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Di recente abbiamo parlato della Ducati 124 a quattro cilindri da Gran Premio realizzata nel 1965 e dotata di una testa bialbero con quattro valvole per cilindro.
Alla metà degli anni Sessanta, visti gli straordinari risultati che stavano ottenendo a livello mondiale le Honda con tale tipo di distribuzione, la maggior parte dei tecnici che lavoravano sulle auto e sulle moto da competizione aveva iniziato a concentrare le sue attenzioni su tale schema costruttivo.
La MV ha realizzato la nuova tricilindrica dotandola appunto di una testa a quattro valvole e lo stesso hanno fatto, di lì a poco, case come la Benelli e la Morini.
Logico che anche la Ducati abbia pensato a questa soluzione. Però, uscita subito di scena la 125 da GP, per lungo tempo è sembrato proprio che la casa bolognese non avesse più alcun interesse nei confronti delle quattro valvole per cilindro. Addirittura, fino alla comparsa della famosa 851 sviluppata alla metà degli anni Ottanta da Massimo Bordi e Gianluigi Mengoli, dallo stabilimento di Borgo Panigale di modelli con questo tipo di distribuzione non ne sono usciti.
Del resto, l’ing. Fabio Taglioni non ha mai nascosto il suo scetticismo nei confronti di questa soluzione. Preferiva le classiche due valvole, ovviamente con comando desmodromico, che consentiva di ottenere aperture e chiusure rapidissime. Non si deve però pensare che alle quattro valvole dentro la Ducati non pensasse proprio nessuno…
All’inizio degli anni Settanta, per dimostrare la validità della architettura “a elle” dei nuovi motori di serie di 750 cm3 (che avevano un cilindro pressoché orizzontale e l’altro pressoché verticale), la casa bolognese aveva deciso di realizzare un bicilindrico da Gran Premio di 500 cm3 dotato di una struttura analoga.
Questa moto, che è stata condotta in gara da piloti come Read, Spaggiari e Giuliano e che aveva una distribuzione desmodromica a due valvole, non è però riuscita a fornire i risultati sperati.
In altre parole, prendeva sonore paghe dalla MV Agusta di Agostini. La direzione dell’azienda ha pertanto deciso, visto che le quattro valvole ormai da tempo dominavano la scena sulle monoposto di Formula Uno, di far realizzare da un tecnico esterno una differente versione del motore, studiata alla luce dei più recenti orientamenti motoristici nel campo delle auto da competizione.
È stato così che Renato Armaroli, nell’inverno 1971-72 ha realizzato un motore che si differenziava da quelli ufficiali in quanto dotato di nuove teste bialbero a quattro valvole, con comando a cinghia dentata, dalla disposizione “rovesciata”, ovvero con aspirazione al centro della V formata dai cilindri. Questo motore, che realmente indicava la strada, è stato provato ma con scarsa convinzione e certamente non è stato sviluppato come avrebbe dovuto, anche perché ben presto la Ducati ha deciso di ritirarsi dai GP. Arrivava da fuori e quindi non è escluso che ci sia stato un certo ostracismo nei suoi confronti…
All’inizio degli anni Settanta era chiaro che per i gloriosi monocilindrici con distribuzione monoalbero comandata mediante un alberello e due coppie di ingranaggi conici la fine si stava avvicinando
All’inizio degli anni Settanta era chiaro che per i gloriosi monocilindrici con distribuzione monoalbero comandata mediante un alberello e due coppie di ingranaggi conici la fine si stava avvicinando.
Per tentare di realizzare degni successori di questi splendidi motori sono state sondate più strade, sono stati costruiti più prototipi e si è puntato anche, come logico, sulle quattro valvole. Dapprima è stata realizzata una testa esteriormente eguale a quella di qualunque Scrambler e sempre con distribuzione monoalbero, ma a quattro valvole, azionate per mezzo di bilancieri “sdoppiati” (cioè a tre bracci: uno dal lato camma e due dal lato valvole).
Poi si è passati a una testa completamente diversa, con distribuzione bialbero “ravvicinata”, nella quale gli eccentrici azionavano le valvole (richiamate da molle a elica) per mezzo di corti bilancieri a due bracci. A comandare i due alberi a camme, assai vicini uno all’altro, provvedeva una terna di ingranaggi che veniva azionata dal consueto sistema ad alberello e coppie coniche. Fortunatamente un motore sperimentale di 350 cm3 dotato di questa testa è stato salvato e ottimamente restaurato da Rino Caracchi e ora è di proprietà del figlio Stefano.
Attorno alla metà degli anni Settanta all’interno della Ducati sono state realizzate anche teste monoalbero a quattro valvole per i bicilindrici. Una grezza, ossia non ancora lavorata, è esposta al museo Ducati, mentre un paio finite sono state a suo tempo montate su di una 750 SS.
I diversi tentativi di realizzare una nuova generazione di monocilindrici, hanno portato alla costruzione di alcuni interessanti prototipi, nessuno dei quali ha poi dato origine a modelli di serie. Uno era stato ricavato da un bicilindrico 860 privandolo del cilindro anteriore e dotandolo di una testa bialbero a quattro valvole, diversa da quelle delle quali abbiamo parlato finora. Anche questo prototipo si è salvato e abbiamo la fortuna di poterne pubblicare un’immagine.
Dopo la metà degli anni Settanta di teste con più di due valvole per cilindro alla Ducati non si è parlato per diverso tempo.
Ovvero, fino al 1986, quando Bordi e Mengoli hanno realizzato il primo bicilindrico raffreddato ad acqua, alimentato a iniezione e dotato di distribuzione bialbero desmodromica a quattro valvole.
Con tale motore, nato come 748 e diventato 851 nel 1987, è iniziata la leggendaria stirpe dei Desmoquattro. In effetti però l’idea di dotare i bicilindrici bolognesi (che all’epoca avevano la distribuzione comandata mediante alberelli e coppie coniche ed erano raffreddati ad aria) di teste di questo genere Bordi l’aveva avuta quando era ancora studente di ingegneria, come ampiamente dimostrato della sua tesi di laurea del 1974!