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La potenza che un motore può erogare, ferma restando la cilindrata, è legata al regime di rotazione e alla “vigoria” delle singole fasi utili. Quest’ultima è quella che i tecnici chiamano pressione media effettiva (PME) e dipende, per un dato carburante e per un dato rapporto di miscela, dai tre rendimenti: volumetrico, termico e meccanico. Perché sia elevata, a ogni fase di aspirazione in ciascun cilindro deve entrare la maggior massa possibile di carica (miscela aria-carburante), la quale deve poi essere bruciata in maniera completa, in modo da liberare la maggior quantità possibile di calore, che deve quindi essere convertito in energia meccanica con la massima efficacia. Tale energia, “raccolta” dai pistoni, deve inoltre essere inviata alla trasmissione limitando al minimo le perdite per attrito (pure quelle per pompaggio devono essere minimizzate). Insomma, il motore deve respirare bene, avere la massima efficienza come trasformatore di energia e avere al suo interno perdite meccaniche ridotte.
La PME può essere definita come quella pressione media costante che, se agisse sul pistone durante la fase di espansione, farebbe erogare al motore la coppia che esso effettivamente produce (e quindi la potenza che esso fornisce a quel determinato regime).
All’interno del cilindro però la pressione varia continuamente; di conseguenza la PME non è reale ma puramente teorica. Non si può misurare ma si calcola. Ed è utilissima per valutare il grado di “sfruttamento” del motore (ci dice insomma quanto è spinto), per effettuare confronti tra motori diversi e per valutare le sollecitazioni in gioco, oltre che per effettuare importanti calcoli. Il concetto diventa assai più digeribile anche da chi è poco preparato in campo tecnico se si pensa che in effetti la PME corrisponde alla coppia specifica del motore. Ossia ai newton metri per litro di cilindrata. Si tenga presente, qui, che una coppia divisa per un volume (la cilindrata, in questo caso) ha appunto le dimensioni fisiche di una pressione. Di norma quella alla quale si fa riferimento (ossia che viene calcolata o comunicata) è la PME del motore al regime di potenza massima.
Nei motori aspirati la PME non può andare oltre un certo valore, mentre in quelli sovralimentati può essere aumentata in misura impressionante. Nelle auto da corsa, prima che i regolamenti ponessero dei limiti, le pressioni di sovralimentazione venivano addirittura aumentate fino a portare la PME ai massimi valori che il motore poteva sopportare senza incappare in catastrofici cedimenti dovuti alle eccessive sollecitazioni termiche e/o meccaniche! Senza dimenticare che nei motori a ciclo Otto bisogna fare i conti con la detonazione…
Basta applicare al motore un compressore col quale immettere a forza nei cilindri a ogni ciclo una quantità di miscela aria-carburante superiore a quella che il motore stesso potrebbe aspirare da sé per avere una PME più alta: le singole fasi utili sono più vigorose e quindi, a pari velocità di rotazione, la potenza erogata è maggiore!
A differenza di quelli delle auto, i motori motociclistici sono tutti aspirati. Tra quelli costruiti in serie, l’unico ad avere un compressore è quello della Kawasaki H2. Le moto più sportive raggiungono potenze specifiche elevatissime, e lo fanno non solo perché respirano bene ma, in misura maggiore, perché girano molto forte!
I 1000 a quattro cilindri delle stradali più performanti oggi dispongono di circa 200 cavalli. La Kawasaki ha pensato di affiancare alla sua ultrasportiva ZX-10R con motore aspirato un modello di eguale cilindrata (dotato delle stesse misure di alesaggio e corsa) in grado di fornire una potenza analoga grazie alla sovralimentazione e ha optato per un compressore centrifugo a comando meccanico.
Nel caso specifico il compressore sovralimenta vigorosamente il motore alle alte velocità di rotazione e consente in tal modo di ottenere la potenza desiderata. Ciò avviene però a un regime che, per quanto elevato, è comunque inferiore a quello al quale deve ruotare il motore aspirato per fornire (più o meno) lo stesso numero di cavalli. Poco importa qui se i compressori centrifughi per fornire pressioni di sovralimentazione cospicue devono girare molto forte: al tiro ai medi nel caso della H2 provvedono gli alberi a camme, dotati di profili notevolmente più tranquilli di quelli impiegati nel motore della ZX-10R.
Qualche numero consente di valutare chiaramente le differenze esistenti tra il 1000 aspirato e quello sovralimentato della Kawasaki. Il primo eroga la potenza massima a 13.000 giri/min, mentre il secondo la fornisce a 11.000. Nel motore della H2 la pressione media effettiva è sensibilmente più alta: 16 bar contro i 13,6 bar della ZX-10R, e questo spiega perché si ottenga una analoga cavalleria con regimi di rotazione così diversi.
La velocità media del pistone al regime di massima potenza è rispettivamente di 23,8 metri al secondo nell’aspirato e di 20,1 nel motore sovralimentato. Assai netta è la differenza tra i rapporti di compressione: quello della ZX-10R è 13:1 mentre quello della H2 è soltanto 8,5:1.
Impressionanti sono i numeri relativi alla H2R, per la quale vengono dichiarati ben 310 cavalli a 14.000 giri/min (326 cv con il sistema Ram Air in pressione). Qui tanto le sollecitazioni meccaniche quanto quelle termiche sono elevatissime, come testimoniato da una velocità media del pistone di 25,6 m/s, da una PME di 19,5 bar e da una potenza specifica areale di ben 1,71 cavalli per centimetro quadrato di superficie dei pistoni.