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Sul finire degli anni Settanta, con i motori della serie Pantah, per azionare l’unico albero a camme alloggiato in ogni testa la Ducati è passata a un sistema che prevedeva un albero ausiliario e due cinghie dentate. Questo schema viene tuttora impiegato dalla casa bolognese (con la sola eccezione dei bicilindrici 1199 e 1299), anche per i motori bialbero a quattro valvole per cilindro che hanno vinto fior di mondiali superbike, il che la dice lunga sulla sua validità. All’epoca si è trattato di una autentica rivoluzione, dato che l’ing. Fabio Taglioni per i suoi motori monoalbero di serie aveva fino ad allora fatto sempre ricorso a un raffinato sistema che prevedeva due coppie di ingranaggi conici (uno alla estremità dell’albero a gomito e uno alla estremità dell’albero a camme) e un alberello ausiliario diviso in due parti, collegate da un innesto a baionetta.
Pure nei grossi bicilindrici a L di 750 e in seguito di 860 e 1000 cm3 la Ducati impiegava un sistema analogo, con due alberelli ausiliari alloggiati in apposite protezioni tubolari disposte parallelamente ai cilindri e ben visibili sul lato destro del motore. Anche nei famosi monocilindrici da competizione degli anni Cinquanta gli alberi a camme in testa erano comandati in questo modo. E lo stesso vale per il 500 bicilindrico da GP dei primissimi anni Settanta.
In effetti a suggerire la strada delle cinghie dentate in quel di Borgo Panigale era stato il tecnico Renato Armaroli, che aveva sviluppato esternamente alla Ducati, su richiesta della direzione della azienda, una versione con teste a quattro valvole del bicilindrico da competizione di 500 cm3, con distribuzione bialbero comandata da una cinghia dentata posta sul lato sinistro.
Lo schema adottato da Taglioni prevedeva una coppia di ingranaggi mossa dalla estremità sinistra dell’albero a gomiti che assicurava la necessaria riduzione e azionava un alberello ausiliario piazzato al centro della V formata dai due cilindri; attraversando la parte anteriore del basamento esso portava il moto dal lato opposto, dove comandava le due cinghie dentate che trascinavano in rotazione gli alberi a camme.
Tutto OK, una soluzione razionale ed efficace. Qualcuno però non è stato entusiasta di questa novità. I nostalgici non mancano mai, o forse in questo caso bisognerebbe dire gli amanti della meccanica più raffinata, anche se costosa (e, non di rado, un po’ fine a se stessa). Ma una cosa bella è una gioia per sempre, come diceva Keats, e questo vale anche nel campo della tecnica… Fatto sta, comunque, che un concessionario di vecchia data, da sempre innamorato delle moto di Taglioni, quando ormai i modelli a cinghia dentata si erano imposti anche nelle cilindrata maggiori, sostituendo quelli precedenti, un giorno mi ha preso da una parte e mi ha detto: «Vanno bene e sono belle, queste moto, ma senza le coppie coniche sono un pò meno Ducati…».
Non è certamente casuale la scelta fatta dalla Kawasaki quando ha deciso di realizzare la W 650 (poi evolutasi nella W 800), una bicilindrica parallela raffreddata ad aria di impostazione tecnica ed estetica classicheggiante. Per comandare l’unico albero a camme in testa di questa moto old style i tecnici della casa di Akashi hanno fatto ricorso a un alberello ausiliario e due coppie coniche. Una catena sarebbe costata meno e sarebbe stata vantaggiosa anche in termini di semplicità costruttiva, ma non avrebbe avuto lo stesso sapore…
Gli ingranaggi conici consentono di trasmettere il moto tra due alberi che non sono paralleli (come accade quando si impiegano gli ingranaggi cilindrici) ma formano tra loro un certo angolo. Nella maggior parte dei casi, ma non sempre, quest’ultimo è di 90°. Una coppia di ruote dentate di questo tipo viene impiegata nelle trasmissioni finali ad albero, ove assicura anche l’ultima riduzione della velocità di rotazione. Questa è la soluzione da sempre impiegata sulle bicilindriche Guzzi a V e BMW boxer e utilizzata anche da numerose altre moto per lo più destinate al gran turismo; la coppia conica finale è alloggiata nella scatola in lega di alluminio che viene fissata al forcellone o al singolo braccio oscillante e alla quale viene vincolata la ruota posteriore.
Pure nelle auto, quando il motore è disposto longitudinalmente, una coppia conica provvede a inviare il moto ai due semialberi (trasversali) direttamente collegati alle ruote motrici e ad assicurare la riduzione finale.
Un altro esempio interessante di impiego degli ingranaggi conici ci viene dato da certi riduttori, come quelli che per decenni hanno avuto una ampia utilizzazione in campo aeronautico, per portare il moto dall’albero a gomiti all’elica, e da quasi tutti i differenziali. In questi casi essi non vengono utilizzati in coppia ma sono disposti in modo da formare dei gruppi epicicloidali.
Gli ingranaggi conici non sono tanto economici; questo è fondamentalmente dovuto, più che alle lavorazioni, al montaggio piuttosto laborioso. Per ottenere un funzionamento corretto e silenzioso è infatti necessario posizionare con la massima accuratezza una ruota dentata rispetto all’altra. Oltre al gioco tra i denti è importante anche la disposizione delle aree di contatto sulle superfici di lavoro dei denti stessi. Un montaggio particolarmente accurato è sempre indispensabile e, per quanto precise possano essere le lavorazioni, quasi sempre si rende necessario l’impiego di rasamenti di adeguato spessore.
Nei motori da corsa e in campo aeronautico, quando si impiegavano per azionare la distribuzione, gli ingranaggi conici erano sempre a denti dritti. Nelle realizzazioni di serie, ove per la verità questo sistema di comando non ha mai avuto una grande diffusione, principalmente per via del costo, per ragioni di silenziosità si è data la preferenza alle dentature a spirale, quando è diventata disponibile una adeguata tecnologia produttiva (con costi accettabili).
In campo aeronautico i sistemi ad albero ausiliario e coppie coniche hanno dominato la scena per decenni, sui motori a V o con cilindri in linea. Per quanto riguarda le auto da competizione, nel periodo successivo alla prima guerra mondiale vanno segnalate alcune realizzazioni americane (Duesenberg) negli anni Venti e tedesche (Auto Union) degli anni Trenta. In seguito occorre ricordare i motori boxer Porsche a quattro e a otto cilindri, quest’ultimo nato per la Formula Uno di 1500 cm3, entrata in vigore nel 1961. In ciascuno di essi per azionare la distribuzione bialbero venivano impiegati ben 13 ingranaggi conici! Un albero ausiliario, posto rispettivamente nella parte inferiore (nel quattro cilindri) e superiore del basamento, muoveva tramite un singolo ingranaggio conico due alberelli. Ciascuno di essi era collegato a una testa e comandava (tramite una coppia conica) l’asse a camme di scarico, collegato a quello di aspirazione da un altro alberello con una coppia conica a ciascuna estremità. In seguito la casa tedesca è passata al comando a cascata di ingranaggi o (per le realizzazioni di serie) a quello a catena.
Nel settore motociclistico, prima ancora dei motori da competizione inglesi (Velocette, Norton) e italiani (Bianchi, Guzzi) che sono stati straordinari protagonisti della scena a partire dalla metà degli anni Venti, va ricordato almeno il bicilindrico a V americano Cyclone, dotato di una distribuzione monoalbero comandata da un sistema che prevedeva otto ingranaggi conici (più quattro per il magnete). Sul finire degli anni Trenta la NSU ha realizzato un bicilindrico di 350 cm3 con distribuzione bialbero (poi realizzato anche in una versione di 500 cm3) nel quale venivano impiegati ben nove ingranaggi conici. Nel frattempo la BMW correva con i suoi bicilindrici boxer, in ciascuno dei quali gli ingranaggi conici erano sette.
Nel dopoguerra hanno conquistato fior di titoli iridati con un comando della distribuzione di questo tipo tanto la Guzzi che la Mondial. E non si devono dimenticare le Velocette 350, le Norton e le straordinarie NSU
Nel dopoguerra hanno conquistato fior di titoli iridati con un comando della distribuzione di questo tipo tanto la Guzzi (250 e 350) che la Mondial. E, per quanto riguarda le prime edizioni del mondiale, non si devono dimenticare le Velocette 350 e le Norton. In una classe a sé rientrano le straordinarie NSU mono e bicilindriche che hanno dominato le classi 125 e 250 nel 1953 e 1954. Impiegavano un sistema ad alberello e coppie coniche anche le primissime Honda 125 e 250 da competizione (RC 141 e RC 160), apparse nel 1959. Negli anni Sessanta hanno continuato a utilizzare per diverso tempo comandi della distribuzione di questo tipo la Jawa, che in precedenza la aveva usata anche su una bella 500 bicilindrica di serie, e la CZ, poi passata agli ingranaggi in cascata.
Le prime Ducati con alberello e coppie coniche risalgono al 1955; si trattava delle famose Marianna (Gran Sport 100, 125 e successivamente anche 175), che sono state seguite dalle 125 da Gran Premio con testa bialbero o (da giugno del 1956) desmodromica a tre alberi. Le ultime moto da corsa con un comando della distribuzione di questo tipo sono state le 500 da GP con motore bicilindrico a L progettato dall’ing. Taglioni, che hanno fatto il loro esordio nel 1971.
Per quanto riguarda i modelli di serie brilla davvero un solo nome, cioè quello della casa bolognese, che a lungo ha legato le sue sorti a motori monoalbero con alberello e coppie coniche. Gli ultimi bicilindrici a L con questo tipo di azionamento della distribuzione sono stati prodotti nel 1986.