La Tecnica di ZX-10R e R1M: lo stato dell’arte

La Tecnica di ZX-10R e R1M: lo stato dell’arte
Due moto straordinarie che rappresentano al meglio la raffinata tecnica delle attuali ultrasportive
20 luglio 2016

Quattro cilindri in linea, distribuzione bialbero a sedici valvole, 200 cavalli dichiarati per due realizzazioni di analoga architettura complessiva ma con varie importanti differenze, a cominciare dalle misure caratteristiche.
Il motore della Yamaha ha un alesaggio maggiore e una corsa minore, il che gli consente di impiegare valvole più grandi e di girare leggermente più forte rispetto al Kawasaki (il regime di potenza massima è di 13.500 giri/min contro 13.000), pur con una velocità media del pistone lievemente inferiore (22,9 metri al secondo contro 23,8). La potenza erogata è però analoga e questo grazie al fatto che nel quadricilindrico della ZX-R le singole fasi utili sono più “vigorose”; in termini tecnici, la pressione media effettiva è più elevata (13,6 bar contro 13,1; si tratta di valori impressionanti per dei motori di serie).

Siamo di fronte a due autentici “mostri”, che perfettamente in regola in quanto a emissioni acustiche e di scarico, forniscono una potenza impressionante; le migliori superbike a quattro cilindri di 750 cm3 che correvano nel mondiale a metà anni Novanta arrivavano giusto a 200 cavalli/litro, e questo con una cilindrata unitaria minore e con scarico e aspirazione liberi…

 

Soluzioni e materiali al top

Tra le differenze tecniche più evidenti, vi è l’impiego di bilancieri a dito (con riporto DLC, utilizzato anche sugli spinotti) da parte della Yamaha, che segue quindi la strada indicata dalla BMW con la S 1000 RR adottando questa soluzione tipica dei motori di Formula Uno. La R1, che dispone di trombette di aspirazione di lunghezza variabile e di una valvola exup allo scarico, ha valvole di aspirazione (in titanio) da 33 mm e di scarico da 26,5 mm; nella ZX-R (che ha tutte le valvole in titanio e i condotti accuratamente levigati) queste misure sono rispettivamente 31 e 25,5 mm.

I pistoni sono forgiati in entrambi i casi; quelli della moto di Iwata hanno una struttura “bridged box”, con nervature all’esterno delle portate per lo spinotto e ponticelli di irrigidimento interni, che collegano le pareti laterali. La Kawasaki ha cambiato lega di alluminio per i suoi pistoni, di altezza straordinariamente ridotta (è meno del 50% del diametro); presumibilmente è passata da una lega al silicio a una al rame, come la 2618 usualmente impiegata per questi componenti, se destinati ai motori da competizione.
La cosa appare logica, dato che la potenza specifica areale raggiunge un autentico valore record per un motore di serie: ben 1,10 CV per ogni centimetro quadrato di superficie dei pistoni! Si tratta di un valore analogo a quello di un V10 aspirato da 3000 cm3 di Formula Uno del 2000-2001 erogante 800 cavalli a un regime dell’ordine di 17500 giri/min…

Entrambe le moto hanno un equilibratore dinamico per ridurre le vibrazioni generate dalle forze d’inerzia del secondo ordine (che nei quadricilindrici in linea non sono bilanciate); quello della Kawasaki è a massa singola, come usuale, mentre quello della Yamaha è costituito da due masse eccentriche poste alle due estremità di un alberello ausiliario collocato nella parte anteriore del basamento.


 

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La Yamaha R1 ha l’albero a gomiti con manovelle disposte su due piani a 90°. Le bielle sono in lega di titanio, come quelle delle MotoGP e delle Formula Uno
La Yamaha R1 ha l’albero a gomiti con manovelle disposte su due piani a 90°. Le bielle sono in lega di titanio, come quelle delle MotoGP e delle Formula Uno

Nel motore della casa di Iwata spiccano le bielle in lega di titanio, tipicamente riservate alle realizzazioni da competizione, e l’albero “crossplane”, con manovelle disposte su due piani a 90°. Le fasi utili (che nei quadricilindrici in linea tradizionali si susseguono ogni 180°) sono distanziate quindi di 270°… 180°…90°…180°. Entrambi i motori hanno la bancata dei cilindri disassata e un albero a gomiti con inerzia sensibilmente ridotta rispetto al modello precedente.
In quello della ZX-R vengono impiegate bronzine con un nuovo materiale antifrizione e le pareti che separano le canne contigue hanno visto il loro spessore passare da 5 a 6 mm, a vantaggio della rigidezza strutturale.

 

Ciclistica regolabile

Per quanto riguarda la parte ciclistica, una prima analisi delle misure più importanti conferma il fatto che in questo settore non esistono “formule magiche”; i parametri in gioco sono tanti e quote differenti possono talvolta portare a risultati analoghi. La Kawasaki ha un interasse maggiore, un cannotto di sterzo più inclinato e una avancorsa superiore, rispetto alla Yamaha. Questi freddi numeri potrebbero far pensare che quest’ultima sia più agile e nervosa e che la rivale sia più stabile. Ma occorre anche fare i conti con la distribuzione dei pesi, la posizione del baricentro, le caratteristiche complessive del telaio, la funzionalità delle sospensioni…

Tutte e due le moto impiegano una forcella con canne da 43 mm di diametro. La Showa della Kawasaki è innovativa in quanto dotata di un serbatoio esterno (Damping Force Chamber) contenente azoto in pressione. Lo smorzamento idraulico in compressione e in estensione viene così effettuato al di fuori dello stelo.
Pure le sospensioni posteriori monoammortizzatore sono realizzate secondo i più avanzati orientamenti tecnici nel settore. I telai a doppia trave sono costituiti da più sezioni in lega di alluminio, ottenute per fusione in conchiglia e quindi saldate.
La ZX-R è dotata di un ammortizzatore di sterzo il cui intervento è gestito elettronicamente.
La R1 è dotata di un telaietto posteriore in lega di magnesio.

In quanto ai freni, gli schemi sono identici, ma la Kawasaki, che all’avantreno adotta una pompa radiale e due pinze monoblocco Brembo, impiega dischi di diametro leggermente maggiore (330 contro 320 mm).
Anche la Yamaha utilizza pinze monoblocco ad attacco radiale, nelle quali però i cilindri sono ottenuti mediante una lavorazione meno sofisticata, costituita da foratura passante e successiva chiusura con tappi filettati. Sulla R1 spiccano le ruote in lega di magnesio.


 

Il kit Kawasaki
Il kit Kawasaki

Molto interessanti le possibilità offerte dalla Kawasaki con il suo kit di preparazione per impiego agonistico, che prevede bussole eccentriche per la regolazione dell’avancorsa e della inclinazione dell’asse di sterzo e offre anche la possibilità di spostare in senso verticale, su due posizioni (oltre a quella originale), il fulcro del forcellone oscillante.

 

Elettronica per gestire la potenza

Come era logico attendersi, l’elettronica è straordinariamente evoluta; impiega infatti soluzioni che fino a poco tempo fa erano esclusive delle MotoGP. Le possibilità di regolazione sono semplicemente straordinarie. Si va dalla gestione della erogazione da parte del motore al controllo di trazione che tiene conto anche di quanto è inclinata la moto e dell’entità di un eventuale slittamento laterale della ruota motrice. La centralina agisce sulla fasatura di accensione, sulla dosatura della miscela aria/carburante e sul grado di apertura delle valvole del gas.

Entrambe le moto sono dotate di una piattaforma inerziale a sei assi che informa la centralina di gestione in merito alla accelerazione longitudinale (frenata, accelerazione), a quella trasversale e a quella verticale, oltre che all’entità del rollio, del beccheggio e della imbardata. In questo modo la centralina stessa sa esattamente cosa sta facendo la moto in qualunque situazione. Oltre al controllo di trazione le moto dispongono di un launch control che consente di partire con la manopola del gas spalancata (regola il regime del motore evitando che possa risultare troppo elevato e impedisce il “pattinamento” della ruota motrice e le impennate), un sistema antibloccaggio delle ruote in frenata e via dicendo. Really impressive.