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Per inaugurare l’inedita sezione d'epoca della rubrica “Le belle di Moto.it”, abbiamo ovviamente scorso l’elenco delle marche presenti nella nostra sezione “Moto D’Epoca”, per andare a curiosare tra i numerosissimi annunci pubblicati da voi lettori. In realtà non siamo andati troppo in là nella nostra ricerca, visto che, d’istinto, ci siamo fermati al nome Bimota. E non a caso: infatti speravamo di trovare almeno un’inserzione relativa alla prima vera Bimota stradale costruita in serie, ovvero la futuristica (aggettivo più che mai azzeccato, parlando degli anni 70) SB2, motorizzata Suzuki GS750.
La celebre Casa riminese nacque alla fine degli anni sessanta come azienda di termotecnica: la Bimota, appunto, nome scaturito dai cognomi dei tre giovanotti, tali Bianchi, Morri e Tamburini. Gli ultimi due, da buoni romagnoli doc, erano anche appassionatissimi di moto e relativa meccanica. In particolare quel Massimo Tamburini, purtroppo recentemente scomparso, che i più giovani conosceranno come genio della motocicletta, visto che ne ha create parecchie di bellissime, prima col marchio Bimota diventato motociclistico, e poi marcate Cagiva, Ducati ed MV Agusta.
Nel 1972, Tamburini decise di creare una special da corsa lavorando attorno al motore di una Honda CB750 Four, con la quale era caduto girando a Misano. Massimo si mise all’opera realizzando un telaio a traliccio in tubi d’acciaio, primo passo verso quella special che nel marzo del ’73 apparve in veste racing, pronta per iniziare i collaudi. Era nata la HB1, la prima vera Bimota mai costruita, della quale, una volta arrivati alla versione definitiva, furono realizzati altri 9 esemplari.
Ad essa seguì la SB1 del 1976, una racer con motore Suzuki TR500 bicilindrico a due tempi raffreddato a liquido, realizzata per conto della SAIAD di Torino, allora importatrice italiana di Suzuki, e destinata ai piloti privati.
E ancora per iniziativa della SAIAD, nel 1977 arrivò appunto la stupefacente SB2: la prima Bimota stradale costruita in piccola serie, che sarebbe stata commercializzata fino al 1980, al prezzo di 7.100.00 lire, e proposta anche solo come kit, per chi volesse radicalmente trasformare la propria Suzuki GS, spendendo solo 3.100.000 lire di allora.
In realtà, il prototipo dell’ambiziosa SB2, supersportiva stradale spinta dal primo quadricilindrico a 4 tempi mai costruito da Suzuki, apparve al Moto Show bolognese del 1976 con soluzioni tecniche piuttosto ardite: i collettori di scarico infatti passavano sopra al motore, e terminavano in due silenziatori sottosella; mentre il serbatoio era piazzato sotto al motore, ovviamente per abbassare il baricentro acquisendo maneggevolezza. Ma il notevole percepito dal pilota, e la difficoltà di posizionare a dovere la pompa della benzina che alimentava i 4 carburatori Mikuni da 26 mm, portarono il progettista romagnolo a tornare su terreni più facilmente percorribili: serbatoio su, e scarico (4-in-1) giù.
Il motore della Suzuki GS era raffreddato ad aria, con distribuzione bialbero a 2 valvole per cilindro e cambio a 5 marce; ed era ufficialmente accreditato di 72 cv a 8.500 giri, con una coppia massima di 6,1 kgm a 7.000: dati che in versione Bimota diventavano rispettivamente 75 cv/8.750 giri e 5,8 kgm/8.200 giri, con una velocità massima superiore ai 220 km/h effettivi.
Il motore era ingabbiato in un sofisticato telaio a doppia culla aperta, scomponibile tramite incastri conici a 3 viti – per poter smontare e rimontare il motore in pochissimo tempo - in tubi tondi di acciaio al Cromo Molibdeno, dal peso di soli 8,5 kg, saldato ad Argon. E la sospensione posteriore si basava su un particolarissimo forcellone in acciaio scatolato che abbracciava il telaio all’esterno, andandosi ad imperniare coassialmente al perno di uscita del cambio, e quindi al pignone, in modo da poter mantenere costante il tiro della catena in ogni situazione.
Il forcellone, dotato di pregiati tendicatena eccentrici lavorati dal pieno, per la prima volta su una moto stradale azionava l’ammortizzatore posteriore verticale Corte&Cosso/DeCarbon tramite biellismi di progressione. Ma anche l’avantreno era esclusivo, visto che la forcella Ceriani (con steli da 35 mm!) era stretta da piastre in lega leggera lavorate in modo che – altra anteprima – gli steli fossero più inclinati del canotto di sterzo, in ragione di 29° anziché 25°, in modo da favorire la guidabilità e nel contempo caricare maggiormente la ruota anteriore.
Decisamente futuristica la carrozzeria (se vogliamo un filino ispirata a quella della mitica Norton John Player Special del 1973), con serbatoio e sella monoscocca facilmente smontabili grazie ad appositi tiranti in gomma. E con le “frecce” posteriori di notevoli proporzioni, ad occupare i lati della scocca che in origine avrebbe dovuto ospitare i silenziatori.
La Bimota SB2 aveva un peso dichiarato in 185 kg a secco, e montava ruote in lega “stellari” Bimota-Campagnolo in lega di magnesio da 18”, dotate gomme da 90/90 e 150/70 e freni Brembo con dischi da 280 e 260 mm davanti e dietro.
Della Bimota SB2 vennero realizzati 140 esemplari, mentre i telai prodotti furono 200: dei 60 eccedenti, 30 vennero utilizzati per assemblare altrettante SB2 80, mentre i rimanenti (sigh…) vennero purtroppo distrutti!
Nel nostro sito ne abbiamo trovati due esemplari, apparentemente in ottimo stato. La prima è proprio del 1977, ha percorso 21.000 km e il prezzo richiesto è di 40.000 euro. La seconda, dell’80, è più a buon mercato: 38.000 euro.