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Mentre le Case giapponesi stavano aprendo una nuova, importantissima fetta del mercato motociclistico (come abbiamo scritto una settimana fa), quelle italiane e austriache non rimanevano a guardare.
Il rilancio dei monocilindrici di grossa cilindrata, con versatili modelli entrofuoristrada, costituiva un'opportunità importante.
Il settore stava diventando di moda, e sviluppare e costruire quelle moto era assai meno impegnativo che progettare e mettere in produzione delle pluricilindriche sportive di alte prestazioni. Rispetto ai costruttori giapponesi, quelli europei hanno però interpretato il “tema” in maniera leggermente diversa.
L’austriaca Rotax costruiva motori destinati a una grande varietà di impieghi (dalle motoslitte ai kart e ai velivoli ultraleggeri) e stava pensando a un grosso mono già sul finire degli anni Settanta. Per tale realizzazione il capo progetto, ing. Hans Lippitsch, scelse di impiegare una distribuzione monoalbero a quattro valvole e di adottare un singolo albero ausiliario di equilibratura, collocato nella parte anteriore del basamento.
In questo nuovo motore, entrato in produzione nel 1981, il comando dell’albero a camme era affidato a una cinghia dentata posta sul lato sinistro. Le valvole, che erano mosse da bilancieri a tre bracci dotati di rullo, giacevano su due piani formanti tra loro un angolo di 49°. Il modello di 500 cm3 aveva un alesaggio di 89 mm e una corsa di 79,4; ad esso si sono presto aggiunte versioni con cilindrata differente. In particolare, largo impiego ha avuto quella di 560 cm3 (alesaggio e corsa = 94 x 81 mm), prodotta a partire dal 1983.
Il gruppo termico, con canna cilindro riportata in ghisa, e il manovellismo, con albero a gomito composito, erano di schema classico.
La lubrificazione era a carter secco. L’olio arrivava al cuscinetto di biella grazie a un convogliatore centrifugo in lamiera fissato a un volantino dell’albero a gomito.
Di questo motore è stato realizzato anche un modello destinato alle gare dei supermono, con testa raffreddata ad acqua e distribuzione bialbero, che all’inizio degli anni Novanta sviluppava 69 CV a poco più di 9.000 giri/min. Rispetto alla versione 560, la cilindrata era stata portata a 598 cm3 mediante aumento dell’alesaggio a 97 mm.
I monocilindrici Rotax a quattro valvole con raffreddamento ad aria sono stati largamente impiegati da case come KTM, SWM e Aprilia (Tuareg e Pegaso 600).
Nella prima metà degli anni Ottanta la Gilera, che stava ottenendo ottimi risultati con le sue "due tempi" di piccola cilindrata, decise di fare il suo ingresso nel settore delle enduro stradali monocilindriche a quattro tempi.
Il progetto del motore è stato affidato all’ing. Cesare Bossaglia, che ha optato per il raffreddamento ad acqua e per una distribuzione bialbero a quattro valvole comandata mediante cinghia dentata (utilizzata per azionare anche la pompa dell’acqua). L’albero ausiliario di equilibratura era posto nella parte superiore del basamento, e la lubrificazione era a carter umido.
Robusto e affidabile, questo monocilindrico aveva varie caratteristiche molto avanzate, alcune delle quali facevano intravvedere una forte influenza della tecnica automobilistica. Spiccavano l’impiego di un albero a gomito forgiato in un sol pezzo (con biella munita di cappello) che lavorava interamente su bronzine, e quello di una pompa dell’olio del tipo a ingranaggio interno, inusitata per il settore moto.
Le quattro valvole giacevano su due piani formanti tra loro un angolo di 30°; al loro azionamento provvedevano bilancieri a dito con pattino cromato. L’adozione di registri a vite semplificava notevolmente la regolazione del gioco delle valvole (cosa importante quando occorre effettuare interventi “sul campo”). All’interno del cilindro, munito di canna integrale con riporto al nichel-carburo di silicio, era alloggiato un pistone forgiato.
La prima moto azionata da questo monocilindrico, denominata Dakota, è stata presentata nella seconda metà del 1985. Il motore è stato prodotto in versioni di 350, 500 e 560 cm3. Quest’ultima aveva un alesaggio di 98 mm e una corsa di 74 mm, e ha equipaggiato modelli famosi come la RC 600 e la NordWest, apparse rispettivamente nel 1989 e nel 1991.
Negli anni Ottanta anche la Cagiva è entrata nel settore delle grosse monocilindriche a quattro tempi. Il suo motore di 500 cm3, monoalbero a quattro valvole con raffreddamento ad aria e albero di equilibratura nella parte anteriore del basamento, ha fatto la sua comparsa giusto alla metà del decennio. Di disegno molto lineare, derivava dal 350 che la Casa varesina aveva presentato al salone di Colonia nel 1982. In seguito si è evoluto in una nuova versione di 600 cm3 (alesaggio e corsa = 102 x 73,6 mm), che ha equipaggiato la River e la W16.
Dopo alcuni anni nei quali è stata presente nel settore dei grossi mono a quattro tempi utilizzando il Rotax monoalbero, nel 1987 la KTM ha messo in produzione il proprio motore, di impostazione più spinta ed essenziale, come ben si conviene a una realizzazione destinata fondamentalmente a un impiego agonistico (o comunque a un fuoristrada “vero”). Niente albero di equilibratura quindi, e disegno improntato alla massima compattezza.
Il raffreddamento era ad acqua, e la distribuzione monoalbero a quattro valvole con bilancieri dotati di rullo. Il cilindro aveva la canna integrale con riporto al nichel-carburo di silicio, e il pistone era realizzato per forgiatura. L’albero a camme veniva azionato da una catena. Il modello di 500 cm3 aveva un alesaggio di 90 mm e una corsa di 78. Ad esso è stata subito affiancata una versione di 560 cm3 - con alesaggio portato a 95 mm - che aveva una potenza dell’ordine di 50 cavalli a un regime di 8.000 giri/min.
I modelli con albero di equilibratura e cilindrata maggiore sono arrivati negli anni Novanta, quando sono apparsi anche il Rotax a cinque valvole e lo Yamaha 660. Di loro, come dell’epopea dei Supermono e dei grossi monocilindrici realizzati specificamente per la Parigi-Dakar, parleremo prossimamente.