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Il dopoguerra ha visto la comparsa e la straordinaria diffusione di veicoli a due ruote semplici ed economici, che in alcuni casi rientravano in classi di cilindrata in seguito scomparse dalla scena. C’erano dei “cinquantini”, ma anche un numero impressionante di motori ausiliari da applicare alle biciclette e un corposo drappello di motoleggerissime e di motoleggere. Quest’ultima suddivisione è un poco fittizia, ma rende l’idea: grosso modo nelle seconde si possono far rientrare i modelli di 98 e di 125 cm3 e nelle prime quelli di 65 e di 75 cm3. Le realizzazioni di quest’ultima cilindrata sono diventate tanto importanti che nelle competizioni stradali, così numerose all’epoca, è stata istituita una classe 75.
Particolare rilievo avevano le due grandi maratone, ossia la Milano-Taranto, ricominciata nel 1950, e il Motogiro, varato nel 1953. Si trattava di due manifestazioni accompagnate da un tifo calcistico i cui risultati avevano grande rilievo sulla stampa e una considerevole influenza sulle vendite. Logico quindi che le case motociclistiche vi prendessero parte con mezzi accuratamente preparati (e spesso specificamente allestiti proprio per queste gare), non di rado schierando autentici squadroni.
Ben presto la classe 75 ha assunto una grande importanza, anche perché le moto erano di eccellente livello e potevano essere acquistate liberamente in versioni assai simili a quelle effettivamente utilizzate in gara dai piloti ufficiali. Questa categoria merita di essere ricordata in particolare per la raffinata tecnica delle tre grandi protagoniste, i cui motori erano però molto diversi come disegno e soluzioni adottate.
La Laverda ha iniziato la sua attività in campo motociclistico nel 1950, mettendo in produzione una monocilindrica di 75 cm3 particolarmente evoluta a livello progettuale. Il motore con distribuzione ad aste e bilancieri aveva il cilindro in lega di alluminio con canna riportata in ghisa e due valvole in testa inclinate di soli 30°, il che consentiva di realizzare una camera di combustione molto compatta. Nella parte superiore del basamento c’erano due alberi a camme (dotati di un eccentrico ciascuno), collocati uno anteriormente e l’altro posteriormente alla base del cilindro. Il cambio, del consueto tipo in cascata, era a espansione di sfere. Le misure di alesaggio e corsa erano 46 x 45 mm.
Di questa brillante monocilindrica è stata allestita anche una versione Sport, che si è rapidamente messa in mostra per le notevoli potenzialità a livello agonistico. La casa ha realizzato un nuovo gruppo testa-cilindro e un nuovo telaio di disegno particolarmente nitido, con struttura a doppia culla continua e per le piccole Laverda, che dal 1954 sono state costruite anche con una cilindrata di 100 cm3, sono iniziati i trionfi.
Nel ricco palmares di queste moto (che hanno gareggiato tanto nella categoria Sport che in quella delle Derivate, poi denominate F2 e F3) troviamo infatti sei vittorie di classe nella Milano-Taranto e sette nel Motogiro. I successi non sono terminati con l’abolizione delle maratone stradali, perché queste veloci monocilindriche hanno conquistato anche sei Campionati Italiani della Montagna negli anni Sessanta.
Al Capriolo 75 spetta un posto particolare nella storia del motociclismo italiano; la sua tecnica infatti era largamente al di fuori degli schemi usuali. Il motore monocilindrico aveva una distribuzione del tipo con camma a tazza, costituita da un elemento discoidale piazzata nella testa, alla estremità di un alberello verticale mosso da una coppia conica. Tale elemento discoidale aveva due piste concentriche (dotate di un eccentrico ciascuna), che azionavano bilancieri a due bracci. Le due valvole, che formavano tra loro un angolo di 45°, giacevano su di un piano trasversale (caso molto raro in campo moto). Le misure di alesaggio e corsa erano 47 x 43 mm. L’asse di rotazione dell’albero a gomito (monolitico!) era longitudinale. Il moto veniva trasmesso alla frizione e al cambio, disposti trasversalmente, da una coppia di ingranaggi conici.
La classica scuola italiana fino ai primi anni Settanta prevedeva che il comando del cambio fosse a destra. Nel Capriolo 75 era invece a sinistra (come voleva la scuola tedesca). Un’altra particolarità di questa moto, costruita dalla Aerocaproni nello stabilimento di Arco di Trento, era il telaio in lamiera stampata.
Della piccola Capriolo, entrata in produzione nel 1951 e proposta in due modelli (base, ovvero Turismo, e Sport), nel 1954 è stata realizzata una versione da corsa che si è imposta nella sua classe nella Milano-Taranto di quello stesso anno e nel Motogiro del 1955.
La Ceccato è scesa in campo nella classe 75 con una splendida monoalbero progettata dall’ing. Fabio Taglioni. Si trattava di un modello che, benché fosse in vendita al pubblico, era nato espressamente per le competizioni (e in effetti la sua tecnica era assai vicina a quella delle moto da Gran Premio!). Presentato alla fine del 1953, aveva un alesaggio di 45 mm e una corsa di 47 mm. L’unico albero a camme veniva comandato da una cascata di ingranaggi posta sul lato destro. A richiamare le valvole, fortemente inclinate tra loro, provvedevano molle a spillo doppie. L’accensione era a magnete. Nel 1955 questo motore erogava 8 cavalli a 11.000 giri/min. L’anno successivo la piccola Ceccato (della quale sono stati costruiti anche alcuni esemplari di 98 cm3) si è imposta nella classe 75 Sport sia nel Motogiro che nella Milano-Taranto. Negli anni Sessanta sono arrivati tre Campionati italiani della Montagna. È stato proprio grazie a questa raffinata monoalbero che si è messo in luce l’ing. Taglioni, ben presto chiamato dalla Mondial e poi entrato alla Ducati.