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Le MV Agusta, le Gilera e le Benelli non sono state le uniche moto da competizione a quattro cilindri costruite in Italia negli anni d’oro.
Ce ne è stata un’altra, che però non ha mai corso. Si tratta della Ducati 125 bialbero, la cui origine risale addirittura a un progetto tracciato dall’ing. Fabio Taglioni sul finire degli anni Cinquanta.
Il primo motore, a due valvole per cilindro, è stato messo al banco nella primavera del 1965 e la moto completa è stata provata a Modena da Franco Farnè. Pare che la potenza fosse dell’ordine di 23 cavalli a 14.000 giri/min. Il motore aveva misure caratteristiche pressoché quadre, con un alesaggio di 34,2 mm e una corsa di 34 mm. Le valvole, richiamate da molle a elica, giacevano su due piani inclinati tra loro di 90°.
I due alberi a camme venivano comandati da una cascata di ingranaggi piazzata sulla sinistra. Internamente alle canne dei cilindri erano alloggiati pistoni forgiati con cielo fortemente bombato. L’albero a gomiti composito poggiava su cinque supporti di banco e lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento. La trasmissione a ingranaggi era posta sulla sinistra, come in tutte le Ducati dell’epoca, e la lubrificazione era a carter umido. Il cambio era a otto marce.
Nell’inverno del 1965-66 è stata realizzata una nuova testa a quattro valvole per cilindro e la potenza è cresciuta di circa un cavallo a un regime di rotazione leggermente superiore ai 15000 giri/min. Ormai però la direzione generale dell’azienda aveva deciso di cancellare il programma di sviluppo e ogni attività agonistica diretta.
La moto oggi fa parte della collezione Morbidelli (che di recente è stata purtroppo messa in vendita). La sua storia è singolare. La 125 a quattro cilindri dopo il 1966 è stata vista allo stand della casa bolognese in alcuni saloni come motivo di attrazione ed esempio di tecnologia. La Ducati produceva anche motori per impiego industriale e agricolo e per pubblicizzare questa sua attività a un certo punto ha portato la 125 in una fiera agricola in URSS, dalla quale non è più stato possibile riportarla in Italia per insorte “ragioni burocratiche”.
In seguito è andata a finire in un museo a Riga. Da lì negli anni Novanta John Surtees ha fatto uscire il motore, per cederlo in seguito a Giancarlo Morbidelli. Per quanto riguarda la ciclistica, trovare la forcella Ceriani e i freni Oldani è stato facile. Davvero difficoltoso è invece stato il reperimento del telaio, che alla fine è stato trovato in Jugoslavia. Il restauro completo è stato effettuato nell’officina di Morbidelli a Pesaro.
Per completare la panoramica sulle nostre quadricilindriche da GP occorre ora parlare anche della Mototrans MT 250, costruita in Spagna, ma su progetto di un ingegnere italiano e con costruzione curata da un tecnico bolognese!
Benché l’azienda spagnola abbia sempre avuto strettissimi contatti con la Ducati, questa moto non ha proprio nulla a che fare con la casa di Borgo Panigale. I disegni del motore sono stati tracciati dall’ing. Aulo Savelli (che pochi anni prima aveva progettato la Benelli quattro cilindri). La realizzazione è stata affidata a Renato Armaroli, che ha curato la fabbricazione dei vari componenti (quasi tutti fatti costruire in Spagna) nonché l’assemblaggio e la messa a punto della moto.
Il motore della MT 250 poteva essere considerato come il risultato della unione di due bicilindrici paralleli. In effetti era dotato non solo di due teste, ma anche di due cascate di ingranaggi della distribuzione, ciascuna delle quali era collocata posteriormente, al centro della propria coppia di cilindri. Anche gli alberi a gomiti erano due; a collegarli provvedeva un albero ausiliario (collocato dietro la camera di manovella) che azionava anche le due cascate di ingranaggi e inviava il moto alla trasmissione primaria. Gli alberi a camme erano quattro (due per ogni testa). I cilindri non erano inclinati in avanti, come sulle Gilera, le MV e la Ducati 125, ma verticali.
Le valvole giacevano su due piani inclinati tra loro di 63°. I cilindri erano costituiti da fusioni individuali in lega di alluminio, internamente a ciascuna delle quali era installata con interferenza una canna in ghisa. L’alesaggio di 44,5 mm era abbinato a una corsa di 40 mm. I due alberi a gomiti erano compositi e la lubrificazione era a carter umido.
La frizione a secco era a dischi multipli e il cambio a sette marce era dell’usuale tipo in cascata. Per quanto riguarda la potenza, si parlava ottimisticamente di una cinquantina di cavalli a 14.000 giri/min.
Progettata nel 1965, questa moto ha compiuto le prime prove in pista nel 1967.
Il debutto è avvenuto nel GP di Spagna di quello stesso anno, ove essa ha compiuto solo pochi giri a causa di un problema alla frizione. Riveduta sporadicamente alle prove dello stesso GP l’anno successivo, la MT 250 è poi scomparsa dalla circolazione.
Nel 1969 il programma di sviluppo è stato definitivamente cancellato dalla nuova dirigenza della casa spagnola.
Riportata in Italia da Armaroli, la moto fa oggi parte della collezione di un appassionato romagnolo.