Massimo Clarke: 25 anni di Ducati Desmoquattro

Massimo Clarke: 25 anni di Ducati Desmoquattro
Una ricorrenza importante nella storia del motociclismo. La nascita di una nuova generazione di motori, la cui evoluzione ha portato alla realizzazione di modelli leggendari e alla conquista di straordinari successi sportivi | M. Clarke
24 agosto 2011


Il primo bicilindrico Ducati con distribuzione desmodromica bialbero, raffreddamento ad acqua e quattro valvole per cilindro ha fatto la sua apparizione nel settembre del 1986, alla 24 ore del Bol d’Or. Aveva una cilindrata di 748 cm3 ed era stato ottenuto prendendo come base un bicilindrico monoalbero ad aria (quello della F1), per il quale erano stati sviluppati nuovi gruppi testa-cilindro. Il progetto originale era dovuto all’ing. Massimo Bordi, e i disegni costruttivi erano stati tracciati da Gianluigi Mengoli. Un’altra novità di questo nuovo motore, che per la gara francese era stato installato nel telaio di una F 1 750 debitamente modificato (per via del maggiore ingombro delle teste), era costituita dalla adozione dell’iniezione, una elettronica Weber Marelli appositamente sviluppata.

Bordi stava accarezzando l’idea di realizzare un motore desmodromico bialbero a quattro valvole sin dai tempi dell’università. La sua tesi di laurea, nel 1973-74, verteva proprio su questo argomento. Le teste però erano raffreddate ad aria, il che obbligava a lasciare un notevole spazio per il raffreddamento nella zona centrale, e quindi a disporre verso l’esterno i perni dei bilancieri.

Per realizzare il suo progetto, una dozzina di anni dopo, Bordi era passato con decisione alla refrigerazione ad acqua; aveva inoltre esaminato con estrema attenzione, a livello di fluidodinamica e di termodinamica, le teste dei famosi Motori Cosworth V8 di Formula Uno. Più di una occhiata approfondita era stata data anche ai formidabili BMW 2000, che avevano una pressione media effettiva stratosferica e che per lunghi anni erano stati praticamente imbattibili in Formula Due, pur essendo solo a quattro cilindri (gli avversari ne avevano sei). Si decise di adottare un angolo tra le valvole di 40°, eguale a quello del motore tedesco (e a quello del progetto presentato nella tesi di laurea di Bordi). Realizzare il cinematismo di comando delle valvole non è stato semplice; con due bilancieri di chiusura in aggiunta a quelli di apertura (a dito) e con i loro perni disposti nella zona interna della V formata dagli assi delle valvole (cosa necessaria per ottenere condotti dall’andamento vantaggioso) la testa risultava decisamente “affollata”. Il risultato è stato un autentico capolavoro di meccanica.

È interessante ricordare che la Ducati aveva già impiegato teste bialbero a quattro valvole per cilindro, con comando a cinghia dentata, nel 500 bicilindrico realizzato dal grande motorista Renato Armaroli (esternamente alla azienda, su incarico di Spairani) che Spaggiari provò alla fine del 1972. In questo caso la distribuzione era convenzionale, con le valvole che venivano richiamate da molle a elica, e il raffreddamento ad aria. Il motore erogava 5-6 cavalli in più, rispetto a quello delle moto ufficiali, che avevano le teste a due valvole. Un tiepido interesse nei confronti delle quattro valvole la Ducati lo dimostrò, più o meno nello stesso periodo, realizzando due teste di questo tipo destinate ai monocilindrici, con le quali fare delle esperienze. Una era praticamente una testa di serie modificata, mentre l’altra era completamente nuova e aveva una curiosa distribuzione con due alberi a camme assai vicini tra loro. Il richiamo delle valvole era affidato anche in questi casi a molle ad elica cilindrica.

Il nuovo motore bicilindrico ad acqua di Bordi e Mengoli ha girato al banco nell’estate del 1986 e la moto, che disponeva di circa 94 cavalli alla ruota, ha esordito al Bol d’Or dando subito ottima prova di sé. Alla quindicesima ora era settima, allorché ha ceduto una vite di biella.
Lo sviluppo successivo ha visto crescere la cilindrata a 851 cm3 (ottenuti con un alesaggio di 92 mm e una corsa di 64 mm) e la potenza salire a oltre 110 cavalli. A Daytona nel 1987 la moto, condotta da Lucchinelli, si è comportata ottimamente, vincendo senza problemi la Battle of the Twins.
La produzione di serie della 851 è cominciata (inizialmente a ritmo assai ridotto) nel 1988.

Il resto della storia è ben noto a tutti gli appassionati. Le superbike ufficiali sono passate a 888 cm3 (grazie a un aumento di 2 mm dell’alesaggio) nel 1989. Le vittorie hanno cominciato ad arrivare copiose, e con loro i titoli mondiali, che sono stati ben 13, fino ad oggi, con piloti del calibro di Roche, Polen, Fogarty (4), Corser, Bayliss (3), Hodgson e Toseland. Un cambiamento epocale si è avuto nel 1994 con l’apparizione di quell’autentico capolavoro che è stata la 916, presentata al Salone di Milano dell’anno precedente. Il bicilindrico ha continuato ad aumentare di cilindrata passando a 926 cm3 (96 x 64 mm) e quindi a 955 cm3 (96 x 66 mm). Nel 1996 è apparso il motore di 996 cm3 (98 x 66 mm), erogante circa 160 cavalli a 12000 giri/min, che è stato seguito da quello di 998 cm3 (100 x 63,5 mm). La 999 che ha gareggiato nel mondiale superbike a partire dal 2003 aveva una potenza oramai prossima ai 200 CV; le misure di alesaggio e corsa sono passate a 100 x 63,5 mm. Le successive 1098 e 1198 e i loro successi sono storia d’oggi…

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