La storia, nota e meno nota, dei motori V4 Ducati

La storia, nota e meno nota, dei motori V4 Ducati
Il recentissimo Desmosedici Stradale non è il primo dei quattro cilindri a V realizzati da Ducati. Il primo fu pensato da Fabio Taglioni
27 ottobre 2017

Il Desmosedici Stradale (di cui abbiamo scritto qui qualche giorno fa un'analisi) non è il primo motore con quattro cilindri a V di 90° realizzato dalla Ducati.
Se escludiamo quelli della MotoGP e della Desmosedici Race Replica, ce ne sono stati altri tre, rimasti tutti allo stadio di prototipo. E un altro era stato pensato dall’ing. Fabio Taglioni prima ancora di arrivare a Borgo Panigale. Si trattava di un 250 da competizione con architettura a L, scelta perché offriva una ottima equilibratura e al tempo stesso consentiva un agevole raffreddamento dei cilindri posteriori, che potevano essere investiti abbastanza liberamente dall’aria.
All’epoca quasi nessuno pensava infatti alla refrigerazione ad acqua. Solo la Guzzi l’aveva adottata sul suo sfortunato quadricilindrico in linea longitudinale e sullo straordinario V8, entrambi motori da Gran Premio di 500 cm3.

La prima Ducati bicilindrica (in linea) è stata la 125 da competizione che ha esordito nel 1958 e, a quanto mi disse a suo tempo lo stesso ing. Taglioni, il progetto del motore discendeva appunto da quello del 250 quadricilindrico a L, privato dei due cilindri anteriori.


 

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Nei primi anni Sessanta gli USA erano diventati di straordinaria importanza per la Ducati, grazie alla grande intraprendenza e alla ottima rete dell’importatore Berliner. Nel 1961 questo abile commerciante, che di moto se ne intendeva davvero, chiese alla casa bolognese di realizzare un modello di grossa cilindrata di impostazione moderna e in grado di fornire prestazioni superiori a quelle delle Harley-Davidson dell’epoca. L’obiettivo era quello di conquistare una buona fetta del mercato nordamericano e di proporre ai corpi di polizia una moto notevolmente più performante di quelle che avevano in dotazione.

Taglioni si mise al lavoro con notevole entusiasmo, anche se si trattava di un modello pacifico e non destinato a impiego particolarmente brillante, come quelli che piacevano a lui. I cavalli ci sarebbero stati comunque... Niente alberi a camme in testa, ma una più semplice distribuzione ad aste e bilancieri. E, naturalmente, quattro cilindri a L.
La richiesta dell’importatore si trasformò rapidamente in una vera joint venture con l’azienda di Borgo Panigale, che portò alla nascita di una moto imponente, ma confortevole e in grado di raggiungere velocità molto elevate, per quegli anni. Il motore aveva una cilindrata di 1260 cm3, ottenuta con un alesaggio di 84,5 mm e una corsa di 56 mm. La moto venne provata a lungo nel 1964 e fu presentata a Berliner (che venne appositamente a Bologna). Dei due prototipi costruiti uno venne portato negli USA per test e dimostrazioni. Il progetto venne infine cancellato anche perché la direzione del gruppo industriale del quale faceva parte la Ducati ritenne il progetto troppo impegnativo e eccessivamente costoso da industrializzare.

 

Vista laterale del manichino (in parte in metallo e in parte in legno) del V4 raffreddato ad acqua progettato da Taglioni attorno al 1976. La distribuzione monoalbero, con valvole parallele, era comandata per mezzo di due cinghie dentate
Vista laterale del manichino (in parte in metallo e in parte in legno) del V4 raffreddato ad acqua progettato da Taglioni attorno al 1976. La distribuzione monoalbero, con valvole parallele, era comandata per mezzo di due cinghie dentate

 

Per molti anni di motori V4 alla Ducati non si è parlato più. E anche in giro, per la verità (l’unica eccezione è stata la CZ 350 da Gran Premio raffreddata ad aria realizzata nel 1968 e impiegata nel mondiale, abbastanza sporadicamente, fino al 1972).
L’ing. Taglioni però non ha mai smesso di apprezzare questo schema costruttivo e attorno al 1976 ha progettato un inedito quadricilindrico a V di 90° (ma non ad L) dotato di raffreddamento ad acqua e di distribuzione monoalbero comandata mediante cinghie dentate. Le valvole erano parallele, ossia giacevano tutte sullo stesso piano. Questo motore, evidentemente destinato a modelli di impostazione granturistica, avrebbe dovuto essere realizzato in due versioni, rispettivamente di 750 e di 1000 cm3. Il progetto era ambizioso ma anche in questo caso non si è usciti dallo stadio di prototipo. Anzi, non si è neanche arrivati alle prove al banco. Quello fotografato è un simulacro in parte metallico e in parte in legno.

 

Molto più avanti come sviluppo è arrivato il cosiddetto “Bipantah”. Questo nome era davvero appropriato perché si trattava in buona misura di una vera e propria unione di due bicilindrici di 500 cm3 con distribuzione monoalbero. La parentela col modello Pantah è evidente, come mostrano le due foto allegate. Diverse soluzioni impiegate erano però diverse.

Questo quadricilindrico a L è stato lungamente provato al banco fornendo prestazioni molto interessanti. La cilindrata era di 1000 cm3 ma le misure di alesaggio e corsa erano leggermente diverse da quelle del Pantah 500. L’albero a gomiti forgiato in un sol pezzo lavorava interamente su bronzine
Questo quadricilindrico a L è stato lungamente provato al banco fornendo prestazioni molto interessanti. La cilindrata era di 1000 cm3 ma le misure di alesaggio e corsa erano leggermente diverse da quelle del Pantah 500. L’albero a gomiti forgiato in un sol pezzo lavorava interamente su bronzine

Questo quadricilindrico a V di 90° è stato disegnato nel 1981, anche se l’idea Taglioni l’aveva avuta un paio di anni prima. Tra le particolarità tecniche di maggiore interesse spiccava il raffreddamento misto aria-olio. Le cinghie dentate che comandavano i due alberi a camme (uno per ogni bancata di cilindri) erano poste sul lato sinistro, al contrario di quanto avveniva nel bicilindrico. L’albero a gomiti monolitico lavorava interamente su bronzine.

Per contenere gli ingombri verticale e longitudinale, il tecnico romagnolo aveva abbandonato le classiche misure che da sempre impiegava per i suoi cilindri di 250 cm3, ossia 74 x 57,8 mm, portando l’alesaggio a 78 mm e la corsa a 52. Alla ruota, in versione stradale regolarmente silenziata, questo motore forniva 105 CV a 9500 giri/min, che salivano a oltre 130 a circa 11000 giri/min impiegando alberi a camme da corsa e scarichi liberi. Davvero niente male per l’epoca.
La delicata situazione economica che stava attraversando la Ducati (controllata dalla VM) ha fatto sì che questo interessante progetto venisse cancellato sul finire del 1982.

Prima di concludere questa rapida sintesi, giova ricordare che la casa di Borgo Panigale nel corso della sua storia ha anche realizzato un bel quadricilindrico in linea. Si tratta di quello della 125 da Gran Premio del 1965. Non c’entra invece nulla con la Ducati la Mototrans 250 a 4 cilindri (il progetto era dell’ing. Savelli), della quale ci siamo già occupati.

 

 

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