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E’ uno dei grandi classici della nostalgia motociclistica. Il rimpianto perché la tal casa o la talaltra ha interrotto la produzione di un determinato modello. Nella mente di chi lo rimpiange, una riedizione moderna di quella certa moto farebbe sicuramente furore, anche se spesso – com’è nell’ordine delle cose – forse il successo commerciale non sarebbe realmente scontato.
E’ facile fare da fuori, forti della competenza dell’appassionato, il lavoro di responsabili dello sviluppo, direttori marketing e in generale “piani alti” delle aziende moto. Purtroppo però la passione è solo uno dei tantissimi aspetti che determinano la fattibilità o la redditività di un modello. Aspetti che spesso subiscono influenze di fattori esterni di cui non sempre ci si rende conto, a meno – appunto – di non trovarsi nella stanza dei bottoni di una delle Case costruttrici. Ci piaccia o meno, se non fosse così sarebbe facilissimo avere successo mentre la storia, recente e passata, è piena di marchi più o meno ingloriosamente scomparsi.
Ma noi siamo appassionati, oltre che addetti ai lavori. E visto che ognuno deve recitare il proprio in questo gioco dei ruoli, da bravi appassionati per una volta ci vogliamo dimenticare di tutte le considerazioni che nel corso degli anni abbiamo avuto come risposta dalle figure aziendali sopra citate, e gridare a gran voce ad un po’ di case… perché non ci rifate quella moto?
Se ad un primo sguardo la lista potenziale sarebbe lunghissima, in realtà abbiamo scoperto che non è affatto facile trovare modelli che non abbiano un corrispondente attuale. Almeno fra quelli che sono stati apprezzati, s’intende, perché certe proposte non ebbero un seguito e a tuttora non ce l’hanno per un semplice motivo: sono piaciuti davvero a pochissimi.
Tuttavia, come al solito ci è toccato l’ingrato compito di una dolorosissima selezione, discussa e vagliata in redazione, che ha lasciato fuori modelli di cui sicuramente qualcuno aspetta ed invoca il ritorno da secoli, e che in qualche caso ha scelto un modello per identificare un’intera categoria.
Un po’ perché qualche casa ha ascoltato gli appassionati e in qualche modo, magari rinunciando all’evocatività del nome originario, ha di fatto ricreato una versione moderna di quel modello, un po’ perché qualcuno forse lo sta per fare, e un po’ perché se no avremmo riprodotto pari pari i cataloghi di qualche decennio fa. Perdonateci, e venite a vedere cosa abbiamo scelto…
E’ vero, i ragazzi le vogliono sportive, ma se per avvicinare alla moto quelli che non sono appassionati servissero “repliche” di quelle maxienduro e crossover che spopolano fra i loro padri? Sul finire degli anni 80, anche se le piccole supersportive stavano crescendo con prepotenza, i sedicenni sognavano le enduro e più di tutte quell’Aprilia Tuareg 125 che tanto ha contribuito alla fortuna (sia in termini economici che in quelli di percezione del marchio) della Casa di Noale.
La Tuareg, nata essenziale Dakariana e poi avvicinatasi con le successive versioni Wind alle attuali crossover (per chi voleva fare fuoristrada davvero c’era la specialistica Rally) ha insegnato a tanti sedicenni ad andare forte su asfalto e sterrato, qualcuno ci ha fatto i suoi primi viaggi e le vacanze, e probabilmente chi ha vissuto le emozioni di quei modelli oggi è ancora motociclista.
Oggi, è vero, le sportive sono le 125 che vanno per la maggiore, ed essendo molto meno estreme delle loro antesignane a due tempi degli anni 80 sono anche un po’ più versatili, permettendo… destinazioni d’uso non contemplate dalle cattivissime “Sport Production” dei tempi delle Tuareg. Ma sarebbe bello anche rivedere quelle “enduro” di una volta, magari qualche sedicenne che sogna le maxi lo si avvicinerebbe…
Alzi la mano chi si aspettava la prima HP2. Ma se anche parlassimo di Megamoto, o HP2 Sport, il discorso non cambierebbe: a parte qualche vanaglorioso bugiardo, pochissimi potrebbero in tutta onestà sostenere di non essere rimasti a bocca aperta davanti ai tre esperimenti bavaresi usciti dal laboratorio HP.
La stessa HP4, pur essendo un modello pazzesco, alla fine della fiera era più vicina ad una “semplice” S1000RR che non ai modelli speciali spinti dal boxer BMW. Che giustamente, a tutt’oggi sono ricercatissimi (e pagati a caro prezzo) dagli appassionati di tutto il mondo perché dotati di soluzioni tecniche davvero avanti per l’epoca, e di estetiche tanto riuscite da entrare per direttissima nella categoria delle moto senza tempo.
Pur ammirando tantissimo la gamma BMW attuale, ci manca un po’ quella follia che all’inizio del nuovo millennio ha dato vita alle HP2. E’ vero, il mercato premia altri modelli e sta dando ragione senza se o ma grossomodo a tutte le proposte della gamma bavarese, ma pur ammirando tantissimo le ultime novità a due e quattro cilindri BMW, crediamo che ci sarebbe spazio anche per moto come quelle HP2.
In fondo il nuovo boxer raffreddato ad acqua è ancora più prestante di prima, ci si potrebbero tirare fuori potenze inesplorate da un bicilindrico contrapposto di serie e la gamma di declinazioni esplorabili è ben lungi dall’essere conclusa: vi immaginate, per esempio, una naked cattivissima che porti ancora oltre i concetti della Concept Roadster con le potenzialità del nuovo motore? Insomma dai, BMW, facci sognare di nuovo con qualche giocattolo (costosissimo, lo sappiamo, ma sognare è gratis…) che sappia trasmetterci lo stesso senso di unicità e personalità di quelle tre, folli, HP2 del decennio scorso.
Non sono pochi gli appassionati ormai un po’ stufi di potenze francamente esagerate. Cavallerie non solo insensate (per quanto gratificanti, lo ammettiamo) per l’uso stradale, ma che hanno ormai trasformato in kartodromi la maggior parte dei circuiti quando ci si entra con una maxi sportiva.
Facendo finta di dimenticarci le condizioni in cui versa il mercato delle sportive medie in Italia – ma nel resto del mondo la situazione non è molto diversa – viene da rimpiangere quella Ducati 900SS che, soprattutto nella sua versione di inizio anni 90, aveva coniugato in una ricetta gustosissima pochi, semplici ingredienti dando vita ad un piatto il cui risultato era decisamente migliore della somma delle sue componenti. Tutti siamo allettati dalle proposte che escono dalle grandi cucine dei ristoranti stellati, ma volete mettere quanta soddisfazione possa dare un piatto di spaghetti alla carbonara dove tutti gli ingredienti sono stati sapientemente calibrati e cucinati?
La 900SS era così. Spinta da quel bicilindrico con due valvole per cilindro a comando desmodromico che aveva sostenuto l’azienda per tutti gli anni 70 e gran parte degli 80, la SuperSport era leggera, spartana (sia pur con diversi tocchi di classe quanto a finiture) e con una ciclistica efficace. Stabile ma allo stesso tempo maneggevole – perché i chili in meno si sentivano – sul lento faceva sudare sette camicie ai quattro cilindri e alle sorelle maggiori Desmoquattro perché saltava fuori dalle curve come spinta da una fionda, e se ben messa a punto anche in pista sapeva farsi valere.
Invocare un ritorno del due valvole è poco sensato, soprattutto oggi che Ducati si sta muovendo (giocoforza) in senso contrario. Ma pensiamo che un bel motorino relativamente semplice come il 937cc che spinge la famiglia Hyper starebbe benissimo su una sportivetta leggera, semplice per quanto possibile, accessibile prestazionalmente e tanto, tanto gustosa, che lasci alla futura Panigale 959 il compito di modello d’accesso alla gamma Superbike ma si riveli bella da usare su strada e magari anche sui circuiti più tortuosi. Magari con sovrastrutture e livrea un po’ anni 80….
Il due tempi è stato lentamente ucciso. Dalla fine degli anni 80, quando sono sparite le repliche delle 500 da Gran Premio, fino all’eliminazione della classe 125 nel motomondiale una manciata di stagioni fa, il motore a luci e travasi è caduto vittima di campagne ecologistiche (a volte demagogiche, altre volte figlie di pura convenienza economica per le Case costruttrici) che ne hanno decretato la sparizione.
Quale che sia il motivo, fatto sta che questo genocidio tecnico ha decretato la sparizione di una categoria di moto meravigliose. Abbiamo scelto la Suzuki RGV come sua rappresentante perché è stata quella di maggior successo, nel corso degli anni, qui sul nostro mercato. Quando è nata, figlia della RG a cilindri paralleli, è entrata direttamente nel gotha delle moto più desiderate dagli appassionati. Il “colpaccio” di produrla in livrea Pepsi in contemporanea alla definitiva consacrazione di Kevin Schwantz nel motomondiale ha forse rappresentato una fortunata coincidenza, ma in tutte le sue evoluzioni la Suzuki RGV-Gamma è stata una delle sportivette più amate del mondo e qui da noi.
Leggera, cattiva, efficace in pista e – pur se affilata – accessibile prestazionalmente da molti, è stata la nave scuola di tantissimi motociclisti sportivi che passavano dalla 125 alle cubature superiori, ma anche una scelta di downgrade consapevole per tanti che, stufi delle superpotenze, cercavano una moto dalle prestazioni esilaranti su strada e in circuito. Farsi sverniciare sui rettilinei era un sacrificio più che accettabile, paragonato al gusto di recuperare decine di metri in staccata e percorrenza, sfruttando leggerezza e doti ciclistiche: dopotutto la capacità del pilota non si misura “sul dritto”.
Avremmo potuto scegliere con un po’ di campanilismo l’Aprilia RS, che peraltro deve alla RGV la sua base motoristica, ma la storia della Suzuki è ben più lunga e – per certi aspetti – significativa. Immaginarsi un ritorno dei piccoli siluri a due tempi è poco realistico, visti gli innegabili problemi di efficienza (e quindi di emissioni) di questo tipo di motore. Allo stesso tempo siamo convinti che con i necessari investimenti per applicare al due tempi i più moderni ritrovati tecnologici in tema di alimentazione e gestione elettronica il quadro si farebbe sicuramente molto meno negativo. Il problema sta proprio lì, nella parola “investimenti”. Ma d’altra parte lo abbiamo detto in apertura, no? Siamo appassionati, non dirigenti di Case costruttrici…
Il mitico tubone, che prendeva il nome dal semplicissimo ed efficace telaio/serbatoio a tubo. Ma volete mettere cos’era il Fifty (ma anche tutti i suoi mille cugini, nati come funghi con innumerevoli marchi negli anni 80) rispetto agli impersonali, seppur prestanti, scooterini che hanno scritto la storia della mobilità adolescenziale del decennio successivo?
Intanto le marce, il fascino del padroneggiare la frizione e quel pedale, semplice o a bilanciere, che faceva subito sentire di una classe a parte, più moto che motorino, e guardare con superiorità i monomarcia, massimo massimo con variatore, che al primo accenno di salita si piantavano ingloriosamente.
I cinquantini a marce, di cui il Malaguti Fifty è stata la declinazione più commercialmente fortunata in tutte le versioni, hanno formato migliaia di motociclisti perché si guidavano un po’ come moto vere. Freni a disco, cruscotti con tachimetro e contagiri, raffreddamenti a liquido – si scendeva dal tubone pronti a salire sulla 125, specie perché era davvero facilissimo farli volare ben oltre i limiti di legge. Luca Cadalora si fece una reputazione ancora prima di iniziare a correre facendo piangere tanta gente in sella a moto “vere” in discesa sulla statale dell’Abetone, e tante aziende – qualcuna viva e vegeta anche oggi, qualcuna ormai dimenticata – ha fatto fortuna vendendo gruppi termici, carburatori e scarichi per i cinquantini a marce spinti dai quattro (e sei) marce Minarelli e Morini.
La categoria dei 50cc è agonizzante se non defunta, schiacciata soprattutto da costi assicurativi fuori controllo, da paure genitoriali e soprattutto da uno scarso interesse dei giovanissimi. Siamo sicuri che mezzi come i vecchi tuboni, economici e divertenti da guidare, non potrebbero dare una (piccola) scossa al sistema?
(Si ringrazia Marco Caccia per la foto del Malaguti Fifty)