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Ognuno di noi ha i suoi sogni motociclistici nel cassetto – quante volte avrete parlato con gli amici di un garage virtuale, in cui riunire tutte le moto che vi hanno fatto (e vi fanno ancora) sognare, magari discutendo perché voi ci vorreste a tutti i costi quella Yamaha lì, mentre il vostro amico sostiene che non capite un accidente perché al suo posto ci dovrebbe stare quella Ducati là?
Abbiamo pensato di proporvi il nostro garage virtuale (certi che gran parte di voi contesteranno le nostre scelte, ma è il bello di questi servizi!), che allestiremmo se… vincessimo una bella cifra alla lotteria. Non una cifra di quelle che cambia la vita, ma che consente di togliersi qualche sfizio.
Per questo motivo abbiamo preso in considerazione modelli pregiati ma ancora relativamente reperibili sul mercato, e soprattutto a prezzi che non costringano ad ipotecare la casa, e limitate a due decenni – gli anni 80 e 90 – in cui del resto si sono concentrate tantissime delle moto più significative della storia. Andiamo a vedere cosa abbiamo scelto. Naturalmente in ordine alfabetico…
E’ nato tutto da lei. Senza quella prima BMW R 80 G/S non esisterebbe l’attuale 1200, ma soprattutto forse le maxienduro di oggi – ammesso che oggi comunque esistessero – sarebbero molto diverse da quelle che vediamo invece sulle strade di tutti i giorni. Nata quasi per caso, grazie all’intuizione dei tecnici BMW e alle gesta sportive di personaggi come il mitico Herbert Scheck e Laslo Perez, la prima Gelande/Strasse (leggi "fuoristrada/strada") è diventata immediatamente leggenda grazie alla Paris-Dakar, il rally nascente che ha consacrato il mito della BMW boxer e di Gaston Rahier ,che per due volte la fece arrivare per prima sulle sponde del celebre lago (salato) rosa senegalese.
La versione Paris-Dakar, con il suo serbatoio maggiorato nell’inconfondibile livrea BMW Motorsport e l’autografo di Gastonnette, è l’epitome della prima generazione della G/S. Ed è quella che nessun motociclista, anche quelli che detestano le bicilindriche della casa bavarese, o non concepiscono moto senza semimanubri corti e spioventi, può permettersi di non avere in un garage da sogno.
E’ la massima espressione della moto che ha definito gli anni 90, prima che 996 e 998 ne “contaminassero” il nome ed in parte l’estetica. Poche moto come la Ducati 916 SPS hanno popolato l’immaginario collettivo dei motociclisti sportivi, perché a parte qualche irriducibile detrattore filonipponico, quasi tutti ne hanno riconosciuto il valore di zenit delle moto sportive della seconda metà degli anni 90.
Dopo sono venute altre Ducati a sostituirla, e la concorrenza giapponese l’ha costretta all’aumento di cubatura per sfruttare appieno anche nel modello di serie (la racing era da tempo ben più “cilindrata”) il vantaggio concesso dal regolamento Superbike. Ma è stata la base di quattro dei cinque titoli conquistati dalla Ducati di Tamburini, e pochi modelli come la 916 possono vantare l’impatto che questa moto ha avuto sugli anni 90. E la SPS del 1998, con i quaranta e passa milioni di lire che costava, è la “più 916” di tutte…
Forse non c’è nemmeno bisogno che vi spieghiamo il perché abbiamo incluso la Honda RC30 in questo garage perfetto: se c’è una moto che metterà d’accordo tutti in questa nostra rassegna è sicuramente la V4 della Casa di Tokyo. Quando è arrivata, ai saloni autunnali del 1987 come modello 1988, ha dato origine ad un vero e proprio segmento, quello delle Homologation Specials. Nata solo ed esclusivamente per correre, serviva da base per i team di tutto il mondo impegnati nei campionati per derivate di serie.
Veniva assemblata a mano negli stabilimenti dell’HRC, e per usare un espressione colloquiale era “avanti quindici anni” rispetto alla concorrenza. Ha fatto la fortuna di tanti piloti, perché fino al 1994 – quando è arrivata la RC 45, che non ha avuto né lo stesso fascino né lo stesso successo, nonostante fosse altrettanto sofisticata e a modo suo rivoluzionaria – ha permesso a tantissimi di correre spendendo cifre relativamente umane, perché non si rompeva mai e continuava ad andare forte.
Ancora adesso si guiderebbe bene, e siamo convinti che direbbe ancora la sua anche in pista, se non fosse per quel maledetto cerchio posteriore da diciotto pollici che limita la scelta di gomme. Curiosità: è stata la prima moto targata a montare la frizione antisaltellamento.
Se si attribuisce quasi universalmente il primato del concetto di UJC (Universal Japanese Motorcycle, ovvero lo schema tecnico portato avanti dalle case del Sol Levante dal 1967 ad oggi con un quattro cilindri in linea montato trasversalmente nel telaio) alla Honda CB 750 Four, pochi si azzardano a negare alla Kawasaki GPz 900R il titolo di prima supersportiva moderna della storia (perlomeno a quattro cilindri) .
Potentissima con i suoi 115 cavalli, è stata la moto che dopo decenni di stasi ha fatto crollare record velocistici ritenuti intoccabili: con il suo quadricilindrico in linea a sedici valvole raffreddato a liquido (il primo mai montato su una moto di serie) è stata la prima moto ad infrangere la barriera dei 240 km/h effettivi, ed anche ciclisticamente ha rappresentato un netto balzo in avanti. Non a caso, la GPz ha conquistato al debutto una storica doppietta al Tourist Trophy.
Carisma ed importanza della GPz sono risultati tali che, anche con l’arrivo delle eredi, dalla GPz 1000RX, ZX-10R e poi ZZ-R 1100, è rimasta a listino, costantemente aggiornata, fino al 1993 in Europa. In Giappone, però, Kawasaki ha continuato a produrla fino al 2003, ma con cerchi da 17 pollici. Il nostro garage virtuale non potrebbe mai essere completo senza una GPz 900R della prima serie, con i cerchi da 16" davanti e 18” dietro, per importanza e valore storico.
Gli anni 90 sono stati una vera e propria età d’oro per le supersportive, ma soprattutto, se si pensa alle sole giapponesi, è impossibile sottovalutare la Yamaha YZF-R1 del 1998. Presentata al salone di Milano assieme a un capolavoro come la MV Agusta F4 750 e ad un modello importantissimo come la bicilindrica Aprilia RSV Mille, fece scalpore come nessuna giapponese era stata capace di fare dai tempi della Fireblade, dividendo attenzioni e gusti del pubblico.
Affilatissima, leggera e potente – è stata la prima a vantare un rapporto peso/potenza di 1:1, pur con un certo ottimismo nel valore dichiarato per la cavalleria – era molto impegnativa nella guida sportiva, ma la cosa non frenò il suo successo. Anzi, contribuì ad aumentare il fascino di una moto estrema nella sua sportività, che richiedeva piloti veri per trarne il meglio nella guida in pista. Su strada si rischiava tanto anche solo a solleticarne il potenziale.
E’ la più economica della nostra rassegna, ma è facile che lo resti per poco – fra poco sarà pronta per entrare nel registro storico FMI, e pur in assenza, al momento, di agevolazioni fiscali, le quotazioni saliranno inevitabilmente. Ben gommata, è ancora attuale e divertentissima da guidare.
Non potevamo lasciarla fuori dal nostro garage da sogno: quando è apparsa all'IFMA di Colonia, nel 1980, la Suzuki Katana (o GSX 1100S - affiancata alla gemella da 750 cc - nella nomenclatura ufficiale della Casa di Hamamatsu) ha fatto invecchiare di colpo tutto il resto. Disegnata dal tedesco Hans Muth di Target Design, la Katana era – almeno stando a Suzuki – la moto di serie più veloce del mondo.
Lo rimase per poco, perché di lì a breve arrivò la già citata Kawasaki GPz 900R ad inaugurare la vorticosa corsa alle superprestazioni degli anni 80, ma la sua linea – che evolvette poi nei concept Falcorustyco e Nuda di metà decennio – è a tuttora considerata uno dei migliori esempi di design funzionale della storia. Non potete farne a meno, soprattutto ora che Suzuki sta per rispolverarne nome e (in parte) estetica…magari riproponendo in chiave aggiornata l'ambizioso progetto Strathosfere 1100 a 6 cilindri, presentato al Tokio Motor Show nel 2005 e confermato nel 2007 come prossimo alla produzione. Cosa, come sappiamo, mai successa.