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Da oltre mezzo secolo le moto costruite in Italia, in Giappone e in Germania (tranne le BMW boxer) hanno il cambio in blocco. Questa soluzione si è affermata rapidamente, negli anni del dopoguerra, per la sua razionalità. Non aveva più senso infatti continuare ad utilizzare un cambio alloggiato in una scatola completamente separata dal motore, al quale veniva collegata da una trasmissione primaria a catena, quando esso poteva essere ospitato in un vano ricavato direttamente nella parte posteriore del basamento.
Le trasmissioni con cambio separato si erano affermate nei primordi del motorismo per la facilità con la quale potevano essere realizzate. Il basamento del motore poteva ridursi a un guscio dal disegno estremamente semplice e privo di paratie interne che veniva diviso in due parti da un piano mediano verticale; inoltre non vi era nessuna criticità per quanto riguardava la distanza tra l’albero a gomiti e quello di entrata del cambio, grazie alla primaria a catena. I motori nascevano indipendentemente dal cambio, che spesso veniva prodotto da una azienda esterna.
Poi però i processi di fonderia sono migliorati e hanno consentito di realizzare agevolmente basamenti anche di dimensioni considerevoli e con una geometria interna complessa. Le lavorazioni sono migliorate e hanno permesso di rispettare tolleranze più ristrette, in particolare per quanto riguarda la distanza tra gli alloggiamenti dei cuscinetti di banco e quelli che supportavano l’albero primario del cambio. E’ diventato facile quindi realizzare una trasmissione primaria a ingranaggi e alloggiare il cambio nella stessa fusione del basamento.
Anche col cambio in blocco alcuni costruttori hanno comunque continuato ad impiegare una primaria a catena (spesso del tipo “silenzioso”, ossia Morse). Ciò poteva ad esempio avvenire perché la distanza tra l’albero a gomiti e il primario del cambio era considerevole e non permetteva l’impiego di una trasmissione con due sole ruote dentate. A queste considerazioni sono ovviamente estranee le moto realizzate con una trasmissione di schema automobilistico, ovvero le bicilindriche Guzzi e le classiche BMW boxer (tranne le ultimissime con raffreddamento ad acqua).
Per quanto riguarda le case inglesi, la BSA e la Triumph per le loro bicilindriche sono passate al cambio in blocco nei primi anni Sessanta, pur mantenendo la primaria a catena; hanno invece mantenuto il cambio separato sulle loro moto a due cilindri fino a quando non hanno cessato l’attività la AJS/Matchless, la Royal Enfield e la Norton (quest’ultima è tornata in scena, dopo gli anni dei Wankel, in tempi più recenti, con una diversa proprietà e con diverse strutture produttive).
Un caso a parte, come gli appassionati ben sanno, è quello delle Harley-Davidson, con le loro classic style bikes, realizzate secondo i canoni di una ben precisa filosofia che continua a dare ottimi risultati.
Tornando alle moto inglesi, c’è da dire che le grandi case degli anni d’oro la loro tragica fine se la sono largamente cercata, continuando a proporre nella seconda metà degli anni Sessanta e all’inizio del decennio successivo modelli che abbinavano (quasi sempre…) a un grande fascino e a una splendida estetica soluzioni tecniche decisamente obsolete. Gli unici motori progettati dopo il 1965 erano i tricilindrici Triumph/BSA, che andavano forte ma erano realizzati secondo criteri che già all’epoca apparivano largamente superati, a cominciare dalla distribuzione ad aste e bilancieri, per di più con due valvole per cilindro inclinate tra loro di ben 90°.
Per quanto riguarda i classici bicilindrici, con i loro cilindri in ghisa, vanno ricordati anche per il fatto che avevano solo due supporti di banco, eccezion fatta per il Matchless/AJS che ne aveva tre (ma che i suoi problemi li ha comunque dati…). Di conseguenza gli alberi a gomiti, dotati di un grosso volano centrale, erano piuttosto “ballerini”. Non si deve dimenticare che questi motori avevano visto nel corso degli anni aumentare la loro cilindrata (inizialmente di 500 cm3) e, in misura ancora maggiore, le loro prestazioni e quindi le sollecitazioni alle quali erano sottoposti gli organi meccanici. Due soli cuscinetti di banco, che per di più avevano dimensioni relativamente modeste, potevano essere adeguati inizialmente, ma in seguito si sono rivelati spesso un autentico punto debole di queste moto, non tanto per la affidabilità quanto per la durata.
Un’altra soluzione tecnica tipica dei bicilindrici inglesi era costituita dalla adozione di bielle forgiate in alluminio; veniva impiegata una lega al rame che apparteneva al gruppo di quelle che sono state a lungo chiamate Avional, ossia alla odierna serie 2000. Gli altri esempi di utilizzazione di questo materiale per le bielle sono stati molto rari. Ce ne è stato qualcuno anche in Italia, di breve durata, nel periodo tra la fine degli anni Cinquanta e la metà del decennio successivo (ricordiamo il Corsaro della Morini). Fino ai primi anni Settanta ha impiegato bielle in lega di alluminio per un suo motore di 50 cm3 la Sachs. In seguito vanno segnalate solo alcune utilizzazioni sui motori da speedway. Anche adottando sezioni debitamente maggiorate, la minore resistenza a trazione (meno della metà di quella di un buon acciaio da bonifica o da cementazione) e soprattutto il minor modulo elastico (70 contro 210 GPa) costituivano un handicap considerevole…