologia si dice zinco-potassio, come quelle sviluppate per il Rover a quattro ruote; la velocità era di 7 miglia orarie, circa 11 km/h.
Per risolvere il problema del raffreddamento del motore, in assenza d’aria non c’è scambio termico, gli ingegneri escogitarono un sistema del tutto originale: all’interno delle parti che formavano il telaio e avvolgevano il motore vennero fusi 2 kg di cera d’api che si scioglieva assorbendo il calore, mentre quando la moto si fermava la cera ritornava a solidificarsi.
Sebbene fosse tutto pronto, quella moto non venne però utilizzata. Principalmente perché il Rover venne consegnato per tempo – alla fine ne furono costruiti tre al costo di 38 milioni di dollari l’uno – e poi perché la moto aveva incognite di guida (leggi trazione), presentava rischi di caduta per gli astronauti e soprattutto perché avrebbe faticato a trainare sul terreno smosso il “Risciò”: ovvero il Modular Equipment Transporter, un rimorchio a due ruote per il carico di attrezzature scientifiche e di scavo che venne impiegato dalla missione Apollo 14 e del quale era previsto l’impiego anche in quella successiva assieme alla moto.
Ma in diciotto mesi, in tempo per Apollo 15, Boeing e GM riuscirono a consegnare l’LVR impedendo così di vedere all’opera la prima moto lunare. Dei relativi prototipi si è persa traccia, qualcuno racconta che vennero “schiacciati” alla fine del progetto.
Notizie della moto lunare sono riportate nel libro di David J. Shayler “Apollo: The Lost and Forgotten Missions” nel quale si legge che varie modalità per il trasporto degli astronauti sulla superficie lunare furono esaminate per il programma Apollo.
Visto che di recente si è tornati a parlare di nuove missioni esplorative nel nostro sistema solare, chissà che i progressi tecnici, elettronici e digitali compiuti in questi anni possano ridare spazio alla moto. Non siete d'accordo?