Lettera aperta di Umberto Borile all’Ing. Claudio Domenicali, CEO Ducati

Lettera aperta di Umberto Borile all’Ing. Claudio Domenicali, CEO Ducati
Dopo la sentenza del tribunale di Bologna pubblicata nei giorni scorsi, Borile scrive una lettera aperta direttamente a Domenicali
19 dicembre 2014

Di seguito pubblichiamo la lettera aperta che Umberto Borile ha indirizzato a Claudio Domenicali, CEO Ducati, e inviato alla stampa di settore.  Non c'è alcun riferimento alla sentenza pubblicata pochi giorni fa, emessa dal tribunale di Bologna e sostanzialmente a favore di Ducati. 
Riportiamo di seguito la lettera di Umberto Borile, in attesa dell'eventuale risposta della Casa di Bologna.
 

La lettera

Lettera aperta di Umberto Borile all’Ing. Claudio Domenicali, CEO Ducati.

Vò, 19/12/2014

Gentile Ing. Claudio Domenicali,

mi permetta di darLe del lei, un po’ inconsueto… fra motociclisti di solito ci si da del tu, ma non La considero tale, mi permetta, mi sbaglierò, ma la penso così.


Vorrei partire dal 1988, quando Franco Farnè, che conobbi insieme all’Ing. Fabio Taglioni a casa di Carlo Mazzuccato di Este, allora importatore delle Jawa da speedway, mi telefonò.

Mi chiese se fossi stato in grado di portare l’olio del modello Ducati 851 fuori dal motore, farlo passare attraverso un radiatore e rimandarlo dentro. Lo chiese a me in quanto allora importavo raccordi e tubi della Earl’s e della Goodridge, ed un amico comune gli disse che io avevo tutto l’occorrente per fare una simile operazione.


Non le nascondo, Ingegnere, che ne fui entusiasta, non tanto per i guadagni (non ho preso una lira), ma per il fatto che sarei entrato nel reparto corse Ducati, che avrei risolto un problema a Ducati. Quasi non ci credevo. Mi ricordo che, finché io lavoravo intorno a questo 851, c’era un vecchietto con mezzo sigaro in bocca che batteva una lamiera, la stava arrotolando manualmente con un martello, aiutato da un’incudine, per farne un tromboncino di scarico. Un ricordo talmente affascinante, che serbo ancora oggi nel mio cuore.

Mi portarono a pranzo, e mi ritrovai a tavola con Gianluigi Mengoli, Farnè ed altri, e non le nascondo che in quel momento mi sentivo la persona più importante della terra.


Ritornato al lavoro, ripresi con i miei raccordi e tubi a finire quello che io consideravo un onore.

Ci misi tutta la mia migliore manualità lavorativa, unita alla grande passione per le moto, e riuscii a finire prima che facesse buio, e mi sembrava ne fosse venuto fuori un capolavoro.

Ricevetti i complimenti da tutti, e per me quello valeva di più di qualsiasi altra cosa al mondo.


Pensi Ingegnere che il mio amore per Ducati era radicato ancora dal 1972, quando facevo gare di regolarità con la RT 450, mancava solo questo lavoro sulla 851 per consacrarmi virtualmente e definitivamente “un uomo Ducati”.


Quando, nel 2010, ebbi l’idea di rifare la mitica Scrambler 450, ne parlai con il Dott. Del Torchio, mi recai a trovarlo portandomi un disegno di come l’avrei interpretata, chiedendo solo di poter accedere alla fornitura dei gruppi termici.


Quando gli mostrai i disegni, gli piacquero tanto da far venire subito nel suo ufficio il management dirigenziale di Ducati, e tutti caldeggiarono l’operazione. Ducati non spendeva un euro, anzi guadagnava vendendomi le termiche e non si sa mai che un domani, se il mio motore si fosse dimostrato affidabile, non potesse essere interessata a rilevare e rifare così la mitica Ducati Scrambler 450.


Pensi, Ingegnere, che entrai così fortemente nelle simpatie del management, che quel giorno stesso mi portarono a vedere quello che a nessuno era concesso di vedere: i prototipi che di li a qualche anno avrebbero preso vita sulle strade. Vidi la Diavel che nessun uomo “normale” aveva ancora visto.


Fu redatto da Ducati un contratto di fornitura di gruppi termici posteriori del 1100 e del 696 dai quali avremmo ricavato il modello 450 ed il modello 350 e fu addirittura data alla mia azienda la concessione dell’utilizzo del marchio Scrambler. Firmammo congiuntamente, fra sorrisi e strette di mano, e promisi, come da loro desiderio, che i primi a provarla sarebbero stati loro. Me ne tornai a casa felice come un bambino.

I miei soci accolsero la notizia festeggiando e finanziarono con entusiasmo il progetto.


Mi rivolsi al vecchio amico e grandissimo tecnico Francesco Villa: anche lui aveva nelle vene un po’ di sangue Ducati, avendoci lavorato nel 1955, proprio nel reparto corse, con l’Ing. Taglioni.

Lo vidi felice di intraprendere, a quasi 80 anni, una nuova avventura motoristica.

Cominciammo a lavorare sui disegni, poi sui modelli, poi sulle fusioni, eccetera.


Nel 2011 presentammo all’Eicma la maquette di quella che sarebbe stata la nostra interpretazione della mitica Scrambler. Non occorre che Le ricordi quanto successo incontrò la moto, definita, da un giornalista Mediaset, la più bella di Eicma 2011. Ottenemmo anche, proprio lì all’Eicma, il consenso a darla anche a concessionari Ducati, che chiedevano la nostra Scrambler. Eravamo felicissimi.


Cominciarono le nostre prove su strada, finché venne il giorno che, come da promessa, ci recammo in Ducati per farla provare.


Di lì a breve, organizzammo anche le prove con la stampa, proprio nel periodo in cui il Dottor Del Torchio lasciava Ducati per una nuova avventura lavorativa ed arrivava Lei.

Da quel giorno ci fu il gelo fra Ducati e Borile.

Non ho mai capito perché.


Non ho mai capito perché Lei non mi abbia chiamato e detto qualcosa, non che fosse tenuto a farlo, beninteso, ma un gentiluomo l’avrebbe fatto. Esiste ancora un po’ di dignità o no? Anche perché poi, se vogliamo metterla sul venale, la mia società ha investito parecchi soldi per fare un motore intorno ai gruppi termici Ducati e lanciare il progetto Scrambler, come da accordi detti e scritti, senza mettere in conto le ore, le notti, i tecnici ed i chilometri dedicati a questo progetto.


Ma anche tralasciando il fatto che a Lei fosse balenata l’idea di fare la Scrambler, e non voglio pensare che quest’idea Le sia venuta perché ha visto il successo della nostra - spero che in Ducati non ci sia bisogno di questo altrimenti vuol dire “essere alla frutta” - ma che fastidio Le davamo? Erano e sono due moto diverse, ma il progetto di investire sulla rivisitazione dello Scrambler è mio, perché questa cattiveria?


Noi non facciamo moto per arricchirci, ma le facciamo per passione, a me non è il marketing a dirmi cosa fare, ma il mio cuore.


Mi creda, Ingegnere, nel corso della mia esistenza mi sono trovato a fare i conti con la più malvagia delle sorti che un uomo, un padre, possa sopportare. Tutto quello che succede ora non mi sfiora neppure.

Però le cattiverie, nonostante tutto, non riesco ancora a capirle.


Distinti saluti

Umberto Borile

Presidente Borile Motociclette

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