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Continuiamo a parlare di moto e cultura. Dopo la prima puntata dedicata al cinema, stavolta parliamo di letteratura, che ha saputo descrivere, in modo spesso più autobiografico, il desiderio di scoperta e di indipendenza che solo con un viaggio può trovare appagamento. Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta è ormai un classico della letteratura on the road, al pari di Sulla strada di Kerouac, o di One man caravan di Robert Edison Jr Fulton, che è considerato il capostipite della letteratura di viaggio sulle due ruote; mentre Latinoamericana di Che Guevara, che nel 2004 ha ispirato il film I diari della motocicletta, fa di una Norton 500 M18 del 1939 (soprannominata "la Poderosa") uno strumento di iniziazione alla comprensione politica e sociale della realtà.
Da quando l’uomo ha iniziato a esplorare il mondo, la letteratura di viaggio ha costituito uno degli assi portanti del piacere della narrazione e della lettura. Lasciarsi trasportare in luoghi che con molta probabilità non si vedranno mai, incontrando persone, culture e abitudini che non si avrà mai la possibilità di conoscere, è l’enorme bellezza e il regalo quotidiano che offre una storia on the road.
E cosa, più di una motocicletta, può dare il senso di avventura, di iniziazione e di libertà che si prova lontano da casa?
One man caravan, pubblicato nel 1937, è il primo testo che lega indissolubilmente la letteratura ai viaggi in motocicletta. Nato per caso – per fare colpo su una ragazza, vuole la leggenda – questo libro racconta il primo viaggio del mondo, di cui si abbia conoscenza, compiuto su una due ruote, una Douglas, alla scoperta di 22 Paesi nell’arco di 18 mesi, tra sparatorie, carceri e comunità, non ancora toccate dalla globalizzazione, che accolgono con gentilezza lo straniero. L’autore, nonché protagonista del viaggio e fotografo professionista, Robert Edison Jr Fulton, ha ispirato generazioni di viaggiatori-motociclisti ed è stato il punto di riferimento iniziale per opere che all’esperienza on the road hanno unito domande metafisiche sull’esistenza, come ne Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig, o Latinoamericana, il diario per un viaggio in motocicletta di un giovane Ernesto Che Guevara.
L’avventura di Pirsig negli Stati Uniti, con il figlio, è l’emblema di un’esperienza, fisica e spirituale, in cui il desiderio di conoscere il mondo si lega a doppio filo con la conoscenza di se stessi, della tecnologia sulla quale facciamo affidamento, della percezione del reale e del proprio posto nel cosmo. Le domande esistenziali creano spesso disordine e angoscia nell’uomo, che trova salvezza in ciò che è più terreno, il rapporto padre-figlio. I diari di Che Guevara, di cui nel 2004 è stata realizzata la trasposizione cinematografica, sono l’autobiografia di un giovane che non è ancora diventato l’icona del Novecento, passato alla storia come rivoluzionario, ma è già un uomo curioso e dedito al prossimo, e sta studiando per diventare medico.
In sella alla Norton dell’amico Alberto Granado, nel 1952 Che Guevara percorre l’America Latina fino ad arrivare a Miami, scoprendo il volto drammatico, duro, sofferente del proprio continente, e rendendosi conto delle reali condizioni di vita di tantissimi sudamericani.
Da questo viaggio si svilupperà, forte e radicata, la passione civile e politica che porterà El Che a diventare l’uomo simbolo delle lotte di liberazione del secolo scorso.
Anche nella letteratura di viaggio sulle due ruote fa capolino la Vespa, che con i racconti del compianto Giorgio Bettinelli – il più famoso è il primo, Da Roma a Saigon – diventa protagonista di un’incredibile avventura di 24 mila chilometri in 7 mesi sulle strade di Grecia, Turchia, Iran, Pakistan, India, Bangladesh, Birmania, Thailandia, Laos, per poi arrivare in Vietnam. Alla stessa maniera di Fulton, ma in sella alla fida Vespa, Bettinelli svela i contrasti di mondi ancora poco conosciuti in Occidente – siamo nel 1992/1993 – in profonda trasformazione, dove umanità generose si contrappongono a miseria e instabilità politica.