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"Tra la lucidità e la follia c'è solo una sottile linea rossa"
Rudyard Kipling
Premessa dell'autore
Sapevo che sarebbe arrivato il momento, ma francamente - dentro di me - speravo di poter rimandare in eterno. Ogni maledetto lunedì mattina, il capo mi chiama e mi dice che i motociclisti sono in testa a tutte le classifiche.
Quelle tragiche. E allora mi chiedo come sia possibile che da quando sono piccolo non aspiro ad altro che smanettare sull'Appennino in sella alla mia moto. Devo scrivere un'inchiesta.
Da dove comincio? Dai dati della mortalità? Dai pezzi che ho già scritto sulle "ghigliottine" di cui sono disseminate le strade del paese più appassionato di moto al mondo?
Vorrei cominciare dal garage, dove entra ogni motociclista che si rispetti quando la sveglia ti strappa dalle braccia di Morfeo e ti spedisce a cavalcioni di un cavallo d'acciaio? È proprio da qui che vorrei iniziare, perché troppe volte, un po' sulla mia pelle, un po' per il lavoro che faccio, il ragionamento comincia dalla fine, e poi va a ritroso. Prendi il punto di quiete dei veicoli, risali lo scarroccio o la frenata ed arrivi all'ultimo secondo di spensieratezza. È lì che pensi a ciò che è passato per la testa al centauro ferito, o morto, quando la mano è schizzata istintiva sulla leva del freno, quando il polso ha chiuso la manetta e quel rombo accattivante del motore è calato improvvisamente, quasi spegnendosi sulla frenata isterica, sul panico che sulla strada non può che sopraffarti, e che precede di un solo istante il tonfo multirumore che fa l'incidente.
Prima è plastica, poi vetri, e infine tocca all'acciaio quasi all'unisono col corpo.
L'inchiesta
La somma del rischio: strade, veicoli, comportamenti
Da molti anni il problema delle due ruote attanaglia l'intero pianeta: nei paesi occidentali il problema è praticamente opposto a quello degli stati in via di sviluppo. In questi, infatti, il problema è limitato all'uso indiscriminato di questa categoria di veicoli, soprattutto motocicli, sui quali si vedono 4 o 5 persone insieme, sempre senza casco, o carichi spropositati. Nel mondo più avanzato, invece, la moto può essere uno status symbol, il coronamento di una passione, l'amore cieco per uno sport che dovrebbe essere praticato in pista o per finalità turistiche e ricreative. Negli ultimi anni, con l'evoluzione degli scooter, è anche l'unico modo di arrivare in orario in ufficio. Non è necessario tuttavia uno sforzo intellettivo particolare, per comprendere che i trait d'union tra le due facce dello stesso pianeta ci sono eccome: intanto il malcostume dei conducenti di altri veicoli, che nel nostro paese (come in quelli del terzo mondo) rasenta quasi la criminalità, ed in secondo luogo - ma non certo in ordine d'importanza - il totale disinteresse di chi, politici ed enti proprietari delle strade, dovrebbe pensare a garantire livelli minimi di sopravvivenza a coloro che, in sella, abbiano la sventura di scivolare a terra.
C'è un terzo "fantasma" che volteggia crudele attorno al motociclista: è lo spettro di se stesso. È la sua anima nera, che gli impedisce in qualche modo di ragionare.
È quella che il pilota o l'ingarellato suo emulo definisce "la vena" o, più propriamente, "l'arteria": più è chiusa, più apri il gas, più vai forte. Ovviamente, con la pressione aumenta anche il rumore del botto. Pur avendo ottenuto - mezzogiorno d'Italia a parte - ampia condivisione sull'uso del casco, tanto che oggi ci si potrebbe concentrare su altri aspetti della sicurezza, come, ad esempio, abbigliamento adeguato e corsi di guida sicura, la sinistrosità cresce a livelli quasi incontrollabili. Ma mentre sull'incidentalità dei veicoli si interviene duramente, la questione dueruote resta quasi inaffrontata: qualche campagna di sensibilizzazione è stata fatta, ma sembra quasi che non si riesca ad ottenere la giusta risposta da parte della strada. Si allargano semplicemente le braccia, rimandando al futuro sempre meno prossimo le contromisure e non facendo altro che "impestare" le strade - è questo il termine che viene correntemente usato - con autovelox piazzati il più delle volte in tratti di strada a pericolo zero, scelti semmai per la conformazione topografica particolarmente rettilinea. Ad oggi, ci sembra che i miglioramenti od i peggioramenti siano dovuti più alle condizioni meteo che all'impegno delle istituzioni.
Piove? Va bene. C'è il sole? Carneficina.
La situazione italiana
Dedichiamo, a questo argomento, ben poco spazio, frutto dell'elaborazione dell'Asaps. Sappiamo, lo dice l'Istat, che almeno fino al 2006 la sinistrosità complessiva è migliorata. Purtroppo, la disastrosa lentezza con cui i dati vengono raccolti ed elaborati, non ci consente di avere un quadro che possa dirsi "effettivo" della fenomenologia, ed a questo si deve aggiungere che, nonostante le ricerche, nemmeno il testo completo relativamente al 2006 è stato da noi reperito. Possiamo dire, questo sì, che nonostante la spinta impressa dall'UE con la pubblicazione, avvenuta il 13 settembre 2001, del Libro Bianco della Sicurezza Stradale, lo Stivale d'Europa conferma la propria posizione di fanalino di coda, potendo vantare una diminuzione limitata al 19,7%. Abbiamo l'impressione (si tratta di un pensiero condiviso anche da molti dei nostri referenti sul territorio), che soprattutto grazie alla Legge 160/2007, che ha reso più severe alcune sanzioni del Codice, fra cui quelle contro l'abuso di sostanze psicoattive (alcol e droghe), la velocità e l'utilizzo del telefonino senza kit viva voce, ed il divieto di somministrazione degli alcolici dopo le 2 nei locali di pubblico intrattenimento e spettacolo, il futuro potrebbe riservarci una piacevole sorpresa. Dovendo lavorare con i dati di fatto, abbiamo elaborato i numeri complessivi degli incidenti nei fine settimana del 2007: secondo le statistiche della Polizia Stradale e dei Carabinieri, rapportate dall'Asaps con quelle del 2006, abbiamo verificato che il calo degli incidenti è pari all'8,2%, quello dei feriti al 7,4% e quello delle vittime al 9,4%. Nel 2006 i morti nei fine settimana furono 1.902, mentre nel 2007 il dato si ferma a 1.723 . L'analisi è positiva fino a quando non ci troviamo ad esaminare le due ruote: i morti sono aumentati. Erano stati 526 nel 2006, siamo arrivati a 568 nel 2007 (+8%). Si aggiunga che purtroppo, avendo elaborato i numeri forniti settimana per settimana, attinti ogni lunedì mattina, si tratta di una proiezione ottimistica. Chi muore in ospedale dopo il ricovero (si stima un 20-30% delle lesioni gravissime) non rientra nella lista nera.
Cause d'incidente ed effetti: gli altri, la strada. Noi
Gli altri
Il primo consiglio che vorremmo dare a chi si occupa di raccogliere i dati è: distinguete, per piacere, tra scooter e motociclette, e stabiliamo quanti motoveicoli incorrono in eventi infortunistici in ambito urbano, extraurbano ed autostradale. È infatti risaputo che il 76,5% degli incidenti avviene in città e che questi provocano il 44% dei decessi ed il 72,7% dei feriti. Però, l'indice di mortalità è nettamente più alto sulle strade extraurbane (da non confondere con le tratte autostradali), dove si registrano 6,1 decessi ogni 100 incidenti. In città il rapporto è di 1,3 morti ogni 100 incidenti. Non è tutto: le strade extraurbane ad una carreggiata a doppio senso di circolazione - dunque una strada tipicamente battuta dai motociclisti - vantano un indice di mortalità superiore del 63% rispetto alle strade a doppia carreggiata. Persino l'Istat si è accorto di questo analizzando i semplici numeri: queste sono le strade che il motociclista cerca, che rappresentano la meta preferita nelle giornate festive più calde e nei mesi estivi. Ecco: questi archi temporali sono quelli che evidenziano le maggiori letalità. Vogliamo continuare? Luglio è tradizionalmente il mese nero, in Francia come in Italia, in Germania come in Spagna: in Italia, nel 2006, ne sono stati registrati 23.197, nei quali hanno perso la vita 585 persone (febbraio, mese invernale, si è fermato a 15.922 incidenti e 356 decessi ). Il maggior numero di lenzuola bianche viene steso il sabato e la domenica (rispettivamente 991 e 1.004 morti, pari a 17,5 e 17,7%). Ed ecco il nocciolo della questione: i motoveicoli coinvolti in incidenti rappresentano il 21,4% (ciclomotori 8,6% e motocicli 12,8%): 1 veicolo coinvolto in un sinistro su 5, è un veicolo a due ruote e, contrariamente a quanto siamo portati a pensare noi motociclisti, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di eventi autonomi.
Secondo i dati diffusi dall'ACI e riferiti al 2006, il parco veicolare nazionale è in continuo aumento: dal 1997 al 2007 il trend di crescita complessivo è del 25%, ma il dato percentuale riferito ai motocicli è impressionante. Nel 1997 ne circolavano 2.557.356, mentre nel 2007 si è arrivati a 5.579.166 (+118%). Resta il fatto che le moto rappresentano l'11,8% del parco veicoli complessivo (47.131.347).
Le cure contro le patologie moto-correlate, passateci il termine, sono più o meno le stesse di sempre: contrasto alla velocità eccessiva, messa in sicurezza delle strade, campagne informative e tanti, tantissimi controlli.
Chi oggi corre in strada, sa perfettamente che - una volta conosciuta la posizione delle postazioni fisse - il "rischio" di incappare in un controllo di polizia è praticamente inesistente, ed anche se qualche pattuglia si apposta in attesa, basta un lampeggio di "solidarietà" e davanti le passeranno tutti a passo d'uomo.
Un'accurata indagine condotta in Francia dal dipartimento interministeriale della Sécurité Routière ha fornito uno spaccato della sinistrosità motociclistica transalpina: il 33% degli incidenti mortali in moto avviene in maniera autonoma e questo rende il nostro amatissimo veicolo quattro volte più pericoloso di un'automobile.
Durante la circolazione - il dato è tratto dalla tipologia di contravvenzioni elevate - il 3% non indossa il casco e molto spesso l'elmetto non è della taglia giusta o evidenzia uno stato di manutenzione tale da non garantire adeguata protezione. L'analisi a campione dell'equipaggiamento indica anche che molto spesso i motociclisti, soprattutto stranieri, non fanno uso di equipaggiamento salvavita, anche se non obbligatorio: giubbotto, guanti, paraschiena, calzoni o stivali. Quante volte, anche sulle nostre strade, ammiriamo emuli di Valentino in piega, magari in canottiera ed infradito?
Il 14,2% delle vittime è provocato da sorpassi a sinistra, mentre il 10% netto delle lenzuola bianche viene steso sull'asfalto a seguito di tamponamento da parte della due ruote. Ma la ricerca francese indica che il malcostume degli automobilisti provoca altrettante vittime: il 14,9% degli eventi letali è infatti provocato da svolte a sinistra da parte di veicoli leggeri, mentre la mancata precedenza incide per il 14,1%. A questo si aggiungano i contromano e le inversioni di marcia vietate, manovre classificate come "pericolose" e capaci di causare il 3,2% dei morti. Questo studio - che nel nostro paese nessuna istituzione sembra voler realizzare - indica che sulla strada, tra il motociclista e l'automobilista c'è un problema: è vero che una moto è piccola, è difficile da vedere, specialmente quando sopraggiunge a forte velocità.
È proprio in casi come questi, i più frequenti quando lo scontro tra veicoli è letale, che si ingenera nell'automobilista il diritto ad una precedenza di fatto: se un automobilista, dovendo dare la precedenza ad una moto che sopraggiunge percorrendo una strada con tale diritto, vede che il motoveicolo è ad una distanza tale da non potersi prevedere alcuna possibilità di collisione se si effettua l'immissione o l'attraversamento, può iniziare la manovra senza violare alcuna norma.
È un caso sempre meno raro, ricostruito - purtroppo altrettanto spesso - nelle aule di tribunale. Ciò indica soprattutto una cosa: il motociclista deve crescere, deve imparare a comportarsi, ad adeguare i propri comportamenti, a dominare i propri istinti: alcune ricerche hanno dimostrato che il solo rispetto da parte dei centauri del limite di velocità porterebbe alla diminuzione della loro mortalità del 40-50%, mentre se in sella fossimo tutti astemi risparmieremmo il 20% di vittime. Dunque, dovrà innanzitutto imparare a non sovrastimare la propria visibilità.
I fari sempre accesi aiutano, ma in prossimità di incroci è bene rallentare sempre. Per quanto riguarda gli automobilisti, anche nei loro confronti si dovrebbe stimolare una guida meno distratta da quella attuale: oggi sembra che esista solo ciò che scorre loro davanti al parabrezza. Svoltano senza guardare negli specchi, guidano come se ci fosse un solo veicolo al mondo, il loro, ignorano le più comuni regole comportamentali.
La strada
Questo era il fattore puramente umano. Ma la strada può incidere sulla mortalità? Possono la condizione di un'infrastruttura, la presenza di un ostacolo inutile, l'opera di contenimento di una barriera inadeguata, uccidere un poveraccio?
La domanda, lo si capisce, è retorica e la risposta - affermativa - è del tutto scontata. Ci sono buche, asfalti pietosi, brecciolini e detriti portati ad ogni pioggia, segnaletica orizzontale scivolosissima, per non parlare poi dei guardrail. Non è facile dire alla gente che le ghigliottine, le piantane dei guardrail, i pali di tanti cartelli inutili, pietre miliari dell'epoca fascista, muretti insulsi, spigoli vivi in piena via di fuga, non costituiscono alcun illecito.
Capita che l'ente proprietario di una strada venga dichiarato colpevole di un omicidio colposo, per negligenza, per incuria, per omissione.
Il problema vero è che non c'è alcuna norma che obblighi un comune, una provincia, l'Anas o le concessionarie autostradali a sostituire di sana pianta le barriere di contenimento nel frattempo divenute fuori legge. Ciò, perché anche se un certo tipo di rail o jersey non ha più i requisiti, nessuno impone la sua sostituzione.
Si arriva all'assurdo per cui in molte strade si vedono lame di guardrail a norma solo dove qualcuno c'è andato a sbattere: in sostanza, hanno sostituito solo quelle danneggiate facendole pagare all'assicurazione.
Diciamo: "scandaloso". Non possiamo dire "criminale", anche se vorremmo, perché de facto è tutto legale. Si sono studiate, in questi anni, decine di soluzioni: si è dibattuto sulle altezze delle barriere, sulla loro posizione, si sono sperimentate lame e soluzioni alternative. In Spagna, la notizia è di agosto 2008, il governo ha dato il via libera all'istallazione di speciali barriere studiate ad hoc per i motociclisti: entro il 2012 ne dovranno essere munite almeno 11mila chilometri di strade, mettendo in sicurezza 1.625 punti di "rischio potenziale" o nei quali sia stata rilevata una "acumulación" di incidenti. Il piano prevede che una prima tranche di arterie appartenenti alla "Red de Carreteras del Estado" beneficerà di 626 milioni di euro stanziati esclusivamente per le barriere: 475 milioni serviranno ad acquistarne di nuove, 86 saranno invece destinati all'adeguamento di quelle già esistenti, mentre 65 milioni andranno al 2° Piano di Protezione dei Motociclisti.
In Norvegia, ma potremmo citare esperienze analoghe in molti altri paesi, due ingegneri dell'Autorità Stradale Regionale della contea di Telemark - i loro nomi sono Jan Petter Lyng e Bjørn R. Kirste - hanno ottenuto di realizzare un loro esclusivo progetto: 15 km di strada, la RV 32, nei quali i guardrail sono stati protetti con bande inferiori, sono state create vie di fuga e sono stati riposizionati i cartelli, allontanandoli dalla sede stradale, mentre tutta la vegetazione in grado di impedire visibilità è stata potata.
Un intervento che ha portato maggior sicurezza in tutte le categorie di utenti, dai pedoni ai ciclisti, dagli automobilisti ai trasportatori. Il tutto per la somma di 630mila euro. Molto meno di quanto costi una vittima della strada alla società.
Ma ci rendiamo conto? In Italia non riusciamo a tappare le buche, a mettere in sicurezza un attraversamento pedonale, a far rispettare obblighi, limitazioni e divieti; siamo l'unico paese del mondo occidentale nel quale un pedone sulle strisce induce accelerazione nel veicolo che sopraggiunge. In Portogallo sono accorgimenti obbligatori: non c'è da stupirsi se poi quello che una volta era il paese fanalino di coda europeo, oggi è ai vertici della sicurezza.
Per fortuna l'Europa ci ha messo una pezza: una risoluzione, approvata nel giugno, stabilisce che le omologazioni delle barriere dovranno tener conto dei motociclisti: il Comitato Europeo per la Normalizzazione (CEN) è infatti intervenuto sulla norma d'omologazione dei guardrail, la famigerata EN- 1317, prevedendo, con la Risoluzione 319, che nei crashtest si debbano tenere in debita considerazione le conseguenze per il motociclista.
Oggi, purtroppo, nei laboratori si fanno esperimenti con qualsiasi tipo di veicolo: manca solo che un manichino antropometrico si schianti su una barriera sperimentale al volante di una "Rover Lunare", il veicolo usato nella missione Apollo 15, ed il quadro è completo. Ma, finora, mai con la moto.
La Risoluzione 319, invece, aggiunge al protocollo una serie di norme che formeranno "uno standard europeo mirato a ridurre le conseguenze d'impatto per i motociclisti, tenendo in considerazione le differenti norme nazionali e le tecnologie attualmente a disposizione. Lo schema di procedura sarà completato entro il 2009 e diventerà operativo nel corso dell'anno successivo.
Tuttavia per l'Italia, potrebbe non cambiare molto, se qualcuno a Roma non si deciderà ad imporre la messa a norma di tutte le strade del paese. A nostro modesto parere, bisognerebbe arrivare finalmente a considerare il motociclista un "utente debole" della strada. Magari non lo si vuole riconoscere perché, come sostengono gli esperti dell'ETSC, è acclarata la sua potenzialità di coinvolgere nel rischio anche utenti deboli quali i pedoni ed i ciclisti. È vero: la conduzione di un motoveicolo avviene in condizioni di forte protezione, grazie ai caschi ed all'abbigliamento tecnico. Però il veicolo non garantisce loro alcuna sicurezza passiva: non ci sono cinture di sicurezza, non ci sono air bag nello chassis e solo i modelli più costosi garantiscono ABS o ESP.
E poi c'è la velocità alla quale si muovono, che li espone inesorabilmente a tutti i rischi del traffico motorizzato ed al contesto che sembra fatto per tutti ad eccezione di loro.
Siamo utenti deboli. Come un paguro che se ne va a spasso sul fondale senza il suo guscio. Due passi, forse tre. Poi è morto.
Noi
Partiamo per un lungo giro in 8 motociclisti: attacchiamo la SP8 da Calenzano (Firenze) ed attraversiamo tutto il Mugello fino a Dicomano. Qui scendiamo verso Firenze e poi saliamo la SS.556 che si inerpica verso il valico di Croce ai Mori (955 metri s.l.m.) che conduce a Poppi (Arezzo). Saliamo verso il passo della Calla (1.256 metri dʼaltezza) e qui facciamo la prima sosta.
Lo devo dire? L'andatura, come sempre, è partita regolare. Scendendo verso il valico di Canaglia, dopo una quarantina di chilometri percorsi, il gruppo degli otto variegati stalloni d'acciaio si era un po' sgranato, ma a ricompattarci ed a ridurre l'andatura da "simpatica" a sicura ci ha pensato un ragazzo sdraiato in terra.
Andava forte, parecchio, e dopo una curva si è schiantato su una Panda che svoltava a sinistra. Non ci fermiamo, perché c'è già troppa gente e la sirena dell'ambulanza ci fa venire la voglia di continuare la nostra passeggiata. Qualche chilometro dopo, il "Cava" mi sorpassa e poi piega da far paura, con la pedalina che striscia l'asfalto. Tocca a me superare il "Mukko" e poi il "Pennino", prima di una sosta.
Panino, coca cola (la birra ed il vino li lasciamo agli sconsiderati, almeno quando guidiamo) e via verso Premilcuore (Forlì Cesena), attraverso uno sterrato nel quale io ed il "Piddu" ci dedichiamo a gustose derapate senza far male a nessuno. Solo "Gasolio" si lamenta della strada bianca. Vuole l'asfalto col grip migliore di tutto l'Appennino e viene subito accontentato: la SS9 Ter è la più bella.
Ecco, questi siamo "noi": alcuni con le moto carenate, altri con le naked, un paio con le motard e poi io, "Gasse", con la maxi enduro. Una compagnia che da anni si sbizzarrisce senza esagerare.
Ma che vuol dire "esagerare"?
Significa violare semplicemente il limite di velocità? Vi rimando a Kipling e a quella sottile linea rossa che, secondo lui, separa la lucidità dalla follia.
Lorenzo Borselli
Sovrintendente della Polizia Stradale e caporedattore de "Il Centauro" e del sito ASAPS