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Nel 1920 oltre a Fabio Taglioni è nato un altro grande progettista italiano che ha legato il suo nome principalmente alla Bianchi e alla Guzzi, con realizzazioni di notevole significato tecnico: Lino Tonti.
Anche lui era romagnolo e anche lui preferiva i purosangue ai cavalli da tiro: la sua passione erano le moto di alte prestazioni, anche se sul suo tecnigrafo sono stati disegnati ottimi mezzi destinati al pratico impiego di tutti i giorni.
Nato a Cattolica, aveva iniziato giovanissimo alla Benelli, mettendosi rapidamente in luce al punto da venire coinvolto nella progettazione dei mezzi da corsa. Dopo la fine della seconda guerra mondiale ha costruito una 75 da record con motore bialbero (in seguito portato a 125) che ha chiamato LinTo, dalle iniziali del suo nome e cognome.
Nel 1950 ha realizzato il Cigno, un originale scooter a ruote alte con sospensione anteriore a bracci oscillanti e motore a due tempi di 125 cm3 che ha destato l’interesse dell’Aermacchi, alla ricerca di un modello col quale entrare nel settore delle due ruote, all’epoca così vitale (fino ad allora aveva costruito solo motocarri). È così iniziato un periodo di intensa collaborazione con la casa lombarda.
Tonti si è trasferito a Varese e lo scooter è entrato in produzione come 125 N. Sue dirette evoluzioni sono state il 125 U (Ghibli) e il 125 M (Monsone). Nel 1956 una speciale Aermacchi da record dotata del suo motore bialbero di 75 cm3 ha ottenuto una serie di primati mondiali, tra i quali quelli sul miglio e sul chilometro lanciati.
Chiamato alla Mondial da Giuseppe Boselli, nel 1957 ha realizzato una bella 250 bicilindrica con distribuzione bialbero che avrebbe dovuto esordire nella stagione successiva. Purtroppo il ritiro della azienda dalla attività agonistica ufficiale al termine di tale stagione ha posto fine allo sviluppo della moto.
Diverso materiale del reparto corse è stato allora ceduto a Giuseppe Pattoni che lavorando assieme a Tonti ha dato origine alla Paton. In effetti la prima bicilindrica di questa nuova casa milanese va considerato un diretto sviluppo dalla Mondial 250.
Nel settembre del 1958 Tonti è entrato alla Bianchi iniziando subito un intenso lavoro di progettazione che ha portato alla rapida comparsa di modelli di grande interesse. Già nel giugno dell’anno seguente ha esordito una bella monocilindrica bialbero da cross che è stata realizzata in versioni di 250 e 350 cm3 (rapidamente portati a 400 cm3) e che ha conquistato due titoli italiani in sequenza.
Nella testa c’erano due alberi a camme ravvicinati, che azionavano le valvole per mezzo di bilancieri. La distribuzione veniva comandata da un alberello verticale con due coppie coniche che muoveva l’albero a camme di aspirazione il quale provvedere a sua volta ad azionare quello di scarico. La versione di minore cilindrata erogava 25 cavalli e quella di 400 cm3, che aveva un alesaggio di 82 mm e una corsa di 74 mm, ne erogava circa 33. Queste moto sono passate alla storia con un soprannome pittoresco: Raspaterra.
Più o meno contemporaneamente sono apparse due monocilindriche bialbero realizzate con uno schema analogo. Si trattava di una 175 e di una 250 che sono state impiegate sul circuito di Locarno nel 1959 ma che in seguito non sono state più sviluppate perché la casa ha preferito puntare sulle nuove bicilindriche da GP. Entrambe queste moto sono sono state spedite nel 1960 in Venezuela dove hanno corso con eccellenti risultati per diverso tempo. In seguito di loro non si è saputo più nulla ed è stato un vero peccato perché si trattava di due pezzi unici molto interessanti. La 250 aveva un rapporto corsa/alesaggio addirittura inusitato per l’epoca (0,69, valore che sarebbe attualissimo anche adesso, per i motori di alte prestazioni).
Le Bianchi alle quali è maggiormente legato il nome di Tonti sono le bicilindriche da Gran Premio. La prima a scendere in pista, all’inizio del 1960 è stata la 250, che ben presto è stata affiancata (e poi sostituita) dalla 350, rivelatasi subito più competitiva. Il motore aveva due cilindri paralleli e la distribuzione bialbero, comandata da una cascata di ingranaggi (piazzata centralmente) che prendeva il moto dall’albero ausiliario che azionava anche la trasmissione primaria e la pompa dell’olio. Il manovellismo prevedeva due alberi a gomito “individuali”, collegati da un manicotto dotato di chiavetta; i perni di biella erano disposti a 360°.
Venivano impiegate due teste singole, in ciascuna delle quali erano piazzate due valvole inclinate tra loro di 78°. La 350 (alesaggio e corsa = 65 x 52,5 mm) ha conquistato due campionati italiani e si è ben comportata in diverse gare del mondiale. Dal suo motore sono derivate una versione di 386 cm3 e in seguito una di 454 cm3 (alesaggio e corsa = 70 x 59 mm) che forniva quasi 70 CV a poco più di 10.000 giri/min.
Altre importanti realizzazioni di Tonti alla Bianchi sono state la moto militare MT 61 e la bellissima Sila 175 Gran Sport che utilizzava, con debiti aggiornamenti, la parte inferiore del motore della Bernina 125.
Dopo l’uscita della Bianchi dalla scena motociclistica (autunno 1964) Tonti ha lavorato per un paio d’anni alla Gilera, sviluppando la 124 5V, prima ottavo di litro italiana di serie con cambio a cinque marce. Pure in questo caso l’estetica era bella e accattivante (e indubbiamente ha contribuito al successo commerciale di tale modello).
Subito dopo questo periodo va ricordata la realizzazione di un’altra moto da Gran Premio, la Linto 500 destinata ai piloti privati, che impiegava due gruppi testa-cilindro della Aermacchi Ala d’oro.
In seguito Tonti è stato chiamato alla guida tecnica della Moto Guzzi, dove ha iniziato trasformando la V7, una tranquilla bicilindrica a V di 90° senza alcuna pretesa prestazionale, in un purosangue sportivo.
Dopo avere realizzato la V7 Special, una versione della quale ha conquistato una serie di record mondiali sulle lunghe distanze a Monza nel 1969, il tecnico romagnolo ha aperto una nuova pagina nella storia della gloriosa casa di Mandello del Lario con la V7 Sport, apparsa nel 1971. Il nuovo telaio costituiva il pezzo forte di questo modello, ma anche il motore con distribuzione ad aste e bilancieri e due valvole inclinate di 70° in ogni testa, era stato debitamente riveduto.
Con un alesaggio di 82,5 mm e una corsa di 70 mm la cilindrata era di 748 cm3. La potenza era passata a 52 CV a 6300 giri/min e il nuovo cambio era a cinque marce.
Al Salone di Colonia del 1976 la Guzzi ha presentato le sue bicilindriche della serie “piccola”, ossia la V35 e la V50, frutto di una progettazione completamente nuova.
Per questi modelli Tonti aveva fatto alcune scelte tecniche ben diverse da quelle impiegate nelle grosse V7. Il basamento, non più a tunnel, era in due parti che si univano secondo un piano orizzontale. Le due valvole installate in ciascuna testa non erano più inclinate ma parallele e le camere di combustione erano ricavate nel cielo dei pistoni.
Molto interessante era anche l’adozione, per la prima volta in una moto di serie, di un forcellone oscillante in lega di alluminio ottenuto per fusione.
La V35 e la V50 sono state le antenate di una nutrita serie di modelli, diversi dei quali sono tuttora in produzione.
Per la Guzzi Tonti ha anche progettato il Nuovo Falcone (che per la verità non ha avuto un grande successo) e, prima di andare in pensione, diversi interessanti prototipi che sono purtroppo rimasti tali.