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La geopolitica è più vicina a noi di quanto non si pensi. Dopo il clamoroso ban a Huawey del 2019 emesso dall'Amministrazione Trump, arriva quella che sembra una proposta bene o male già codificata e in attesa di un esame legislativo: il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha infatti dichiarato (attraverso Gina Raimondo, Secretary) l'esistenza di una proposta di legge che per, ragioni di sicurezza, metterà al bando dal suolo americano a partire dal 2027 i veicoli cosiddetti "connessi" che ospitano tecnologie (software e hardware) di paesi come Cina e Russia.
La proposta parte da un'investigazione del febbraio 2024 e qualora diventasse effettiva avrebbe delle risonanze commerciali - all'interno degli US - rilevanti.
Secondo il Governo americano, l'indagine iniziata a febbraio avrebbe rilevato una serie di rischi per la sicurezza nazionale derivanti da software e hardware provenienti da Cina e Russia installati sui veicoli statunitensi, come la possibilità di hacking da remoto e la raccolta di dati personali. "In casi limite, un avversario straniero potrebbe spegnere o prendere il controllo di tutti i veicoli che circolano negli Stati Uniti, tutti allo stesso tempo, provocando incidenti o bloccando le strade", ha detto Gina Raimondo.
La proposta non si applicherebbe ai veicoli già in circolazione negli Stati Uniti che hanno installato il software cinese e partirebbe dal 2027 per il software e dal 2030 per l'hardware, ma soltanto per i veicoli nuovi.
Sembra proprio che sulla tecnologia si basi la sfida tra le superpotenze sia dal punto di vista commerciale che da punto di vista della sicurezza, visto che il termine “veicoli connessi" può includere auto, camion, autobus e moto che utilizzano connessioni di rete per alcune funzionalità gestite attraverso Bluetooth, WIFI e 5G: immaginiamo quindi anche GPS, telecamere, radar e così via, tutti sistemi che potrebbero raccogliere dati in senso lato sul territorio statunitense. Ma si ipotizza anche che le colonnine di ricarica per i veicoli elettrici possano essere oggetto di hackeraggio, se dotate di software o hardware del tipo (e della provenienza) di quello che si intende bannare.
La CCN riporta a questo proposito una nota Lin Jian, portavoce del ministero degli Esteri cinese: "La Cina si oppone all'ampliamento del concetto di sicurezza nazionale da parte degli Stati Uniti e alle azioni discriminatorie intraprese contro le aziende e i prodotti cinesi", ha dicharato la Portavoce, aggiungendo: “Esortiamo gli Stati Uniti a rispettare i principi del mercato e a fornire un ambiente imprenditoriale aperto, giusto, trasparente e non discriminatorio per le imprese cinesi”.
C'è da rilevare che in Cina è accaduto che le automobili Tesla siano state tenute lontane da aree sensibili, nonostante le rassicurazioni sul fatto che tutti i dati raccolti dalle loro auto vendute in Cina (immagini delle telecamere, per esempio) vengono conservati e gestiti dentro i confini cinesi.
Cosa potrebbe invece accadere in campo automotive, se questa proposta diventasse effettiva? Le prime riflessioni sono quelle relative alle catene di approvvigionamento e le ha rilasciate John Bozzella, presidente e amministratore delegato di Alliance for Automotive Innovation, che rappresenta le alcune case automobilistiche e costruttori (non soltanto a stelle e strisce), affermando che sebbene al momento la quantità di tecnologia oggetto del possibile ban sia molto piccola, la nuova norma costringerebbe alcune aziende a trovare nuovi fornitori e potrebbe essere un problema trovarli con i tempi impressi dall'eventuale ban, senza contare - aggiungiamo noi - che le imminenti elezioni USA potrebbero condizionare se non l'esito di questa proposta, almeno i suoi tempi. Appare quindi probabile, ma è tutto in evoluzione, che non ci saranno veicoli bannati dal territorio statunitense, quanto una eventuale necessità per i produttori di adottare altra componentistica o modificare quella esistente. Staremo a vedere.